Contemporaneo, futurista, predittivo. È il pensiero del giurista venuto a mancare cinque anni fa. Su Startupitalia il ricordo di Guido Scorza, avvocato, giornalista e attualmente Componente del Collegio del Garante per la protezione dei dati personali
Sono da poco passati i primi cinque anni dalla scomparsa di Stefano Rodotà, ex vicepresidente della Camera dei Deputati, ma soprattutto primo Presidente e founder, direbbe uno startupper, del Garante per la protezione dei dati personali. L’anniversario della sua scomparsa è un’occasione per ricordare la straordinaria attualità e modernità del suo pensiero e la sua ineguagliabile capacità di guardare al futuro e predire sfide, scenari, questioni che noi oggi ci troviamo ad affrontare. Rileggere Stefano Rodotà è la via più semplice per governare un futuro che è sempre più vicino al presente. E questo riguarda gli ambiti più diversi della nostra vita.
Le promesse della tecnologia, le debolezze della politica
Cominciamo dalla politica, dalla pubblica amministrazione e dalla sua trasformazione digitale protagonista importante del PNRR. “La tecnologia è prodiga di promesse, propone ormai soluzioni per qualsiasi problema. Coglie la politica in un momento di debolezza, e la sfida con una invadenza che può ridurne spazio e funzione. Non si discute il contributo grandissimo che le tecnologie già danno, e continueranno a dare, all’efficienza amministrativa ed alla stessa costruzione di un nuovo spazio politico. Ma sempre più spesso accade che i poteri pubblici, centrali o locali, si abbandonino ad una sorta di fiduciosa (o incosciente) deriva tecnologica”. Stefano lo scrive nel 2004 in uno dei suoi editoriali su La Repubblica, uno dei tanti sentieri che amava percorrere da giurista della società, nella società e per la società, rifuggendo l’idea che il giurista potesse o addirittura dovesse rinchiudersi nella torre d’avorio dell’università e rinchiudere il suo pensiero esclusivamente nelle riviste scientifiche.
Ma quelle parole sono oggi più attuali che mai in una stagione delle cose della politica anche di casa nostra nella quale troppo spesso sembra cedersi al principio secondo il quale tutto quello che è tecnologicamente possibile dovrebbe, per ciò solo, ritenersi anche giuridicamente legittimo e democraticamente sostenibile. È stata dura – anche se, probabilmente, alla fine ci siamo riusciti – scongiurare il rischio che l’emergenza pandemica giustificasse forme di tecno-compressione delle libertà individuali semplicemente insostenibili. Penso all’esperienza di Immuni, l’app di tracciamento della prima stagione pandemica che – a prescindere da se e quanto abbia funzionato per ragioni ben poco tecnologiche e molto organizzative – ha dimostrato che si può tracciare la circolazione di un virus senza tracciare le persone.
Ma penso anche al GreenPass che prima di trasformarsi nell’ormai celeberrimo QR Code ha rischiato di essere una specie di carnet sanitario in chiaro con il quale, attraverso il nostro smartphone, avremmo dovuto raccontare tutto della nostra condizione sanitaria anche semplicemente per bere un caffè. Ma penso anche all’eterna tensione tra la lotta all’evasione oggi anche grazie al ricorso all’intelligenza artificiale, agli algoritmi e ai big data e la disciplina sulla protezione dei dati personali. Guai a spuntare le armi a chi deve istituzionalmente andare a caccia degli evasori in nome della privacy, ma guai al tempo stesso a sostenere che il fine giustifica i mezzi e che semplicemente perché la tecnologia lo consente si dovrebbe lasciar far carne da macello della privacy di sessanta milioni di italiani per “pizzicare” qualche decina di migliaia di furbetti, elusori e evasori che accumulano fortune sottraendosi ai loro doveri nei confronti dello Stato e degli altri cittadini.
Tra tecnologia e privacy
E che il pensiero di Stefano Rodotà sia moderno, futurista, predittivo verrebbe da dire, ce lo suggerisce anche il fatto che nel rileggerlo oggi ci si trovano risposte a eccezioni, obiezioni, dichiarazioni spesso scomposte pronunciare ieri, l’altro ieri e ancora oggi da una congerie di personaggi politici diversi. “La legge sulla privacy non è più una tutela ma un ostacolo a tutto” [cit. Carlo Cottarelli], “La privacy è un intoppo burocratico” [cit. Carlo Calenda], “Non è possibile che non riusciamo a incrociare i dati sul Covid e sul reddito di cittadinanza perché c’è la privacy” [cit. Beppe Grillo], “Babbeo chi mette la privacy prima della salute” e “Non è il momento di fisime sulla privacy, c’è la vita dei cittadini in gioco. Usiamo al meglio la tecnologia che abbiamo per tracciare gli infettati e impedire i contagi. Subito”. E ancora “Quali sono stati i costi sociali, economici, sanitari e in termini di vite perdute dell’ostilità feroce alle applicazioni di tracciamento in nome della intoccabile privacy?” [cit. Roberto Burioni].
