Uno degli esempi storici più presenti nelle slide e negli articoli di consulenti e divulgatori per far comprendere l’importanza di un contenuto di valore nelle attività di marketing e comunicazione è quello della ormai celebre Guida Michelin. Il primo numero fu dato alle stampe proprio nel 1900. Internet era ancora lontana e la copertina era di color rosso fuoco, un rosso che durerà tanto nel tempo. Al centro la dicitura “Offert gracieusementaux Chauffeurs” che tradotto letteralmente vuol dire “Gratuito per i conducenti”.
In basso a destra l’indicazione temporale “Edition 1900”. Qualche anno prima, nel 1895, era toccato all’azienda americana John Deere pubblicare una rivista per i propri clienti agricoltori dal titolo The Forrow. La Guida Michelin segnalava i migliori ristoranti per chi viaggiava in macchina in Europa. Il magazine The Forrow pubblicava articoli con suggerimenti, indicazioni e informazioni sul mondo dell’agricoltura dato che “l’editore” produceva trattori e macchinari agricoli.
Alla ricerca del contenuto di valore
Sarebbe bastato seguire il loro esempio strategico, con tutte le evoluzioni e differenze del caso, per non deragliare da questo binario. Eppure ancora oggi, un secolo dopo, proprio negli anni in cui Internet prima e i media sociali poi sono diventati il terreno protagonista della relazione tra aziende, brand, prodotti e persone, assistiamo ad un bombardamento di contenuti autoreferenziali che non sono altro che una pubblicità che non ce l’ha fatta. Pubblicità che invece ha sempre più valore quando non si nasconde e decide di parlare il suo linguaggio in maniera chiara e onesta.
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Un capitolo del libro che ho scritto per Apogeo lo dedico proprio alla differenziazione tra marketing e comunicazione. Nell’ammettere che sì, certo, i due ambiti si parlano, si intrecciano e come dice Gianluca Diegoli (che del libro ha scritto la Prefazione) possono essere considerati “una matrioska” al cui interno trovi sempre l’altro sé stesso, c’è la necessità di sottolineare come la comunicazione non risolve i problemi di marketing.
L’equivoco che vuole il loro agire sinonimo ci porta ad avere sempre più – ad esempio – canali Instagram come dei “moderni” cataloghi prodotto. O e-commerce che prendono vita per volere di agenzie di comunicazione volenterose che non ha hanno mai parlato con il reparto marketing.
Nella smania di doverci essere e di dover far prevalere la presenza con la paura di essere dimenticati le aziende – ma anche le persone – pubblicano pensando che ciò possa bastare. Facendo un passettino più in là e arrivando al titolo di questo articolo, si sente spesso dire che i contenuti “giusti” che vanno pubblicati devono essere “contenuti di valore”. Ma quando un contenuto è di valore?
Cosa si intende per contenuto di valore?
Inserendo “contenuti di valore” come chiave di ricerca su Google i risultati sono circa 78.200.000. Ammetto di non averli visionati tutti, ma di essere da un bel po’ di tempo “da queste parti” per poter affermare che tra la formule segrete (ehm) da cui fuggire a gambe elevate e le matrici di buon senso, spesso e volentieri si perde di vista il punto centrale della questione.
Quando ti dicono che bisogna creare “contenuti di valore”, la prima cosa che dobbiamo chiederci è “ma valore per chi?”. Se non ribaltiamo questo punto di vista difficilmente riusciremo a valorizzare i nostri contenuti. Prima di tracciare le caratteristiche di un contenuto di valore, prima di pensare minimamente di standardizzare qualcosa, dobbiamo pensare al destinatario e non al mittente (cioè noi).
Alla base di quello che viene definito marketing dei contenuti, ovvero quelle attività di comunicazioni che si differenziano dalle più tradizionali attività di pubblicità (affissioni, spot tv, banner display, etc) c’è un assioma o un dogma che anni fa Joe Pulizzi del Content Marketing Institute descrisse in modo semplice ed efficace e che dice più o meno così: Before you can extract value from your audience, you have to deliver them consistent value (over time) first.
Ovvero: prima di poter estrarre valore dal tuo pubblico, devi prima distribuire del valore rilevante nel tempo. La traduzione è un po’ debole, ma il succo è semplice: alla base del content marketing vi è il continuo scambio. Non è un senso unico, ma un circolo che va alimentato nel tempo.
Creare un contenuto di valore
Qual è quindi il primo passo, a prescindere dalla tua entità, dalla tua industria, per creare un contenuto di valore? Quello di definire chi sei e soprattutto che tipo di vantaggio ha la persona che fruirà di quel contenuto. Non il contrario. La confusione e il fraintendimento maggiore è quello di aziende, agenzie e consulenti che ritengono che questo valore debba essere diretto a chi pubblica questo contenuto. Che bisogna creare “contenuti che convertono”, che ti portano alla vendita o al lead, più che alla relazione.
I contenti prestazionali, quei contenuti che parlano delle “presentazioni” dei prodotti (o di quanto siamo belli noi che siamo il centro del mondo) sono un tipico esempio di contenuti di valore per le aziende, ma non per le persone che ne fruiscono, non sempre almeno. Ne è riprova che spesso e volentieri vengono ignorati, con una reach organica imbarazzante che non è solo colpa di malefici e capitalistici algoritmi (anche, sia chiaro).
Alcuni esempi, di ieri e di oggi
Chiarito questo aspetto, in chiusura di questo articolo, prende vita un paradosso che rafforza il “dipende” che tutto muove. Ci possono essere situazioni dove contenuti prestazionali o di conversione possano essere di valore per la propria audience. Certo, una guida che segnala i migliori ristoranti da raggiungere in macchina sono un esempio perfetto di contenuto di valore per il fruitore e meno – apparentemente – per l’azienda produttrice che avrà un ritorno legato alla brand awarness, ma anche (soprattutto nel ‘900) al consumo di pneumatici. Ma anche un codice sconto a chi è iscritto alla newsletter può essere considerato di valore se, in quel momento, intercetta un bisogno.
Allora come mi oriento? Il punto è proprio questo e va ben oltre il marketing dei contenuti (di valore) e riguarda tutte i vari ambiti che compongono le attività di comunicazione di una azienda: la bussola che deve indicare la rotta del nostro agire deve porre sullo stesso livello i bisogni (delle persone) e gli obiettivi (delle aziende). Win-Win dicono quelli bravi…
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Quali sfide attendono la società di domani? Quali sono i rischi e quali le possibilità offerte dallo sviluppo tecnologico? Per la rubrica “Futuro da sfogliare” un guest post di Rocco Rossitto, autore del libro Dire qualcosa non vuol dire avere qualcosa da dire edito da Apogeo.