Le parole, tutte le parole hanno conseguenze: sta a noi usarle per costruire ponti oppure per scavare voragini. È nello sperimentare, ogni giorno, le tante possibilità delle parole e scegliere quelle non ostili la sfida lanciata il 17 febbraio di quattro anni fa dall’associazione no-profit Parole O_Stili – nata appunto per responsabilizzare chi naviga in rete a scegliere una comunicazione costruttiva – che oggi festeggia per la quarta volta i 10 principi di stile del suo Manifesto diventati ormai un impegno di responsabilità condivisa per tante scuole, asili, amministrazioni pubbliche, aziende. “Il Manifesto della comunicazione non ostile è oggi ovunque, tradotto in 34 lingue, delle quali noi ne abbiamo curato appena tre. E sta proseguendo da solo il suo bellissimo viaggio, grazie a un movimento partecipativo enorme che continua a farlo germogliare”, commenta Rosy Russo, fondatrice dell’associazione che oggi sul sito www.paroleostili.it lancia una festa diffusa, #ancheiomanifesto, con tante opzioni originali per festeggiare.
Perché le parole sono così importanti?
Perché le parole che usiamo ci raccontano, definiscono la persona che siamo. E poi hanno il potere di accogliere o allontanare, ferire o curare: di noi dicono soprattutto l’attenzione che abbiamo per gli altri e la cura che rivolgiamo alle relazioni. Dedicare alle parole del tempo, sceglierle con attenzione, spenderle nella relazione in modo che costruiscano ponti significa riconoscere alle parole il grande potere di avvicinare gli individui e di cambiare il corso delle situazioni. Al contrario, le parole possono distruggere e alzare muri. Questo dipende da noi.
Parole O_Stili opera per diffondere la consapevolezza del potere che hanno le parole nelle scuole, nelle aziende…. Quanta consapevolezza vede del fatto che ciascuno di noi, quotidianamente, incide in maniera positiva o negativa sulla vita degli altri a seconda proprio delle parole che usa?
Purtroppo ne vedo ancora pochissima. Ciascuno di noi può osservare nelle proprie chat di Whatsapp quanto cattivo uso venga fatto delle parole. Da madre di quattro figli, sono e sono stata parte di parecchi gruppi scolastici: ebbene, ho sempre colto la facilità con cui si finisce per non capirsi, perché si scrive in fretta, perché non ci si cura che la persona dall’altra parte comprenda o perché non si è voluto dire quella parola in più che avvicinasse. Parole O_Stili ha fatto proprio della consapevolezza il suo termine-cardine, concentrandosi sulla diffusione da un lato della consapevolezza del potere delle parole e, dall’altro, della consapevolezza del contesto in cui viviamo, perché le parole non curate versate nel contesto digitale – dimensione primaria in cui ci esprimiamo – acquistano una carica decisamente maggiore, amplificando il potere, positivo o negativo, di quanto diciamo: possono dunque generare una violenza ancora maggiore o possono, al contrario, amplificare il bene. Parole O_Stili è un grande progetto educativo che punta proprio ad accrescere la consapevolezza nelle persone, perché abbiamo sperimentato che non appena le persone si rendono conto del potere che hanno ne traggono nell’immediato una sensazione di stupore e meraviglia, quindi scatta in loro la voglia di impegnarsi, l’ambizione di costruire, l’indisponibilità a non cadere ostaggi delle parole peggiori. Da subito.
Vi concentrate molto sulla creazione di una comunicazione costruttiva e consapevole on line. Nel primo punto del manifesto infatti scrivete che il virtuale è reale, per cui in rete bisognerebbe scrivere e dire solo ciò che si ha il coraggio di dire di persona.
