«Celebrate il fallimento, non solo il successo» è il consiglio che Muhtar Kent, il presidente e CEO della Coca-Cola, ha dato agli Alumni Hult durante un evento a Londra nel 2014. «Se dovessi fare qualcosa di diverso nei miei 36 anni di carriera, allora sarebbe creare un’atmosfera che consenta errori, perché dagli errori s’impara molto. Non commettiamo abbastanza errori. Non siamo abbastanza coraggiosi da correre rischi, e il rischio è fondamentale per il successo».
Solo perché un marchio è popolare non significa che ogni prodotto che introduce sul mercato sarà accolto con favore dai consumatori. Per restare al vertice è necessario abbracciare l’innovazione, anticipare i cambiamenti e accogliere i fallimenti. Nel 2017, sotto la guida del Presidente e CEO James Quincey, la Coca Cola Company ha iniziato un percorso per cambiare la cultura aziendale.
Celebrate Failure Award
«Non volevamo una cultura di comando e controllo, ma una cultura di fiducia, orgoglio, umiltà e apprendimento», ha dichiarato T. Chandele, Global Head of Talent and Development dell’azienda. Per favorire questo approccio teso alla sperimentazione, al fallimento e alla sua accettazione hanno istituito il Celebrate Failure Award.
Ogni anno vengono premiati i progetti che falliscono. Ali Akbar, direttore delle bevande frizzanti per la business unit Medio Oriente e Nord Africa, ha vinto il premio Celebrate Failure Award per il tentativo fallito di lanciare la bevanda energetica Sprite3G in Pakistan. L’ispirazione per il premio pare sia nata a seguito del fallimento della new Coke.
Non sempre la Coca-Cola rende pubblici i vincitori perché le lezioni apprese vengono usate internamente per migliorare i prodotti o offrirne di nuovi. Ma possiamo immaginare che alcuni di questi flop – Tab Clear (1992), OK Soda (1993), Surge (1997), Sprite Remix (2003), Diet Coke Plus (2007), Diet Coke Plus Green Tea (2009), Vio (2009), Coca-Cola Life (2013) – sarebbero stati quanto meno tra i finalisti del premio.
Gli annali della storia, anche aziendale, sono pieni di casi in cui iniziative audaci hanno incontrato una fine prematura. E Coca – Cola Co. non è un’eccezione. Nel corso degli anni sono state introdotte sul mercato una serie di Coca-Cola aromatizzate (la Diet Raspberry Coke, la Diet Coke al limone, la Coca-Cola al lime, alla vaniglia, alla ciliegia nera, all’arancia, alla cannella). Ad eccezione della Cherry Coke, che ha una sua fan base, la maggior parte delle bevande aromatizzate sono state ritirate dagli scaffali quasi immediatamente. La Coca-Cola Co. è veloce nella sperimentazione, ma è anche veloce nell’eliminare i prodotti che non funzionano. Un processo che Quincey chiama uccidere gli zombi.
«Uccidere gli zombie significa sbarazzarsi di cose che non funzionano. Abbiamo analizzato circa 2.000 lanci di prodotti per bevande nell’arco di 5 anni e abbiamo scoperto che il 30% ha contribuito solo all′1% in volume. Nel 2018, abbiamo ucciso più di 700 prodotti zombie, il che ci consente di ridistribuire le risorse in aree in cui vediamo maggiori opportunità di crescita» ha dichiarato Quincey.
Testare prima di lanciare un nuovo prodotto
Nel 2004 Coca-Cola lancia C2, un’alternativa a basso contenuto calorico alla Coca-Cola tradizionale. Il target di riferimento era il genere maschile di età compresa tra i 20 e i 40 anni che amavano il gusto della Coca-Cola ma non le sue calorie, che apprezzava l’aspetto senza calorie di Diet Coke ma non il suo gusto e che voleva bere ipocalorico ma che credeva sarebbe stata percepita come una scelta femminile.
Con un sapore più o meno simile a quello di una normale Coca-Cola ma con metà delle calorie, Coca-Cola C2 fu lanciata con una campagna pubblicitaria molto aggressiva da 50 milioni di dollari. Ovunque potevano vedersi poster, striscioni e spot televisivi accompagnati dalla canzone dei Queen I Want to Break Free.