Stefano Rodotà queste parole – e le tante altre come queste pronunciate in libertà da decine di altri personaggi analoghi – non le ha sentite e non le ha lette, ma nel 2004, vent’anni fa, nel concludere la ventiseiesima conferenza internazionale sulla protezione dei dati personali di Breslavia, aveva già risposto a tutti: “La privacy non è un ostacolo, ma la via grazie alla quale le innovazioni scientifiche e tecnologiche possono legittimamente entrare nelle nostre società e nelle nostre vite.”.
“Ci manca, ci è mancata nei giorni della pandemia e continuerà a mancarci la sua capacità di ergersi a paladino dei diritti contro chi lascerebbe la mano libera a tecnologia, innovazione, robot e algoritmi”
Ci manca, ci è mancata specie nei giorni della pandemia e continuerà a mancarci la sua capacità di ergersi a paladino dei diritti – specie quelli degli ultimi – contro chi lascerebbe la mano libera a tecnologia, innovazione, robot e algoritmi anche a prezzo di comprimere oltre la soglia del democraticamente sostenibile i diritti e le libertà di milioni di persone. Ma per fortuna il suo pensiero gli è sopravvissuto e se continueremo a leggerlo e farlo nostro potrà guidarci nella resistenza non all’innovazione tecnologica, alla quale non ha senso resistere, ma al suo impiego indiscriminato anziché come amplificatore di diritti e libertà come rullo compressore di diritti e libertà nel nome di obiettivi che di volta in volta appaiono al decisore pubblico e all’opinion leader di turno come inconciliabili i diritti e le libertà delle persone.
La Carta dei Diritti della Rete
Ma Stefano era anche e soprattutto un giurista attento alle dinamiche del mercato, capace di usare le parole come un fioretto nell’ergersi a moschettiere dei diritti contro lo strapotere delle big tech con le quali pure sapeva dialogare e confrontarsi riconoscendo loro il merito di aver prodotto opportunità straordinarie per miliardi di persone, per i loro diritti e le loro libertà. Una delle sue battaglie incompiute, non a caso, era quella per un Internet bill of rights, una carta dei diritti della Rete. “La giusta pretesa di non essere sottoposti in Rete a regole restrittive di Stati invadenti e imprese prepotenti esige la definizione di principi costituzionali, che abbiano come fine proprio la garanzia di libertà e diritti”.
Ha scritto così, a modo suo, dritto per dritto, senza panegirici nelle poche pagine della prefazione che ha voluto dedicare a “Internet, i nostri diritti”, un libricino che ho scritto con Anna Masera per raccontare i lavori e i risultati di uno dei suoi ultimi sforzi: la commissione per la redazione di una dichiarazione dei diritti e dei doveri in Internet, istituita dall’allora Presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini e presieduta proprio da Stefano Rodotà.
“La giusta pretesa di non essere sottoposti in Rete a regole restrittive di Stati invadenti e imprese prepotenti esige la definizione di principi costituzionali, che abbiano come fine proprio la garanzia di libertà e diritti, ha scritto Rodotà”
Ecco, forse, è da lì che dovremmo ripartire mentre la società degli algoritmi e quella del metaverso avanzano. Investire meno tempo nello scrivere nuove leggi e regolamenti destinati a entrare in vigore già vecchi e superati dall’innovazione tecnologica e dedicarci, tutti insieme, in uno sforzo corale e multistakeholder per mettere nero su bianco una manciata di principi capaci di governare il presente e il futuro prossimo nella dimensione globale in maniera, moderna, aperta, partecipata e condivisa come, se fosse qui, probabilmente ci consiglierebbe di fare Rodotà. Più principi capaci di sopravvivere al tempo e, magari, di essere tradotti in codice e inoculati nelle tecnologie e meno regole di dettaglio vecchie prima di nascere e spesso semplicemente inapplicabili in un universo liquido, globale e in continuo divenire. Grazie Stefano, grazie sempre perché ancora oggi e probabilmente domani, se sapremo darti ascolto, continui e continuerai a indicarci la strada.
Guido Scorza è avvocato, giornalista e professore a contratto di diritto delle nuove tecnologie e privacy. È attualmente componente del Collegio del Garante per la protezione dei dati personali. È autore di alcuni libri tra i quali: “L’intelligenza artificiale, l’impatto sulle nostre vite, diritti e libertà” con Alessandro Longo (Mondadori), “La privacy spiegata ai più giovani (e ai loro genitori)” con Michela Massimi (Mondadori), “Processi al futuro” (Egea), “Internet, i nostri diritti” con Anna Masera (Laterza).