Atenei ed enti di ricerca, in competizione fra loro per l’attenzione del pubblico e dei finanziatori, si affidano sempre più spesso a uffici stampa gestiti da professionisti della comunicazione per guadagnare visibilità. Con una preferenza per i media tradizionali rispetto ai canali social (e i rischi che tale confronto comporta)
La divulgazione delle scienze naturali e umanistiche cambia pelle: atenei ed enti di ricerca, in competizione fra loro per l’attenzione del pubblico e dei finanziatori, si affidano sempre più spesso a uffici stampa gestiti da professionisti della comunicazione per guadagnare visibilità. La conferma arriva dal più ampio studio finora condotto sulla comunicazione esterna degli istituti di ricerca, pubblicato a luglio sulla rivista Plos One.
Lo studio si basa su un’analisi di oltre duemila dipartimenti universitari e centri di ricerca di otto nazioni (Brasile, Germania, Giappone, Italia, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Stati Uniti) e mostra come le risorse dedicate alla comunicazione istituzionale siano ovunque in crescita, con ricadute tangibili nel rapporto fra il mondo della ricerca e la cittadinanza.
Se il dialogo con la società è essenziale
«Si tratta di una tendenza inarrestabile e ormai consolidata anche in Italia», spiega il sociologo Giuseppe Pellegrini, presidente di Observa e docente di Innovazione, tecnologia e società all’Università di Trento, tra gli autori dello studio. «Oggi i ricercatori operano in un contesto internazionale dove il dialogo con la società è considerato essenziale e impone di investire in competenze comunicative per promuovere e sostenere la ricerca. Gli enti che si sono già attrezzati avranno maggiori possibilità di reperire finanziamenti, assicurarsi il sostegno dei decisori politici e dell’opinione pubblica, reclutare ricercatori e studenti».
Una vecchia storia
In fondo è una vecchia storia: senza arrivare a scomodare i satelliti medicei di Giove scoperti da Galileo e dedicati al tutore e mecenate Cosimo II de’ Medici, le scienze moderne si confrontano da sempre con la necessità di guadagnarsi il riconoscimento pubblico e i favori dei finanziatori. Tra le due guerre mondiali i legami dell’impresa scientifica con i poteri politici, militari e industriali divennero espliciti, con riflessi che ancora oggi si riverberano nella corsa al vaccino contro la Covid-19, ammantata da forti interessi geopolitici.
Negli anni Ottanta la necessità di legittimare le ricerche in ambiti controversi come le biotecnologie ha fatto comprendere alla comunità scientifica l’importanza di avere voce in capitolo nel dibattito pubblico. Per gli stessi ricercatori, dialogare con la società è diventata una necessità inderogabile. E così negli ultimi decenni si è assistito a una progressiva istituzionalizzazione della comunicazione pubblica delle scienze naturali e umanistiche, divenuta parte integrante dell’operato delle università e dei centri di ricerca di tutto il mondo.
Mass media ed eventi
Ancora oggi, tuttavia, sono soprattutto le istituzioni più grandi e con budget più elevati a poter disporre di staff di professionisti dedicati alla comunicazione che, oltre a curare le relazioni con i giornalisti, si occupano dei contenuti pubblicati online, dell’organizzazione di eventi (open day, festival, caffè scientifici, conferenze pubbliche, ecc.), del reclutamento degli studenti e della sempre cruciale ricerca di fondi. Questo complesso di attività si riflette in una più assidua presenza sui mass media e nella maggiore capacità di organizzare eventi pubblici, che in Italia restano il canale più sfruttato per avvicinare le scienze ai cittadini.
Educazione vs confronto
Secondo quanto riporta l’ultimo Annuario scienza tecnologia e società pubblicato da Observa, nel 2018 il 90% degli enti di ricerca italiani ha organizzato almeno un open day, un workshop o una visita guidata ai laboratori, e si è fatto promotore di conferenze pubbliche. Meno diffuse le iniziative di confronto, come i caffè scientifici, e la presenza di esperti a eventi partecipativi e/o deliberativi, che hanno coinvolto meno della metà degli enti di ricerca italiani. L’interesse prevalente, specie nell’ambito delle scienze naturali, resta la divulgazione dei risultati della ricerca piuttosto che il coinvolgimento attivo dei cittadini. L’intento educativo trova conferma anche nel fatto che i principali destinatari della comunicazione sono le scuole e il pubblico generalista, mentre altri stakeholder, come il mondo delle imprese, le amministrazioni pubbliche e le organizzazioni della società civile, sono raggiunti in misura minore.
