La casa automobilistica ha celebrato la prima wave del suo programma-laboratorio rivolto ai giovani talenti. E al campus di H-Farm, a Roncade, ha già varato la seconda edizione
Sul palco Fabrizio Longo, AD di Audi Italia, di automobili parla solo tangenzialmente: per lui il futuro è una questione di umanesimo, di sensibilità, di etica. Di quello che, in pratica, ci rende qualcosa di più di semplici esecutori o (peggio) schiavi di algoritmi. Il suo è un appello che non suona neppure retorico, nonostante sia evidente che il progetto We Generation che la sua azienda sviluppa assieme a H-FARM vada inquadrato in un impegno CSR: quello che ci tiene a dire Longo, però, è che per lui l’idea di entrare a contatto con giovani talenti è qualcosa di più che un semplice esercizio di marketing. “Non ce la possiamo cavare con gli slogan, gli slogan durano 5 minuti – dice alla platea nel campus di Roncade, che ospita la serata conclusiva del primo capitolo del progetto – Serve chi si prenda carico dei problemi, che li individui e si applichi a trovare una soluzione. Non sapete che fame abbiamo di persone che vogliano misurarsi in un contesto sfidante come quello dell’automotive oggi”.
Così ecco che dice ai ragazzi che sono stati protagonisti del primo ciclo di We Generation che il suo obiettivo sarebbe portarli tutti in azienda, a misurarsi con problemi reali in contesti reali, e che la raccolta di candidature per la seconda edizione è già aperta: che intende sostenere l’entusiasmo con cui hanno affrontato il loro percorso accademico e questo progetto, riunirlo con l’esperienza di chi lavora già in Audi. “Quello che mi piace ancora di più – dice a StartupItalia, poi, a margine della conferenza – è l’idea che, portando a bordo loro, porterei a bordo anche il loro punto di vista originale sulle cose, la loro sensibilità: valori che sono contagiosi, che fanno da innesco anche per coloro i quali magari hanno perso un po’ di entusiasmo. Un duplice valore: perché loro sanno fare, hanno una formazione come pochi altri in circolazione, ma hanno anche quella curiosità e freschezza mentale che possiamo coltivare con l’esperienza”.
L’elogio della formazione
La scelta di H-FARM come partner in questa avventura di We Generation è sempre l’AD di Audi Italia a spiegarla. In breve: “H-FARM sta diventando qualcosa di molto diverso e molto di più del mondo universitario, per un’azienda come la nostra ciò è molto importante”. Premiare chi punta sulla formazione, perché è tramite di essa che diventa possibile far crescere quelle doti di sviluppo, adattamento e percezione anticipata del cambiamento che sono indispensabili per reagire rapidamente al mercato in cui qualsiasi azienda oggi opera. E non bastano le nozioni: “Serve sensibilità, non di solo algoritmo vive l’uomo: percepiamo dei rischi enormi nell’affidarsi unicamente all’algoritmo, le scelte etiche necessarie per lo sviluppo della tecnologia saranno prese da persone capaci e formate adeguatamente per prenderle”.
Quel che si profila è, nei fatti, un modo diverso di pensare all’imprenditoria e all’industria: un punto di vista che non può prescindere dall’etica delle scelte e da un principio che per le generazioni prima dei cosiddetti millennial era del tutto sconosciuto. La sostenibilità. Sul palco, invitati a parlare del loro impegno in tal senso, ci sono startup come To Good To Go (ne abbiamo parlato qui), Metaliquid e BiorFarm: quest’ultima è l’incarnazione di questo diverso spirito d’impresa, un approccio etico alla filiera corta e alla stagionalità (senza l’estremismo del chilometro zero a tutti i costi) che premi il lavoro degli agricoltori e che allo stesso tempo garantisca un cibo di qualità, certificato biologico e a un prezzo concorrenziale sulla tavola.
L’idea di BiorFarm è cresciuta proprio nel campus di Roncade, in uno dei programmi verticali di accelerazione portato avanti da H-FARM in quel caso assieme a Cisco, ma oggi cammina sulle sue gambe come racconta a StartupItalia uno dei founder, Osvaldo De Falco: “La nostra idea iniziale riguardava la sostenibilità economica e sociale, che è collegata alla prima. Il nostro obiettivo è essere sostenibili economicamente e riconoscere all’agricoltore un giusto prezzo per il suo lavoro: aiutare i piccoli produttori nella commercializzazione e nella comunicazione significa poi anche migliorare le condizioni di lavoro sul territorio, e il risultato di questo sforzo possiamo misurarlo col fatto che le aziende agricole che lavorano con noi in questi anni hanno praticamente raddoppiato il personale occupato”.
