Quando un bicchiere, un piatto o un vaso prezioso cadono frantumandosi in mille pezzi spesso la nostra reazione istintiva è quella di disfarcene, magari gettando via i cocci con frustrazione e dispiacere. Se dovessimo associare il fallimento a una immagine non mancherebbe quella di qualcosa che va in frantumi e il cui fragore ci risuona per giorni nelle orecchie. Ma è sempre così irrimediabile ciò che ci accade di negativo? E può da un fallimento nascere qualcosa di migliore e di più creativo?
L’arte giapponese del Kintsugi ribalta la concezione tradizionale del fallimento. Invece di nascondere le fratture le esalta, trasformando le crepe in oro. Con questa pratica millenaria, ogni frammento di ceramica rotto diventa un’opera d’arte unica e non replicabile. La tecnica del Kin (oro) – tsugi (riparare) non si limita infatti a riparare l’oggetto, ma valorizza le imperfezioni rendendo l’oggetto vecchio un prodotto nuovo e unico. E trasforma ogni crepa in una trama da esibire con orgoglio. In una storia da raccontare, come quella che state per leggere.
Quell’errore geniale di Takahiko Kondo
Siamo nella cucina dello chef – oggi numero uno al mondo – Massimo Bottura. Con lui il suo il sous chef Takahiko Kondo. La sala è piena, alcuni tavoli sono quasi alla fine della cena, manca solo il dolce. È tutto pronto per servire due crostatine al limone.
Un attimo prima di servire in sala, Kondo afferra due piatti, ma fa un movimento sbagliato: parte rimane sul piano di lavoro, l’altra cade per terra. Per poco non sviene dalla vergogna. Voleva immolarsi: sapete, in Giappone non si scherza quando si fallisce. Continua a chiedere scusa allo chef Bottura. Nella cultura nipponica è cosi profondamente radicata la simpatia per il perdente e per chi commette errori che si è coniata l’espressione hoganbiiki.
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La visione di Massimo Bottura
Ma lo chef stellato trova bellissimo l’originale impiattamento: il gelato al lemongrass abbracciava, da un lato, la frolla rotta in tre pezzi e dall’altro lo zabaione, non più costretto a rimanere nel perimetro della pasta, colorava il piatto in più punti di giallo intenso. Così suggerisce a Taka di ricostruirla nel piatto come se fosse stata spezzata volontariamente. In quel momento è nato uno dei dessert più famosi dell’Osteria Francescana: Oops! Mi è caduta la crostata al limone.
Gli errori possono essere una fonte di ispirazione e di creatività per coloro i quali riescono a cogliere la bellezza dell’imperfezione e dell’imprevedibilità, riuscendo così a dare vita a nuovi significati, a nuovi piatti e a più innovativi prodotti. «Bisogna distruggere la tradizione per poterla ricreare» afferma Bottura. È questo è vero sia che si tratti di una ricetta che di una nuova idea tecnologica.
Ogni storia è importante
In un articolo scientifico dal titolo «Made by Mistake. When Mistakes Increase Product Preference» (2017), le ricercatrici Taly Reich, Daniella M. Kupor e Rosanna K. Smith dimostrano che esiste un potenziale vantaggio nel condividere gli errori commessi non intenzionalmente nella creazione del prodotto perché possono migliorare l’unicità percepita.
Se i consumatori ricercano prodotti con caratteristiche uniche, evidenziare gli errori potrebbe aumentarne la domanda. Nick Morgan, esperto di comunicazione, scrittore, coach e docente a Princeton, ritiene che la chiave dello storytelling sia la vulnerabilità. I consumatori consumano non solo il prodotto, ma anche la sua storia di creazione.
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Uno storytelling aziendale incentrato su percentuali relative al fatturato o sul numero di clienti non suscita certo grandi emozioni e spesso i numeri da soli raccontano poco. Invece, prendere spunto da episodi di vita vissuta, raccontare gli aneddoti che illustrano la lotta, i momenti critici e gli ostacoli superati fa apparire le storie autentiche. Una narrazione in cui c’è un concorrente da battere, una sfida del mercato da superare, un errore da trasformare in opportunità riesce a coinvolgere più facilmente gli altri.
Magari un dipendente, perché si sentirà motivato ad affrontare in modo diverso le proprie difficoltà. Un cliente che apprezzerà la vostra onestà. Un investitore che sarà persuaso a sostenere una vostra idea. Uno storytelling autentico e sincero che contiene un fallimento rafforza i successi della vostra storia, crea la giusta tensione nella narrazione del vostro business e vi aiuta a trasmettere un messaggio positivo a chi, dopo una battuta d’arresto, si sente scoraggiato e solo.
Le 3 regole d’oro
La prima regola ce la ricorda T. I.Rubin «Il problema non è che vi sono problemi, il problema è aspettarsi che non ce ne siano e pensare che avere un problema sia un problema». Accettare ciò che inevitabilmente può accadere ci aiuta a trovare soluzioni originali e creative. La seconda regola è imparare a scomporre un problema per osservarlo da punti di vista differenti. Fatelo a pezzi come la crostata al limone e poi applicate la terza regola. La terza regola è praticare l’arte del Kintsugi. Un’arte e una metafora che ci ricorda che le rotture possono diventare occasioni di crescita e che sono fonte di innovazione per chi è disposto ad accoglierle. Impariamo a valorizzare ogni fallimento e a trasformare ogni errore, come farebbe un bravo alchimista, in oro.
E voi che lezione avete appreso? Se volete raccontarmi la vostra storia di fallimenti e lezioni apprese, scrivetemi qui: redazione -chiocciola – startupitalia.eu