Un fondo seed nato dai successi di Translated, oggi Pi-Campus è un piccolo miracolo in Italia, definita «la startup di chi fa startup»·. Il founder Marco Trombetti ci racconta il suo modello
Roma. Quartiere Eur. Tra le collinette incastrate tra il Lago dell’Eur e il Palalottomatica si arrampicano dozzine di villette di uno, due piani. Una di queste è la prima sede inaugurata nel 2013 di Pi-Campus. Dentro è silenzio, verde e persone che lavorano alla propria scrivania che sembrano amalgamate tra loro e nell’ambiente intorno in una chimica perfetta. Pi-Campus sul suo sito si definisce solo per via negativa. «Non siamo un coworking, non siamo un acceleratore». Ma è un po’ tutto questo. E soprattutto: un fondo di investimento seed nato dal successo internazionale di Translated di Marco Trombetti. L’intelligenza artificiale sviluppata per il suo software di traduzioni ha fatto scalare il business dalla fine degli anni Novanta a oggi. 5 milioni di quel successo nel 2013 sono diventati benzina per 19 startup che oggi hanno una valutazione complessiva di circa 160 milioni di euro. Circa 7 milioni il valore medio di ognuna. E di quei 5 milioni ne sono stati investiti ad oggi 1,7. Le ultime arrivate sono tre startup. Un aereo supersonico (Boom, California), un controllore ortografico cloud based (Lexiqa, Germania) e una sorta di Cloudera dell’intelligenza artificiale (Skymind, Colorado). Difficile trovare qualcosa di simile in Italia, per ora. Marco Trombetti ci ha raccontato il suo modello. Dei successi, tanti. E anche dei fallimenti. Come quando non credette in Cruise Automotive, comprata poco dopo da General Motors per un miliardo.
Cosa si deve avere per entrare nel portfolio di Trombetti (che investe con YCombinator)
«Il criterio primario rimane il team» racconta Trombetti. Già ma che significa? «Noi ci leghiamo a persone che abbiano una visione, e questo ci può permettere di spaziare in qualsiasi campo» dall’aerospazio all’intelligenza artificiale come negli ultimi investimenti. Aerospazio. Come Boom, un aereo supersonico progettato da un team d’eccellenza e che per ora sembra poco più che una sfida. «Boom è una cosa decisamente disruptive, una grande scommessa per noi». Molti dei contatti vengono da fuori. Dalla Silicon Valley, dove Trombetti ha molte relazioni dai tempi di Translated. Specie con Google, che contribuisce circa al 25% del fatturato dell’azienda. E’ lì che ha preso i primi contatti con gli investitori di Y Combinator, con cui ha investito nelle ultime tre startup. In Italia? «Ho una buona relazione con gli acceleratori e di fatto tengo sotto osservazione durante accelerazione e poi investo subito in seed round. Per esempio, il deal flow qui a Roma lo faccio con LVenture o con Roberto Bonazinga (Balderton-HFarm, ndr)». La strategia anche qui è chiara. Pochi partner di qualità. Come i suoi «abitanti». Solo persone di talento. Perché «l’unico modo per attrarre talenti e lavorare con talenti».
5 ville all’Eur, 170 startupper. Massaggi e «arcade»
A sentire parlare Trombetti, da Translated a Pi-Campus è un crescendo. Fuori di dubbio che la società e il suo network siano cresciuti. Da una a cinque ville nel cuore dell’Eur a Roma: «Noi facciamo investimenti seed e offriamo per sei mesi gratuitamente gli spazi di Pi-Campus. Il punto è che poi nessuno se ne vuole andare e quindi abbiamo cominciato ad allargarci». Una, due, tre. Cinque ville. In 3 anni. In media una ogni sei mesi. Il prezzo di mercato di una villa in quell’area varia dal milione e mezzo ai due milioni di euro. Oggi ci lavorano 170 tra founder e impiegati di startup. In rete si trovano diverse interviste agli «abitanti» di Pi-Campus che raccontano perché da lì non schiodano. Le relazioni che si creano, certo, ma anche sedute di massaggi quando i muscoli del collo e della schiena si irrigidiscono, palestre, spinning, video game (arcade). Pi-Campus si allarga. E prevede di farlo ancora.
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Gli errori. «Potevo investire in Cruise e non l’ho fatto»
Un crescendo dicevamo. Ma non è sempre andato tutto liscio. D’altro canto ogni investitore ha il suo anti-portfolio. «Qualche anno fa ho mancato Cruise Automation poi comprata da General Motors per un miliardo. A me allora mi sembrava una cosa troppo challenging. Mi sono accorto poco dopo il valore di quella tecnologia. E di quel tipo di investimento». Una lezione che gli è servita per imparare alcuni meccanismi del mercato: «A cosa mi è servito quell’errore? A capire che in questo mondo quello che serve è individuare un mercato consolidato grande e trovare una startup che in quel mercato si sta muovendo. E per forza di cose più velocemente. Se ha funzionato con Cruise per me questa volta funzionerà con Boom».