Dopo soli 3 anni è stata ritirata dagli scaffali perché il prodotto non ha mai raggiunto la popolarità prevista, principalmente a causa della confusione dei consumatori tra Coca-Cola C2 e altre varianti come Diet Coke e Coca-Cola Zero. Inoltre, il mercato non era pronto per un prodotto che prometteva meno calorie ma non era completamente dietetico. Oggi, mangiare e bere in modo sano è essenziale per il nostro benessere, ma nel 2004 era considerato più un trend che una necessità.
Secondo gli esperti di marketing e pubbliche relazioni Joan Schneider e Julie Hall «a volte, la ricerca di mercato è distorta dalle domande sbagliate o diventa inutile se non si analizzano obiettivamente i risultati. Inoltre, posizionare un prodotto per sfruttare una moda è un errore comune». Come può rivelarsi un errore anticipare di troppo le tendenze future.
Tuttavia, l’azienda apprese dal suo errore. O forse no. Un anno dopo, lanciò Coca-Cola Zero, un prodotto senza calorie e con il gusto pieno della ricetta originale che troviamo sugli scaffali ancora oggi. Ci riprova, fallendo, con Coca-Cola Life che non portava nuovi clienti sul mercato, semplicemente li sottraeva alla Diet Coke e alla Coke Zero. Coca-Cola Life è stata ritirata dagli scaffali nel Regno Unito nel 2017 ed è stata gradualmente eliminata dai suoi mercati principali, Argentina e Cile, nello stesso anno.
Il gusto amaro di un’esperienza
Negli anni 2000, per via del turismo di massa, i consumatori iniziarono ad essere esposti a una gamma più ampia di sapori e ad essere più inclini a sperimentazioni culinarie. Per soddisfare i palati in evoluzione, e attrarre i giovani alla ricerca di un rimedio in qualsiasi momento della giornata, in collaborazione con Illycaffè, nel 2006 lancia una bevanda a base di cola e caffè: Coca-Cola BlāK.
Un tentativo di innovare i sapori mescolando le tradizioni globali di due diverse bevande. Tutto – dalla scelta dei sapori da fondere insieme, al nome, al packaging sinuoso e in vetro – era elegante e minimalista.
Peccato che l’audace tentativo non ebbe il numero di estimatori sperati. La nuova bevanda era troppo sciropposa e dolce con un retrogusto amaro. I consumatori «stanno ancora decidendo se il prodotto è una cola o un caffè», affermò un’analista di Wall Street. Il prezzo era troppo alto per una bevanda di cui non era chiaro il posizionamento, sebbene l’intento fosse quello di offrire una bevanda energetica che potesse fare concorrenza a Red Bull e a Pepsi Max Cino, un’altra cola al gusto di caffè lanciata da Pepsi qualche mese dopo.
Non meno importante l’impatto negativo dello slogan. Lo slogan Il gusto dell’esperienza del caffè nero fu oggetto di dibattito in un momento storico nel quale la sensibilità razziale stava guadagnando sempre più slancio.
Secondo Nancy Quan, direttore tecnico dell’azienda, il fallimento è stato causato da un cattivo tempismo perché lanciato prima del tempo. In un articolo del Marketing Week Magazine alla domanda rivolta a un’azienda del settore retail sull’imminente lancio della bevanda sul mercato, la risposta dell’imprenditore intervistato fu significativa alla luce delle vendite effettive: «Avrò in magazzino sia Pepsi Max Cino che Coca-Cola Blak, ma non sono sicuro di come andranno le vendite. Non credo che il consumatore britannico sia ancora pronto per questo tipo di bevande».
Imparando dal loro fallimento, la Coca-Cola ha reintrodotto la sua bevanda al caffè dopo nuove ricerche di marketing. L’80% di coloro che l’avevano provata si era dichiarata interessata all’acquisto. Il prodotto sarebbe stato un successo.