Certamente. Diciamo anche che i social sono relazioni, per cui ne discende che anche condividere è una responsabilità: noi suggeriamo di condividere testi e immagini solo dopo averli letti bene, valutati, compresi. Così come di prendersi tutto il tempo necessario per esprimere al meglio quel che si pensa. Questi nostri suggerimenti sembrano ovvietà, in realtà non lo sono, se i luoghi delle nostre relazioni sono diventati i luoghi di conflitto esasperato che conosciamo. Io porto avanti una battaglia in cui credo fermamente e che punta a introdurre, dai tre anni su e quindi a partire dalla scuola dell’infanzia, un’ora di cittadinanza digitale come parte di un percorso di educazione civica più ampio. Proprio il 17 febbraio lanciamo insieme al Ministero dell’Istruzione una piattaforma, #AncheIoInsegno, per creare uno spazio partecipato e di condivisione di idee e progetti dedicati agli studenti e alle studentesse della scuola, dall’infanzia fino alla secondaria di secondo grado. Le esperienze didattiche che si troveranno su #AncheIoInsegno saranno esclusivamente generate dagli utenti, e quindi testate sul campo da insegnanti di tutte le parti d’Italia. Si tratta di un database per soddisfare le necessità didattiche di quegli educatori, insegnanti e genitori che vogliono affrontare in classe o a casa temi come il bullismo e cyberbullismo, i rischi e le opportunità della rete, i diritti e i doveri online, le fake news, gli hate speech, la web reputation, il revenge porn, il body shaming, la privacy online e moltissimi altri argomenti. Filo conduttore di tutte le attività educative sarà, ovviamente, il Manifesto della comunicazione non ostile e i suoi valori.
Peraltro, nel vostro manifesto scrivete che anche il silenzio comunica. E profondamente. Mi fa un esempio di quando il silenzio diventa la parola tra le parole?
Il silenzio non è altro che le parole che non si dicono ma che ci sono, che non vengono espresse ma comunicano moltissimo. Purtroppo non siano abituati al silenzio, anche perché la rete ci costringe alla reazione immediata, alla risposta come impulso, priva di riflessione, non ci induce al silenzio. A me viene in mente quando Papa Francesco, lo scorso marzo, ha attraversato una piazza San Pietro completamente svuotata dei suoni e delle persone dal Covid. Ecco, in quella piazza muta è condensata la potenza del silenzio, un silenzio che in quel momento raccontava, anche a chi non crede, la sofferenza e lo spavento che provavamo tutti. Nella pratica quotidiana, ciascuno di noi sperimenta la potenza del silenzio: se sui social una persona ci pone una domanda e noi non rispondiamo, stiamo comunicando in maniera potente qualcosa, così come quando usciamo da un gruppo senza dare spiegazioni. Voglio dire che il silenzio può anche diventare un’arma. Dall’altra parte, il silenzio può rappresentare quel tacere che ci consente di riflettere, di scegliere le parole con attenzione, per prenderci tutto il tempo necessario a esprimere al meglio quel che pensiamo.
In questi quattro anni il manifesto ha ispirato tanti progetti editoriali, trasmissioni tv, ha accompagnato il lancio di una serie di Netflix e molte iniziative in multinazionali notissime, oltre che dibattiti diffusi nelle scuole, nelle università, nei luoghi della politica. Per non dire, soprattutto, dei tanti eventi diffusi in rete. Programmi in cantiere?
Sono successe cose incredibili, tutte mosse da quell’onda partecipativa che segue il Manifesto ovunque arrivi. Oggi il Manifesto, grazie a migliaia di esperti e comuni cittadini che rispondono alle sue chiamate, ha un declinazione per la scuola, una per le aziende, una per lo sport, la politica, la pubblica amministrazione, l’infanzia, l’inclusione, la scienza. A breve lanceremo una survey con il sostegno dell’Istituto Toniolo tra gli insegnanti di ogni ordine e grado e gli studenti della secondaria di secondo grado con l’obiettivo di restituire una fotografia della situazione emotiva e didattica del mondo della scuola. A questo si aggiunge un progetto didattico smart dedicato alle scuole secondarie che coinvolgerà tre volti notissimi: la youtuber Sofia Viscardi e i cantanti Coma_Cose, che parteciperanno al Festival di Sanremo.
Dove sarà Parole O_Stili tra dieci anni?
Spero non esisterà più. Vorrà dire che avremo portato a termine il nostro compito e avremo imparato a vivere finalmente in maniera serena la rete.