Chi è il fondatore della Goodyear Tire & Rubber Co., tra le maggiori aziende produttrici di pneumatici al mondo? Non Charles Goodyear, anche se c’entra qualcosa. L’azienda che porta il suo nome ha voluto rendergli omaggio per l’incredibile tenacia e i tanti fallimenti che hanno portato Charles a scoprire il procedimento chimico che ancora oggi viene utilizzato per la produzione degli pneumatici.
Siamo nei primi anni ’30 del XIX secolo, una gomma impermeabile, conosciuta come gutta-percha, impazza di popolarità. Estratta da un albero diffuso nelle Indie Orientali era utilizzata dalle popolazioni locali per diversi scopi. Ricevette il nome di rubber – dal verbo to rub che significa sfregare – dal fatto che il suo primo uso pratico, suggerito da un Dr. Priestly nel 1770, in un’opera sul disegno, fu per rimuovere le tracce di una matita dalla carta. Un giorno, il giardiniere del chirurgo militare scozzese della Compagnia delle Indie Orientali, tale W. Montgomerie, di stanza a Singapore, gli raccontò delle proprietà uniche della guttaperca.
Il lattice, una volta lavorato in acqua calda, risultava straordinariamente malleabile e, una volta raffreddato, assumeva una durezza tale da renderlo adatto all’uso per la realizzazione di manici di coltelli, fruste e altri strumenti di uso comune tra i malesi. Montgomerie, riconoscendo il potenziale chirurgico della guttaperca date le sue caratteristiche, decise di inviarne dei campioni a Londra.
Una storia di ossessione
La gomma attirò l’interesse dei commercianti europei e degli industriali, grazie alle sue proprietà ritenute miracolose. Era impermeabile e duttile, capace di adattarsi a una varietà di usi nell’industria elettrica, nella costruzione navale, nella fabbricazione di articoli impermeabili. Tuttavia, nonostante le sue eccellenti proprietà di impermeabilità, la gutta-percha presentava alcuni svantaggi: diventava fragile al freddo e appiccicosa al caldo, rendendola poco pratica per determinati utilizzi.
«Probabilmente non c’è altra sostanza inerte che stimoli così tanto la mente». Queste le parole di Charles riportate in un articolo del Reader’s Digest del 1958, ristampato sul sito web di Goodyear. Quel materiale dalle potenzialità straordinarie ma non privo di difetti stimolò a tal punto la sua mente da diventare la sua unica ossessione. Ma andiamo con ordine perché è una storia davvero ricca di colpi di scena e (s)fortunate scoperte.
Goodyear, iniziò tutto così
Amasa Goodyear è un produttore nel settore delle ferramenta e degli attrezzi agricoli e un discreto inventore. Il suo commercio di oggetti in metallo includeva anche bottoni militari in avorio, cucchiai e orologi. Sebbene il nome Amasa in ebraico significasse difficoltà o peso, Goodyear portava nel suo cognome anche la speranza di superare le avversità e realizzare grandi imprese, avendo anche un discreto fiuto per gli affari e un talento nel cogliere le opportunità. Fu la sua ingegnosità e lo spirito inventivo che lo spinsero ad abbandonare la vita da commerciante per trasformarsi in un imprenditore quando riconobbe il valore della potenza dell’acqua nel favorire la crescita della manifattura.
Tanto da essere il primo ad avviare un’attività di produzione di bottoni in madreperla nel 1807, sfruttando la potenza offerta da un fiume che scorreva nelle vicinanze di Naugatuck. La sua fabbrica divenne il principale fornitore di bottoni in metallo per il governo degli Stati Uniti durante la guerra del 1812. Uno delle invenzioni di maggiore successo di Amasa è però un forcone in acciaio a molla per il fieno che lo stesso brevettò.
Ad aiutarlo negli affari sua moglie e Charles, il maggiore di sei figli. Nel 1816, all’età di 16 anni, Charles viene mandato da Goodyear padre a Filadelfia come apprendista nel negozio di Rogers and Brothers per carpire i segreti del commercio di ferramenta. Non completò mai gli studi superiori, ma Charles dimostrerà una grande produttività e diligenza sul posto di lavoro. Dopo aver maturato una preziosa esperienza in negozio, nel 1821, all’età di 21 anni, Charles tornò in Connecticut e si unì all’attività di ferramenta del padre come socio.
Imprevisto: opportunità o fallimento?
Charles comprese che i mercati urbani in crescita offrivano un’opportunità di espansione del business e che uno dei prodotti più venduti dell’azienda di famiglia era il forcone in acciaio brevettato dal padre.