Nel 2021 la bevanda al caffè nei gusti Dark Blend, Vanilla e Caramel, più una al gusto Mocha fu lanciata sul mercato. E ritirata l’anno dopo. Per chi volesse provarla, il TikTok creator Ethan Rode ha proposto una versione della bevanda fatta in casa, riscuotendo notevole successo. E se, grazie ai social media, fosse finalmente arrivato il momento giusto per un nuovo tentativo?
Trasformare il fallimento in lezione
Solo perché un prodotto funziona bene in un posto, non significa che funzionerà bene in tutto il mondo. È il caso anche dell’acqua Dasani, un successo negli Stati Uniti. Un fallimento nel Regno Unito. Secondo il The Guardian, questa acqua filtrata aveva due problemi.
Non proveniva da una sorgente cristallina ma piuttosto da un rubinetto a Sidcup, nel sud-est di Londra. Dunque la gente non era disposta a pagare ciò che poteva avere gratuitamente a casa. Il secondo problema era di marketing: la Coca-Cola stava commercializzando l’acqua come bottled spunk. La parola spunk negli Stati Uniti significa spirito, coraggio o determinazione. Nel Regno Unito la parola è usata in senso gergale e col significato di liquido seminale. Si tratta di quello che in linguistica si chiama variazione diatopica e che è alla base di molti epic fail nel campo della comunicazione.
L’introduzione di un nuovo prodotto sul mercato richiede la conoscenza appropriata della lingua e della cultura in cui lo si sta introducendo. Come è evidente in questo secondo caso studio raccontato dall’esperto di marketing, lo spagnolo Pablo Ballester, nel suo libro Todo el marketing que cabe en el bolso de mi novia. Una storia spesso raccontata come una leggenda urbana. «Nel mondo del marketing conviviamo con la cultura delle bugie. Le bufale diventano aneddoti che, se raccontati bene, hanno un immenso potere. Non sono menzogne, è la poetica di noi professionisti del settore. Che sia una verità non detta o un errore intenzionale o meno, in ogni caso è un altro modo di fare pubblicità.» afferma Ballester.
Ci sono pochi paesi in cui la Coca-Cola non è la bevanda analcolica leader di mercato. Uno di questo è l’Arabia Saudita. Un venditore di Coca-Cola viene inviato in Arabia Saudita con il compito di espandere il mercato. Nonostante le sue abilità di vendita e la sua determinazione, sapeva di avere un limite: non conosceva l’arabo.
Non si perse d’animo e in una delle camere dell’Ewan Suites Hotel ideò una strategia di marketing visiva per superare la barriera linguistica, utilizzando una serie di cartelloni illustrativi per spiegare i benefici della Coca-Cola. Nel primo cartellone, un uomo esausto, collassato nella sabbia del deserto. Nel secondo l’uomo beve una Coca-Cola. Nel terzo l’uomo è rinvigorito, fresco e corre pieno di vitalità nel deserto. Le vendite della Coca-Cola crollarono. Perché?
Il sales manager non aveva considerato che in Arabia Saudita, come in molti paesi arabi, la scrittura e la lettura avvengono da destra a sinistra. Di conseguenza, il messaggio visivo fu letto al contrario: Un uomo energico corre nel deserto. L’uomo beve una Coca-Cola. L’uomo crolla esausto nel deserto. Una campagna che sembrava pensata dalla sua storica rivale, la Pepsi, per vincere la Cola Wars a colpi di errori altrui!
Le 3 regole d’oro
Comprendere le preferenze dei consumatori: la differenza tra percezione sensoriale e percezione emotiva evidenzia le complessità nel valutare accuratamente le preferenze di clienti e utenti. E la necessità di tenere conto di più aspetti quando si vuole costruire una relazione duratura con i propri acquirenti.
Comprendere il mercato locale: conoscere la lingua, la cultura e le abitudini locali è essenziale per evitare fraintendimenti costosi. Investire in ricerche culturali e linguistiche può prevenire costosi errori e garantire che il messaggio del brand venga percepito correttamente e favorevolmente.
Apprendere una buona lezione da ogni “New Coke” celebrando il valore dell’informazione e il coraggio di sperimentare ancora dopo ogni fallimento. Non aver paura di commettere errori; semplicemente non ripeterli.