All’Università di Pavia nasce ITIR, centro di ricerca sull’innovazione trasformativa. Obiettivo: superare la distanza tra discipline umanistiche e tecnologiche, tra accademia e imprese. Ne scrive per il nostro longform della domenica Stefano Denicolai, presidente del nuovo hub
L’accademia italiana vive uno strano paradosso: è ricca più che mai di ricercatori che il mondo ci invidia, ma al tempo stesso propone pochi centri di ricerca con una certa visibilità e capacità di dialogare tanto con grandi imprese quanto con startup. La grand challenges del nostro tempo (come il cambiamento climatico o le pandemie) impongono profondi processi di trasformazione, impossibili da affrontare senza attingere a piene mani dal progresso scientifico. Da poco all’Università di Pavia è nato ITIR, un centro di ricerca interdipartimentale che intende raccogliere queste sfide, coniugando ricerca d’eccellenza, dialogo con le imprese, impatto su economia, ambiente e società.
Stefano Denicolai, presidente ITIR
Il paradosso italiano
Immaginate di avere di fronte dieci CEO di importanti imprese italiane e di chiedere loro quali siano i cinque centri di ricerca più importanti nel nostro Paese. Riuscirebbero tutti ad elencarne cinque? Siamo sinceri: difficilmente. Tuttavia – spoiler alert – non è certo colpa dei CEO, se non in minima parte.Si parta dalla seguente constatazione: l’Italia è un’eccellenza mondiale nella ricerca scientifica. Secondo i dati di Scimago, siamo l’ottava potenza al mondo per produttività scientifica negli ultimi 25 anni, al 6° posto nel 2021, addirittura al 2° posto se si considera la produttività scientifica per numero di abitanti. Vero, siamo sotto la media europea in quanto ad investimenti in ricerca sul PIL (vedi figura 1), ma il trend è in stabile crescita. Addirittura, secondo OECD negli ultimi 10 anni gli investimenti in ricerca crescono maggiormente in Italia (+24%) rispetto alla media europea (+17%). Non solo: se spendiamo meno rispetto al resto del continente, ma siamo comunque fra i primissimi al mondo per produttività scientifica, significa che siamo proprio bravi. Nonostante ciò, ben pochi nostri centri di ricerca sono nei radar delle imprese italiane.
Evidentemente, il problema non è una scarsa importanza assegnata a scienza e sviluppo tecnologico da parte del mondo imprenditoriale. Al più è vero l’esatto contrario. La pandemia, ad esempio, ci ha ricordato ancora una volta – e in modo brutale – quanto disperatamente abbiamo bisogno della scienza per ambire ad un società migliore, più equa e con maggior benessere. Tuttavia, a volte si sottovaluta l’importanza di ancorare il progresso scientifico alla “nuova realtà”: deve essere né troppo lontano, né troppo avanti rispetto a quanto chiede davvero la società in cui viviamo. Secondo il PWC-CEO Survey 2023 lo sviluppo di tecnologie dirompenti è sì una priorità molto sentita da parte dei top manager (nel 49% dei casi), ma comunque dietro alla capacità di comprendere i cambiamenti di consumatori e società (al primo posto: 56% dei casi). Secondo la teoria dell’overshooting innovativo di Clayton Christensen, non è tanto una questione di prontezza o time to market, quanto appunto di “allineamento”: società e tecnologia evolvono a velocità diverse, così che talvolta la tecnologia è fin troppo avanzata e propone cose che non servono (non ancora, o forse mai), mentre altre volte la società non trova quel che le serve davvero, mentre la scienza investe in altro.
Il filo rosso tra università e impresa
Si arriva così al nocciolo della questione: nelle Università nel nostro Paese si trovano eccellenze straordinarie, che però troppo spesso faticano a dialogare con il mondo delle imprese. A dire il vero, negli ultimi anni la situazione va migliorando: si pensi ai dottorati industriali o ai percorsi professionalizzanti accademici, oppure ad alcuni interessanti esperimenti, come i podcast dell’IIT-CNR. La strada da fare è tuttavia ancora tanta. Le ragioni alla base di questa situazione sono noti: incentivi ai ricercatori che spingono in altra direzione, distanza culturale tra aziende ed accademia, valore della “indipendenza della ricerca” che talvolta deraglia in autoreferenzialità, pochi investimenti nella comunicazione. A queste ragioni se ne aggiunge una ulteriore, spesso sottovalutata: il sistema della ricerca universitaria italiana è organizzato in modo da favorire la specializzazione e disincentivare l’interdisciplinarietà. Ciò crea gruppi isolati che – giocoforza – non hanno energie e incentivi per investire nelle relazioni con altri attori dell’eco-sistema. Il risultato è che – nonostante le oggettive eccellenze – abbiamo pochi centri di ricerca universitari con una forte reputazione anche fuori dal mondo accademico. Tant’è che secondo la classifica di Cybermetrics sui migliori centri di ricerca al mondo per trovarne uno italiano bisogna arrivare fino al 110° posto (l’Istituto Italiano di Tecnologia – IIT). Ciò stride palesemente con i dati di produttività scientifica sopra richiamati. Perché il mondo ci invidia i ricercatori ma non i centri di ricerca? Perché finché c’è da fare ricerca nei laboratori e pubblicare tutto fila liscio, il problema nasce quando questa ricerca va organizzata, sistematizzata, promossa e raccontata, con magari un po ‘ di spirito imprenditoriale.