Fino ad allora, i forconi per il fieno e il letame venivano realizzati dai fabbri in ferro battuto; ma il padre ottenne un brevetto per la realizzazione di un robusto ed elastico forcone in acciaio, a cui diede nome di A. Goodyear & Sons. E pensare che all’inizio nessuno li voleva, neanche gratuitamente. Amasa non riuscendo a venderli li offrì ai contadini con la promessa che gli stessi, una volta provati, avrebbero recensito il prodotto. La riluttanza ai cambiamenti è un fatto noto, anche all’epoca. Quando si sparse la voce che i forconi erano di ottima qualità le vendite aumentarono considerevolmente.
Charles decise quindi di trasferirsi a Filadelfia per aprire, insieme al padre, il primo negozio di ferramenta al dettaglio in America, prodotti che arrivavano in negozio direttamente dalla loro fabbrica. Impresa considerata visionaria per l’epoca perché in genere venivano venduti prodotti di importazione. La vita sembrava andare a gonfie vele, gli affari prosperavano e le opportunità che il futuro sembrava offrire ancora più promettenti tanto da spingerli a concedere ai loro clienti crediti molto generosi.
Finché non arrivò il Tariff of Abominations del 1828 e i debiti iniziarono ad accumularsi. Questo atto prevedeva l’aumento delle tariffe su numerose merci importate negli Stati Uniti. Se l’obiettivo era di proteggere le industrie nazionali, il provvedimento finì per danneggiare l’economia agricola del Sud -quindi della clientela di Goodyear – e, al contempo, favorire l’industria del nord. Il fallimento di molti dei loro clienti mise in estrema difficoltà l’azienda.
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«L’uomo ha giusta causa di rammarico quando semina e nessuno raccoglie», scriverà Charles molti anni dopo. «Riflettendo sul passato (…) chi scrive non è disposto a lamentarsi e a dire che io ho piantato e altri hanno raccolto i frutti. I vantaggi di una carriera nella vita non dovrebbero essere valutati esclusivamente secondo il criterio dei dollari e dei centesimi, come troppo spesso si fa».
I tratti vincenti della personalità
Un primo elemento che emerge dalla personalità di Charles è la capacità di vedere il lato positivo anche tra mille difficoltà: «È una soddisfazione sapere che, tra le numerose aziende di ferramenta domestica che da allora sono state stabilite in tutte le nostre grandi città, due delle più rispettabili e ricche sono i successori immediati dell’azienda originaria». Ovvero l’azienda del padre che per prima, grazie a un brevetto, aveva trasformato una innovazione in un business.
Il secondo elemento è invece la presenza di un tratto del suo atteggiamento che Dyson ricerca nei suoi dipendenti: la capacità di mantenere lo stesso livello di entusiasmo anche quando le cose vanno male. E di rimanere ossessionati da un’idea anche quando le condizioni di contorno non sono favorevoli.
A complicare le cose infatti un’infezione che Charles contrasse e che lo costrinse a letto rendendolo incapace di lavorare. Non riuscendo a saldare i creditori finì in prigione per debiti. Tra il 1831 e il 1833, due dei suoi giovani figli morirono; lui stesso peggiorò di salute. Ma doveva trovare un modo per provvedere alla sua famiglia e ripianare i debiti.
Dalla sua parte la determinazione, il fiuto per le opportunità e una capacità inventiva ereditata dal padre. Nonostante infatti le sue precarie condizioni di salute, le scarse risorse economiche, il dolore per la perdita dei figli, Charles continuò a lavorare affinché i suoi creditori potessero essere pagati. Questi eventi dirà Charles «non furono del tutto senza vantaggio; da essi appresi lezioni di vita».
Un giorno il figlio di Charles fu avvicinato da un uomo che gli disse «Dopo aver sperimentato e fallito per diversi anni, avrei lasciato spazio alla disperazione se non avessi letto la storia di tuo padre che mi ispirò a continuare il mio lavoro fino al raggiungimento del successo». Quell’uomo era G. Borden, l’inventore del latte condensato in scatola.
Le nostre reazioni agli errori e i risultati che possiamo ottenere a seguito di un fallimento dipendono in maniera determinante da ciò che noi stessi pensiamo voglia dire fallire. Per chi ha un atteggiamento rigido, il fallimento non è altro che un sintomo delle proprie scarse qualità, di una insufficiente intelligenza o frutto del caso avverso.
Il fallimento definisce quindi chi siamo, la nostra identità. O ci spinge a pensare che sfortuna ci perseguita e che non abbiamo alcun potere di cambiare il corso degli eventi. La reazione al fallimento non può che essere di rassegnazione, negazione o di fuga. Un mindset dinamico, invece, non considera l’errore e il fallimento come una questione identitaria o di malasorte, ma come un’esperienza da affrontare e da cui imparare. Il giusto atteggiamento che porteranno Charles a un fortunato incontro e a una grande scoperta che racconteremo nella prossima lezione.