Non c’è soltanto l’aspetto economico: come detto in questa nuova economia entrano anche altri fattori, relativi all’approccio con cui millennial, generazione z e in prospettiva anche la generazione alpha guardano al tipo di servizi da acquistare e sostenere. “Una cosa molto interessante che abbiamo scoperto è che il primo motivo per cui i nostri clienti adottano gli alberi (è parte del modello di business di BiorFarm, ndr) è per supportare l’agricoltore locale: quando un agricoltore entra nel nostro circuito viene a contatto con questi utenti che vogliono conoscere il suo lavoro, che lo ringraziano per il suo lavoro. Stiamo costruendo un’esperienza che è personale, appagante: e grazie a questa puntiamo a diventare la piattaforma agricola digitale più grande al mondo”.
L’idea non piace solo al consumatore finale: il fatturato B2B, quello costruito assieme alle aziende che scelgono BiorFarm per il welfare aziendale o per il gifting, quest’anno potrebbe costituire il 50 per cento del fatturato e BiorFarm è stata scelta per campagne promozionali per esempio da Kellogg. Il modello con cui è stata costruita, racconta ancora De Falco a StartupItalia, è stato pensato per essere anche replicato altrove: Austria, Germania e Spagna sono le future tappe già individuate dopo che il mercato italiano si avvia al consolidamento. Sempre tenendo in mente l’idea di fondo: mettere in contatto diretto gli agricoltori e i consumatori finale, costruendo una relazione tra i due e offrendo qualcosa di più della semplice esperienza che si può sperimentare in un supermercato.
Cos’è We Generation
L’idea alla base del programma-laboratorio di Audi, sviluppato assieme a H-FARM, è andare alla ricerca del talento in una generazione come quella zeta che ha un modo diverso di parlare, relazionarsi, identificare e cercare soluzioni ai problemi. L’appello è rivolto agli studenti universitari di tutta Italia, e per chi viene selezionato c’è la possibilità di vivere un bootcamp nel campus di Roncade di H-Farm, di incontrare figure di riferimento di settori d’avanguardia e potenzialmente di essere selezionati per un’opportunità in azienda direttamente in Audi. Sara, una delle partecipanti della prima wave, individua nell’incontro con Carlo Ratti uno dei momenti più affascinanti dell’esperienza che ha appena concluso: “Con lui abbiamo parlato di robotica – racconta – ci ha spinto a guardarla senza opinioni e pregiudizi, a considerarla come un’opportunità per semplificare la vita delle persone”.
Quel che più conta, probabilmente, è proprio scovare punti di vista originali che permettano di affrontare problemi nuovi con approcci nuovi. Ancora Longo: “Il settore automotive sta mettendo in discussione tutto ciò che siamo bravi a fare, perché oggi ci viene chiesto di fare altro: se fino a oggi il progresso è stato unilaterale in questo settore, oggi ci sono delle domande che si stanno facendo pressanti. Riguardano la guida autonoma, le vetture connesse, le smart city e il ruolo che le auto giocheranno in esse, l’elettrificazione dell’intera gamma, e poi nuove forme di utilizzo come quelle legate allo sharing. Dentro il guscio con quattro ruote sta cambiando tutto, e con esso sta cambiando anche tutto l’ecosistema di cui fa parte”.
Oggi Audi non si vede più come solo un elemento dell’industria dell’automobile, bensì come un membro a pieno titolo di una società in cui il suo ruolo e le responsabilità che ne conseguono non possono essere secondari: occorre decidere di intraprendere scelte etiche che, grazie alla tecnologia, possono produrre risultati positivi per il problema delle emissioni, per ridurre gli incidenti causati dalla disattenzione o dalla stanchezza, che possono rendere più confortevole il nostro viaggio.
“È possibile recuperare un rapporto positivo con l’automobile – continua ancora Longo – L’auto si sta aprendo al contributo di settori molto diversi da quelli a cui era legata tradizionalmente: per fare un’auto non è più soltanto sufficiente essere capaci di fare un auto. Oggi poi lo sviluppo di queste soluzioni innovative richiede appena 36 mesi per arrivare dall’idea alla produzione”. E poi, conclude: “Costruire una tecnologia etica è possibile, se si tiene ben presente che è necessario rifuggire dalla semplice vanità tecnologica. Mi devo domandare giorno per giorno: cosa faccio? Che vantaggi porta a tutti ciò che sto facendo? La formazione può essere il ponte tra tecnologia ed etica: perché le tecnologie non possono essere abiurate, devono essere gestite per farci qualcosa di buono. Abbiamo fame di competenze multidisciplinari: e di persone che possiedono queste competenze”.