Hellas Cena
Se la ricerca accademica italiana vuole farsi “filare” da imprese e startup deve rilanciarsi dal basso, riorganizzandosi attorno a “modelli di business” più agili, interconnessi e visionari, entro sistemi territoriali evoluti (come nel promettente distretto digitale beauty and fashion di Prato). Nell’epoca contemporanea l’innovazione stessa si sta ridefinendo: l’enfasi sulla scienza è sempre maggiore, purché quest’ultima sappia superare la distinzione fra ricerca “di base” e “applicata”, ambendo a scoperte dirompenti che siano dal giorno zero immaginate attorno a grandi problemi della nostra società e modelli di business innovativi. C’è chi descrive questo fenomeno come “Deep-tech”, un termine spesso frainteso in quanto non riguarda solo tecnologie particolarmente avanzate, quanto piuttosto un progresso scientifico che – dalle primissime fasi di ricerca – si interroga su: dinamiche di mercato, bisogni reali da soddisfare, impatto, processo di diffusione dell’innovazione.
Il nuovo centro di ricerca ITIR
In questo scenario, tutto è in profonda “trasformazione”, un termine sempre più usato ed abusato: business transformation, digital transformation, transizione ecologica, transformational leadership e chi più ne ha più ne metta. Ma siamo davvero di fronte a qualcosa di nuovo, o sono solo “buzzwords” alla moda senza sostanza? In fondo, imprese, società e settori si rinnovano da sempre. Come spesso capita, la verità sta nel mezzo: accanto ad alcuni capisaldi che probabilmente restano validi, le moderne “transformation” delineano forme di cambiamento con connotati originali, diversi dal passato. Siamo nell’era dell’innovazione trasformativa, dove ripensamenti radicali del modello di business, trasformazione digitale e transizione verso modelli sostenibili rappresentano un’unica traiettoria di cambiamento epocale, non tre differenti direttrici, come emerso anche nel corso del recente Festival del Management.
L’Università di Pavia ha deciso di accettare la sfida con il nuovo “Institute for Tranformative Innovation Research” (ITIR), un centro di ricerca multidisciplinare, coordinato da un dipartimento di economia e management che va a braccetto con altri di ingegneria, medicina, biotecnologie, scienze sociali. Nato a fine del 2022, ITIR ambisce a diventare un riferimento d’eccellenza per lo studio dell’innovazione trasformativa, un approccio all’innovazione che inquadra i cambiamenti in corso nelle organizzazioni alla luce delle grandi sfide che stiamo affrontando (cambiamento climatico, sviluppo di tecnologie esponenziali, crisi energetiche e geopolitiche, etc.). Un centro che fa del dialogo con imprese e società una priorità assoluta.
Il “Kick-off Day” del 31 marzo
ITIR si presenta al pubblico venerdì 31 marzo 2023 a Pavia con un evento dal format dinamico ed attuale. Oltre alla presentazione del centro da parte di Hellas Cena, ProRettore alla Terza Missione dell’Università di Pavia, la plenaria della mattina – moderata da Giampaolo Colletti – prevede un keynote speaker d’eccezione, ossia Andrea Carfì, Chief Scientific Officer di Moderna, nonché la presentazione – a cura del sottoscritto, Stefano Denicolai – di uno studio sulle aziende più trasformative d’Italia, ossia le aziende che più di altre sono state in grado di trovare sinergie di successo fra ripensamento del proprio business, trasformazione digitale, transizione ecologica e sociale. Attorno a questi momenti principali si sviluppano alcune tavole rotonde con ospiti d’eccezione, quali (in rigoroso ordine alfabetico):
- Ferdinando Auricchio, responsabile del progetto strategico Stampa3D@UniPV dell’Università di Pavia;
- Fausto Baldanti, Professore in Microbiologia (Università di Pavia) e Responsabile Virologia Molecolare, IRCSS Policlinico San Matteo Pavia;
- Fabio Benasso, Presidente Accenture Italia;
- Silvia Eleonora Campioni, Chief Innovation Officer – Gruppo Lactalis Italia;
- Ernesto Ciorra, Chief Innovability® Officer – Enel Group;
- Barbara Cominelli, CEO JLL Italy;
- Federico Forneris, Professore in scienze biomolecolari, Pro-Rettore alla Ricerca, Università di Pavia;
- Salvatore Majorana, Direttore Kilometro Rosso;
- Carlo Mango, Direttore Area Scientifica e Tecnologica, Fondazione Cariplo;
- Fiorenzo Omenetto, Dean of Research, Tufts University (US);
- Luca Travaglini, CEO di Planet Farms.
Nel pomeriggio sono previste una serie di sessioni tematiche parallele, finalizzate a confrontarsi su concrete progettualità e stimolare il networking fra i partecipanti. Programma completo dell’evento e form di registrazione sono disponibili al link: https://itir.io/kickoffday.
Andrea Carfi
Gli anglosassoni usano dire “It takes two to tango”: serve essere in due per ballare il tango. In altre parole, parcellizzare non serve: trasformazione digitale e transizione sostenibile, università e imprese, tecnologia e discipline umanistiche, sono mondi che si devono prendere a braccetto per accelerare l’innovazione in Italia. La sfida è lanciata: la ricerca italiana ha nelle sue corde la capacità di rinnovarsi e diventare intrigante agli occhi di società ed imprese, senza snaturarsi, è solo un’utopia? In ITIR scommettiamo sulla prima risposta: chi si unisce alla scommessa?