La pandemia non ha fatto altro che mettere sotto i riflettori ciò che normalmente accade dietro le quinte della ricerca. Se è vero infatti che le controversie sono il carburante della scienza, di solito queste avvengono al riparo dagli sguardi indiscreti dei non addetti ai lavori
Non eravamo abituati a vedere gli scienziati in disaccordo fra loro in tv o sui social media e siamo rimasti sorpresi nel constatare che è avvenuto proprio nel bel mezzo di un’emergenza, quando avremmo preferito ricevere indicazioni chiare sui rischi del nuovo coronavirus e sulle contromisure per proteggerci.
Eppure le dispute sono parte integrante del tortuoso processo di costruzione della conoscenza: un percorso accidentato, non privo di inciampi e vicoli ciechi, dove idee e teorie in conflitto fra loro sono discusse e messe alla prova finché la comunità scientifica non raggiunge una posizione condivisa, quel che in genere viene chiamato consenso scientifico. Che scienza sarebbe senza le dispute sulla teoria dell’evoluzione naturale o sui fondamenti della meccanica quantistica?
La pandemia non ha fatto altro che mettere sotto i riflettori ciò che normalmente accade dietro le quinte della ricerca. Se è vero infatti che le controversie sono il carburante della scienza, di solito queste avvengono al riparo dagli sguardi indiscreti dei profani; nelle sale di un congresso o durante il processo di peer review che precede la pubblicazione su una rivista specialistica, per intenderci, non certo in un talk show o con uno scambio di tweet, come invece è successo in questi mesi.
Il “bello” dei conflitti
I conflitti, del resto, piacciono ai mass media sia perché sono un potente motore narrativo, sia perché piacciono al loro pubblico, cioè a noi. In fondo non sono estranei neppure alla comunicazione della scienza fin dal suo più illustre capostipite: il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (1632) che Galileo scrisse in lingua volgare per facilitarne la diffusione e che inscena la contesa tra il sistema tolemaico e quello copernicano. In questi mesi, tuttavia, le controversie sulla pandemia sono sfociate in scontri verbali così accesi da spingere diversi commentatori a chiedersi che effetto potranno avere sull’immagine pubblica della scienza.
L’asso del pallone Michel Platini, da sempre allergico ai giornalisti, una volta ha detto che «persino Einstein, se intervistato tutti i giorni, farebbe la figura del cretino». Non è proprio vero: Einstein era molto famoso e finiva spesso sui giornali senza che la nomea del cretino gli sia rimasta addosso. Ma rende l’idea dei rischi a cui vanno incontro i cosiddetti “scienziati visibili”, in genere anche tra i più disponibili a rinunciare alle cautele tipiche degli uomini e delle donne di scienza per adeguarsi alle richieste dei media, che prediligono l’ipse dixit al dubbio, i giudizi tranchant al racconto della complessità, l’opinione personale al consenso della comunità scientifica.
Il rischio di alimentare lo scetticismo
Se da un lato le task force di tecnici e scienziati sono tornate al centro della scena, arrivando a dettare l’agenda alla politica nei momenti più bui della crisi, dall’altro ci si chiede se questa sovresposizione mediatica che enfatizza le opinioni discordanti non rischi di alimentare lo scetticismo dei cittadini nei confronti dei saperi esperti, e forse anche quel che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha chiamato infodemia, cioè un’epidemia di informazioni contraddittorie e non sempre affidabili.
Studiare il disaccordo tra scienziati
Da qualche anno il disaccordo tra gli esperti è diventato persino oggetto di studio. Ben prima che la Covid-19 irrompesse sulla scena, l’Università di Dublino aveva promosso il progetto When Experts Disagree per comprendere le ricadute delle contese scientifiche sulle politiche dei governi e sull’opinione pubblica. Con l’avvento della pandemia il problema è stato indagato da diversi studi e sondaggi e, come avrete già immaginato, i risultati sono contraddittori.
Secondo un’analisi della London School of Economics, per esempio, la fiducia nella scienza non verrà meno, ma gli scienziati rischiano di essere percepiti meno affidabili. In un sondaggio condotto in Gran Bretagna, al contrario, quasi due terzi degli intervistati afferma di essere diventato “più disponibile ad ascoltare le raccomandazioni di scienziati e ricercatori qualificati”. Un altro sondaggio condotto in Germania mostra risultati ancora più sorprendenti: quasi sette intervistati su dieci considerano utili le controversie scientifiche perché porteranno a risultati migliori nelle ricerche sul coronavirus Sars-Cov-2
Non esistono certezze inconfutabili
Un altro problema è che tutto questo è avvenuto durante un’emergenza. Sopraffatti dai timori per una minaccia in gran parte sconosciuta, cittadini e governi si sono rivolti alla comunità scientifica chiedendo risposte certe su quel che stava accadendo. Ma era un’aspettativa mal riposta. La scienza non può dispensare “certezze inconfutabili” perché, come asseriva Karl Popper, per essere definita scientifica una teoria deve essere confutabile. E di fronte a un rischio emergente, cioè un rischio che affrontiamo per la prima volta, categoria in cui un nuovo agente infettivo, l’incertezza è un fattore costitutivo, con cui fare i conti ed eventualmente venire a patti.
Mai sminuire il rischio
L’incertezza, però, non è una condanna all’inazione. Da tempo la comunicazione del rischio ha stabilito dei solidi principi per affrontare l’incertezza nella gestione delle emergenze. Se le conoscenze disponibili non bastano a indicare una soluzione univoca ma le decisioni non possono essere rinviate, allora occorre sbilanciarsi sempre dalla parte della sicurezza, preparandosi ad affrontare anche lo scenario peggiore. L’errore da non fare mai è invece sminuire il rischio, come invece è purtroppo accaduto quando l’epidemia è stata paragonata a una banale influenza o si è dibattuto se le persone contagiate morissero “con” o “per” il coronavirus.
L’antidoto contro l’incertezza
Ma la confusione è stata alimentata anche dal vuoto lasciato dalla comunicazione istituzionale, inevitabilmente colmato da altre voci, magari autorevoli, ma spesso discordanti. Nell’emergenza, invece, è compito delle istituzioni occupare il centro della scena e svolgere un ruolo di guida, offrendo ai cittadini il miglior antidoto contro l’incertezza: un’informazione coerente e fondata sulle conoscenze più aggiornate, senza timore di chiarire quel che si sa e quel che invece ancora non si sa. Dagli studi sulla comunicazione del rischio sappiamo che ammettere l’incertezza delle conoscenze disponibili non erode affatto la credibilità degli esperti e delle istituzioni; al contrario, la trasparenza rafforza la fiducia ed evita che le nuove scoperte vengano percepite come una smentita di quel che in precedenza era ancora incerto.
Senza dimenticare che gli sforzi compiuti per colmare l’incertezza non sono stati affatto vani: gli scienziati hanno violato ogni segreto del genoma di Sars-Cov-2, al punto che se avrete un paio d’ore potrei leggervi per intero la sequenza del suo RNA; sono stati messi a punto test per individuare le persone infette e quelle che hanno sviluppato gli anticorpi; mentre in tutto il mondo si sperimentano farmaci e vaccini. Ai tempi di Galileo, nessuno aveva mai visto un virus né un batterio e non sapevamo neppure cosa scatenasse le epidemie. Se tutto questo oggi è invece possibile, lo dobbiamo alle dispute fra gli scienziati.