«Le bussole del passato non riescono più a orientarci. Da un mondo di orologi ci dirigiamo verso un mondo di nuvole». Così Bellini, che ha attraversato in barca a remi prima l’Atlantico e poi il Pacifico. Oggi rema lungo i fiumi più inquinati e lancia un monito: attenti al nostro impatto sul mondo. Il suo intervento al SIOS23 Summer a Roma
Un filosofo austriaco di nome Karl Popper aveva detto che ci stiamo muovendo da un mondo fatto di orologi ad un mondo fatto di nuvole. Ovviamente era una metafora. Che cosa indica la metafora dell’orologio? Il tempo è preciso e scandito. Non ci sono grandi cose che ti puoi aspettare, nessun grande imprevisto, a meno che non si fermi l’orologio. Quali sono le competenze necessarie per navigare in un mondo fatto di orologi? Saper leggere l’ora, chiaramente, non avere problemi di vista. Ma quali sono le competenze imprenditoriali o le competenze psicologiche necessarie per poter navigare in un mondo fatto di orologi? Programmazione, velocità, scaltrezza. Ci stiamo muovendo quindi da questo mondo ordinato, preciso, definito ad un mondo fatto di nuvole. Che cosa sono le nuvole metaforicamente parlando? L’incertezza. Tanto più ci si avvicina alla nuvola quanto più la nuvola è evanescente. Quali sono le caratteristiche comportamentali necessarie per navigare in un mondo fatto di nuvole? Orientamento, elasticità, intuizione, saper anche comprendere, coraggio. Anche un po’ di cautela. Per navigare nelle tempeste del futuro serve una certa grazia, sapendo di avere a che fare con un cavallo imbizzarrito.
Vi chiedo di immaginarvi per un secondo di essere un navigatore sulla vostra barca, una zattera, una barca a vela, di partire dal vostro porto, di avventurarvi per un oceano. Che cosa succede nel momento in cui perdete di vista anche l’ultimo pezzo di terra che vi tiene in qualche maniera collegati emotivamente alla riva? Riuscite a sentire la sensazione di vuoto che si propaga? Vi siete preparati per una vita, avete la migliore imbarcazione, avete un equipaggio straordinario, ma in quel momento in cui perdete di vista la terra, le gambe tremano e tremano al cospetto della vastità di questo oceano.
Allontanarsi da terra
Le gambe tremano anche perché si svela il grande bluff. E il bluff è tutto quello che avete fatto finora: non è servito a niente, perché in quel momento vi trovate per la prima volta in un grande mare di cacca. Perché effettivamente le correnti, i venti, la meteorologia sono tutti elementi che non possiamo controllare e quello che ci rimane da poter controllare è quanto alzeremo le vele, con quale atteggiamento prenderemo in mano il timone e con quale atteggiamento risponderemo alle insidie della vita. Una volta una persona mi ha chiesto: «Ma perché lo fai?». Perché voglio che la morte mi trovi vivo. Se c’è un perché che accomuna tutte le mie attività passate, presenti e future, è la volontà di fare del mio meglio affinché la morte mi trovi impegnato a fare qualcos’altro. Pensiamo cosa debba significare morire di noia.
Io sono originario della Valtellina, sono quindi un montanaro, però la mia vita sarà sempre e comunque segnata e collegata al mare, all’oceano. Nel 2004 mi è venuta la pazza idea di attraversare l’Atlantico a remi. Il primo tentativo durò solo sei ore: avevo sbagliato giornata, ero talmente carico che non avevo capito di aver sbagliato il momento. Qualche giorno dopo andò meglio: dopo 23 giorni venni preso dal maltempo e il maestrale mi riportò a ridosso delle Baleari, dove naugrafai. In quel momento capii che dovevo cambiare qualche cosa. Non è un caso che per due volte io sia naufragato: ero superficiale, mi ero preparato per quel naufragio. Ero l’unico responsabile, ma ne feci tesoro.
Cosa si può controllare davvero
Tornai a casa, con la volontà più forte di prima. Dopo sette mesi e mezzo di traversata riuscii ad arrivare in Brasile, il 2 maggio del 2006. Quando ho messo il piede a terra ho detto: mai più. Però poi dopo un mese e mezzo già guardavo al Pacifico. È il più grande oceano e farlo su una barca a remi significava stimare una navigazione di dieci mesi. Ma ero pronto? Una parte di me cercava di trattenersi, l’altra invece rispondeva alla chiamata. C’era qualcosa ancora da conoscere, di me. La lezione non tardò ad arrivare: partì da Lima indirizzando la prua verso ovest. 18mila km. Ho imparato la lezione sette mesi dopo la partenza, in un momento di grande difficoltà: guardavo al cielo nella speranza qualcuno mi portasse via, era sofferenza del cuore. Per tanti mesi il mare era stato gentile, ma poi è cambiato. Tutto è diventato imprevedibile. Ho trovato soluzione allo sconforto, ma perché mi ha chiamato mia moglie, dicendomi che non ero da solo. Hai le spalle coperte dal tuo team, furono le sue parole. Mi ha detto di ricordarmi perché avevo cominciato e di concentrami sulle cose che potevo controllare.
Le cose andarono per il verso giusto. La vita talvolta però ha in serbo sorprese: a 60 miglia dall’Australia ho dovuto fermarmi per un peggioramento delle condizioni meteo. Ho risposto con cautela e ho preferito farmi accompagnare da un rimorchiatore neozelandese. Dal 2019 navigo sui fiumi più inquinati di plastica al mondo. L’esplorazione diventa occasione per divulgare. Lo faccio su zattere che costruisco io, con un messaggio che porto sulla vela: “Siamo tutti sulla stessa barca”. Nel 2024 tenterò la prima spedizione italiana al polo nord geografico. Lo farò da solo.