Due pedagogiste dell’Università “Bicocca” di Milano hanno scritto un manifesto per una “scuola nuova”. Con l’appoggio dei genitori e del sindaco, hanno inviato la richiesta al Miur
Sarà una scuola dove le famiglie diventeranno partner con cui discutere gli orientamenti, senza classi, senza campanella; una scuola da vivere anche all’esterno, dove l’aspetto ludico sarà compagno dell’apprendimento; la valutazione non sarà un’arma né uno strumento ma “una relazione” e i compiti saranno un naturale proseguimento di quanto fatto in classe senza costringere i ragazzi a pomeriggi sui quaderni. Non è un sogno ma un progetto pensato da due pedagogiste dell’Università “Bicocca” di Milano, Monica Guerra e Francesca Antonaci, che ora sta per diventare realtà grazie all’interesse di un gruppo di 90 famiglie di Avigno che hanno chiesto al sindaco Davide Galimberti di ottenere il via libera dal ministero dell’Istruzione per dare avvio a questa sperimentazione decisamente rivoluzionaria.
Oltre i tempi della scuola tradizionale
“La scuola che pensiamo – spiega Monica Guerra – è poetica e anche utopica. E’ un luogo dove non si deve temere di sperimentare quello che ancora non c’è, o di dire o fare quello che sembra non avere senso, o non essere utile o indispensabile. In essa ci dev’essere spazio per l’esercizio della passione, della ricerca pura e della meraviglia, tutte cose profondamente inutili da un punto di vista strettamente strumentale ma necessarie per la vita di bambini, ragazzi ed adulti”. Un progetto all’avanguardia che mette al centro il bambino, che è capace di creare comunità, di andare oltre le catene della burocrazia e i tempi della scuola tradizionale. “In questa scuola – spiegano le due docenti universitarie nel loro manifesto – sarà necessario ripensare tutta la programmazione scolastica, non in virtù dei contenuti ma degli stili di insegnamento, dei linguaggi da utilizzare e da diffondere e delle modalità di esperire il mondo e gli altri. Non si tratta di organizzare la didattica per progetti ma di intendere il sapere come un tutto organico che necessita di diversi sguardi per essere compreso e valorizzato”.
Lo spazio per la spiritualità
Tutto ciò significa innovazione in senso orizzontale: in questa scuola la tecnologia si propone innanzitutto come ulteriore linguaggio intelligente a disposizione della ricerca, sempre in dialogo con i molti altri linguaggi dei soggetti. La tecnologia non si pone così come panacea per la soluzione di problemi educativi, come in molti modelli futuristici senza radici, ma come strumento al servizio della documentazione e della trasformazione dei contesti e delle relazioni. Così come la parola spiritualità farà parte delle lezioni: “La scuola che immaginiamo – spiega Monica Guerra – non prevede ore dedicate all’insegnamento della religione ma la possibilità di fare posto ai diversi credo. Spazio e tempo dovrebbero essere dedicati alla possibilità da parte di ciascuno di coltivare la propria spiritualità come individuo in dialogo con gli altri individui e con le energie che abitano il mondo”. Se otterrà il riconoscimento del ministero il primo anno di questa “scuola nuova” scatterà il prossimo settembre con la supervisione delle due pedagogiste che hanno messo a punto il progetto.