Se l’attività di comunicazione è in crescita
Dai risultati dello studio internazionale pubblicato su Plos One emerge inoltre che circa la metà degli istituti indagati ha adottato specifiche policy per gestire la comunicazione pubblica e si affida a un ufficio stampa o a personale dedicato. La spesa per le attività di comunicazione assorbe in media il 3% del budget destinato alla ricerca, ma ci si aspetta un’ulteriore crescita nei prossimi anni, insieme a un maggiore coinvolgimento degli stessi ricercatori nelle attività di comunicazione. L’Annuario di Observa svela però che in Italia, nonostante la diffusione degli uffici stampa, spesso il personale impiegato non si dedica a tempo pieno alle attività di comunicazione, e soltanto in un caso su quattro può vantare esperienze professionali nel marketing, nelle pubbliche relazioni o nel giornalismo.
Lo scarso utilizzo dei social media
Entrambi gli studi indicano inoltre che l’impiego dei social media è ancora marginale e in gran parte limitato a Facebook e Twitter, trascurando altri canali come Instagram e Youtube preferiti dalle fasce più giovani della popolazione. A questo contribuisce una certa diffidenza nei confronti dei social media, visti come un luogo in cui proliferano pregiudizi antiscientifici e teorie del complotto, e comunque inadatto a spiegare la complessità delle scienze. Si tratta di atteggiamento diffuso anche tra le istituzioni di ricerca italiane, più interessate a comparire sui media tradizionali, e in particolare sulla stampa, nonostante la fuga di lettori degli ultimi anni. «I nostri enti di ricerca sono attivi sui social, ma spesso non hanno competenze dedicate per presidiare con continuità queste piattaforme e curare l’identità e la reputazione online dell’istituzione», racconta Pellegrini.
Carriera scientifica e comunicazione
Eppure in questi mesi segnati dalla pandemia di Covid-19 abbiamo assistito a una notevole presenza mediatica di virologi, epidemiologi e immunologi, sia sui social, sia sui mass media tradizionali. Non è chiaro come evolverà questo fenomeno, perché se da un lato è evidente che gli scienziati più abili nel comunicare possono ritagliarsi un ruolo di opinion leader (o, se preferite, di influencer) nell’odierna sfera pubblica, dall’altro gli uffici di comunicazione più preparati potranno cercare di sfruttare – e magari incoraggiare – la visibilità mediatica dei loro ricercatori per promuovere anche l’istituzione a cui sono affiliati. «Alcuni uffici stampa già fanno scouting fra i ricercatori in cerca di una buona storia da raccontare e non dubito che in futuro la carriera scientifica possa dipendere anche dall’impegno e dai successi nella comunicazione pubblica in grado di elevare la visibilità degli enti di ricerca», azzarda Pellegrini.
I rischi della competizione
Resta da capire come tutto questo modificherà la percezione pubblica del mondo accademico e della ricerca scientifica. Se della celebre torre d’avorio non sembra più restare che un cumulo di macerie, il rischio è che la competizione per la visibilità possa finire per selezionare le discipline e gli studi più appetibili in termini di notiziabilità, anziché favorire una più ampia condivisione delle conoscenze scientifiche nella sfera pubblica. Durante la gestione della pandemia di Covid-19, diversi commentatori hanno giudicato persino eccessiva l’esposizione mediatica di medici e scienziati, apparsi spesso in disaccordo fra loro in una complessa situazione di emergenza. E pensare che prima della pandemia gli studi indicavano proprio la comunità medica come quella meno propensa a esporsi pubblicamente, a riprova di quanto in quest’ambito in rapida evoluzione le cose possano cambiare in fretta.