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Cosa si intende per innovazione strategica e quali condizioni la favoriscono? Intervista a Giovanni Valentini, titolare della nuova cattedra Luiss, che sarà finanziata per 10 anni dalla multinazionale italiana
Didattica, ricerca e divulgazione nel campo dell’innovazione strategica costituiscono i tre elementi cardine della nuova cattedra Luiss in “Strategic Innovation”, appena lanciata dall’Ateneo, e finanziata grazie all’accordo con Angelini Industries, gruppo multi-business italiano, attivo nei settori del farmaceutico, largo consumo, tecnologia industriale, profumeria e dermocosmesi, vitivinicolo e venture capital, guidato dal CEO Sergio Marullo di Condojanni.
Con l’avvio della nuova Chair in “Strategic Innovation”, finanziata per 10 anni, l’Università intitolata a Guido Carli consolida la sua posizione di hub di eccellenza nel campo dell’innovazione, grazie a una top faculty composta da accademici di caratura globale come Henry Chesbrough, Maire Tecnimont Chair in Open Innovation and Sustainability, nonché Direttore del Garwood Center for Corporate Innovation della Berkeley University of California e padre dell’open innovation.
Titolare della nuova cattedra sarà Giovanni Valentini, già professore alla IESE Business School, nonché co-editor di Industrial and Corporate Change, Associate Editor di Management Science e Chair del Knowledge & innovation Interest Group della Strategic Management Society. Gli studi di Valentini – che ora entra a far parte del Centro di Ricerca Luiss “Leadership, Innovation and Organisation” (CLIO) – si incentrano sull’analisi del ruolo dell’innovazione nello sviluppo del vantaggio competitivo delle imprese, anche attraverso la combinazione di conoscenze interne ed esterne, e sono stati pubblicati su importanti riviste accademiche come Journal of International Business Studies, Management Science, Organization Science e Strategic Management Journal.
StartupItalia ha intervistato il professor Giovanni Valentini per approfondire i temi dell’innovazione strategica, al centro del suo nuovo incarico in Luiss.
Professore, quali sono gli obiettivi della nuova Angelini Industries Chair in “Strategic Innovation” a lei assegnata?
Innanzitutto, puntiamo a una proficua condivisione di obiettivi ed esperienze, fra Luiss e Angelini. Abbiamo obiettivi di ricerca per mettere in campo progetti comuni che si focalizzeranno su come le imprese possano ottenere un vantaggio competitivo sostenibile attraverso l’innovazione. Progetti di ricerca che siano al contempo rigorosi e ad alto impatto, rilevanti sia per l’azienda che per la società. E poi ci sono obiettivi di formazione, a diversi livelli, sia in Luiss con la partecipazione di manager di alto livello della multinazionale italiana, così come con la mia partecipazione in momenti di formazione in Angelini Industries.
Cosa si intende esattamente per innovazione strategica e quali sono i suoi caratteri peculiari?
Una “decisione strategica” è caratterizzata da un alto livello di interdipendenza con altre decisioni che vengono prese contemporaneamente nell’azienda, con decisioni di altri attori economici e nel tempo per la stessa azienda. Quindi, ciò che rende una decisione strategica è l’interdipendenza. In questo senso, l’innovazione strategica è un’innovazione che parte dalla tecnologia, ma che poi consente di creare valore attraverso una nuova value proposition, considerando anche tutte le interconnessioni con le altre attività aziendali, dal marketing alla produzione, ma anche all’interno dello stesso processo di innovazione, ad esempio fra fonti di conoscenza interne ed esterne all’azienda.
Quali sono le condizioni che favoriscono l’innovazione strategica?
In generale, ce ne sono di due tipi: condizioni esterne, che riguardano le istituzioni, e condizioni interne all’azienda. È su queste ultime che mi chiederei, in generale, cosa blocca l’innovazione: spesso le aziende non cambiano perché restie al cambiamento.
Quali possono essere i motivi?
Per quattro motivi essenzialmente: un primo motivo è perché può mancare una percezione della necessità del cambiamento, cioè l’azienda non capisce che deve cambiare o non capisce che se non cambia la sua performance andrà a deteriorarsi nel tempo. Il secondo motivo è che l’azienda lo capisce, ma non vuole cambiare per ragioni, ad esempio, di corto respiro. Il terzo motivo può essere che l’azienda capisce che deve cambiare, vuole cambiare, ma non ne ha le capacità, non sa cosa fare. L’ultimo motivo è che l’azienda sa che deve cambiare, vorrebbe cambiare, saprebbe cambiare, ma è difficile riuscire a coinvolgere tutto l’ecosistema aziendale nel processo di cambiamento.
Considerati questi ostacoli, quali sono i fattori che favoriscono il cambiamento, l’innovazione strategica?
In primis, un’attenzione agli avvenimenti esterni, a quei segnali che dovrebbero spingere l’azienda alla necessità di cambiamento. Un orientamento di lungo periodo per rendere profittevole l’azienda. E poi sia delle capacità tecniche, che consentono di rendere concreta l’innovazione, che di leadership, per implementare questa innovazione, coinvolgendo tutta l’azienda nel processo di cambiamento.
In Luiss insegna anche Henry Chesbrough, padre dell’open innovation. Secondo lei, c’è ancora una distanza tra questo approccio e una serie di settori aziendali?
Dopo quasi 20 anni dall’introduzione di questo approccio, io credo che ormai sia penetrata ovunque l’idea generale di essere aperti alle conoscenze esterne senza pregiudizio e all’opportunità di commercializzare anche le proprie idee all’esterno, lasciando che siano altri a svilupparle. Non credo ci siano settori particolarmente arretrati, sotto questo aspetto. Certo, laddove il mercato e la tecnologia funzionano meglio, per esempio dove è più facile ottenere brevetti, allora in quel caso è anche più facile che vi sia open innovation.
La cattedra a lei assegnata nasce dalla partnership tra Luiss e Angelini Industries. Quale valore può nascere dalla partnership tra mondo accademico e industriale per economia e società, oltreché per questi stessi ambiti?
Sappiamo da vari studi che la collaborazione con l’università è utile per le aziende, non solo perché fornisce loro quella ricerca di base che spesso può mancare insieme ad altri fattori, ma anche perché aumenta quella che si chiama “capacità di assorbimento” dell’azienda, cioè la capacità di capire quale conoscenza esterna cercare e come assorbirla al proprio interno nel migliore dei modi. Sappiamo anche da studi recenti, alcuni riportati anche su Nature, che la produttività dei ricercatori può migliorare nella cooperazione con realtà industriali. Quindi, da un lato, abbiamo aziende che diventano più produttive e, dall’altro, ricercatori che diventano più produttivi. Il ritorno indiretto per la società, nel caso di collaborazioni proficue tra industria e accademia, è chiaro.
Cosa significa per lei questo nuovo incarico alla Luiss?
Oltre alla contentezza di essere tornato in Italia, provo un grande entusiasmo all’idea di essere parte attiva dell’ulteriore processo di crescita e internazionalizzazione della Luiss, ed è un piacere e un privilegio poterlo fare in partnership con Angelini Industries.