L’Italia è la startup di chi fa startup, è qui che si deve stare
Facile fin troppo chiedere a una persona che ha relazioni, affari e investimenti in comune con Vc top a San Francisco, perché è ancora in Italia invece di spostarsi in Silicon Valley. «Perché quella grande azienda. L’Italia è la startup» taglia corto Trombetti. Non semplice capirlo subito, ma Trombetti vede nell’arretratezza dell’Italia una grande opportunità di business per chi si muove nella digital economy. I suoi risultati lo confermano. Il punto, spiega è che «Se vogliamo arrivare a successo che si ha Oltreoceano non possiamo replicare California. Anche perché la tecnologia, il motore del mondo, oggi è gia cambiata. E’ diventata commodity. Non compri più un prodotto a caso ma per averne esperienza, attaccamento emotivo, ma soprattutto design». Il cambiamento in atto dalla tecnologia al design è la chiave che per Trombetti può portare l’Italia a giocare un ruolo fondamentale nell’economia digitale. «Questi fattori creano opportuinità per noi, la tecnologia va verso il lusso, l’esperienza, l’automotive, il buon cibo. Tutte aree in cui abbiamo skills di primo livello».
4 cose che per Trombetti fanno di una startup il candidato ideale per Pi-Campus (e il modello Boom)
- «Quando scegliamo le startup per Pi-Campus vediamo prima di tutto se il mercato è grande abbastanza. Deve essere da almeno 1 miliardo potenziale, così che se sbagli ti puoi riposizionare» ;
- «E’ importante che la startup porti una soluzione ad un problema percepito. Che ci sia l’idea di un problema e un’idea per risolverlo»;
- «Che la soluzione sia buona»;
- «Che il team siano le persone più qualificate del mondo».
I 4 punti applicati a Boom. Ha un mercato enorme, quello dell’aviazione. Il problema percepito che è qualità del viaggio. Chi compra un viaggio in Boom compra la comodità o il tempo dimezzato come nel caso di questo aereo che promette di viaggiare in 3 ore da Londra a New York. Il problema è quello delle persone che vogliono viaggiare bene e veloce, come le centinaia di uomini d’affari che lo fanno tutti i giorni. «Se fai volo supersonico a velocità del suono e la gente lo compra». Il team poi, tutti ingegneri iperspecializzati. «Ci abbiamo investito 50 mila dollari, che in California il cheep tipico dell’angel investing».
«La startup scene italiana? Amici, ma ci frequentiamo poco»
«Noi a Pi-Campus siamo amici di tutti ma ci frequentiamo poco. Siamo un po’ chiusi, abbiamo tanto da lavorare». Ma qualche contatto c’è, come con LVenture. «E’ un’eccellente possibilità di deal flow, seguiamo spesso le loro startup». Poche relazioni magari, ma radici profondissime in Italia. A Roma. Da cui Trombetti non ha mai pensato davvero di muoversi. «Queste cose vanno fatte col cuore, se applicassi razionalità avrei dovuto spostarmi 10 anni fa in California». E poi è una questione di modelli.
Se ce la fanno loro ce la puoi fare pure tu
Avere relazioni e investimenti negli Stati Uniti permette alle startup di Pi-Campus di avere un modello. «Guarda, prendiamo per esempio ancora Boom. Il motivo principale per cui ci ho investito è che lì ci sono 11 ragazzi che hanno lasciato delle società di aereospazio tra le più importanti al mondo che fanno qualcosa che al momento pare impossibile. Hanno raccolto alcuni milioni per fare il prototipo. E adesso che ne vogliono 500. La cosa da notare è che il motore di Boom lo farà Avio a Torino. Ma qui in Italia nessun giovane ingegnere ha pensato di fare l’aereo supersonico, il nuovo Concorde. Ecco questo vogliamo a Pi-Campus. Fare in modo che i nostri ragazzi entrino in contatto con quelli che dall’altra parte del mondo sognano cose grandissime. E che magari qui oggi nessuno ha il coraggio di sognare. Il nostro messaggio vuole essere: ce la fanno loro, ce la puoi fare pure tu!». E far diventare questa influenza stabile e influenzare l’ecosistema intorno a Pi-Campus per generare valore e un circolo virtuoso tra gli abitanti. Osare sempre. Osare come costante. Costante come il Pi greco da cui il campus prende il nome.
Arcangelo Rociola
@arcamasilum