Un animale selvaggio è il titolo del nuovo libro di Joël Dicker, autore del caso editoriale La verità sul caso Harry Quebert. Un successo internazionale con oltre 2 milioni di copie vendute che ha permesso a Dicker di vincere i premi Grand Prix du roman de l’Académie française e Goncourt des lycéens. È stata inoltre prodotta una serie televisiva di dieci puntate basata sul libro, con Patrick Dempsey nel ruolo di Harry Quebert.
La gavetta di Joël Dicker
Ma prima che questo libro di 779 pagine, nella versione italiana, venisse pubblicato in 45 Paesi e tradotto in più di 30 lingue, l’autore aveva scritto altri 5 manoscritti. Tutti e 5 stroncati dagli innumerevoli editori ai quali l’autore Dicker si era rivolto. Il suo primo romanzo, Illuminazione degli inganni lo scrisse all’età di 25 anni. «Sono più numerosi i libri che sono stati rifiutati di quelli pubblicati», sono le sue parole.
I rifiuti? Opportunità per fare meglio
Racconta Dicker che, a un certo punto della sua incerta carriera, aveva due strade da percorrere: la strada dell’autocommiserazione o quella dell’ossessione. Nel primo caso avrebbe smesso i panni da scrittore per dedicarsi a qualche altra attività, nel secondo avrebbe continuato, in modo quasi ossessivo, a scrivere finché almeno un manoscritto non sarebbe stato pubblicato. Dicker scelse la seconda strada e la percorse in modo metodico per migliorare la sua scrittura. Trasformando così l’ossessione per quello amava fare in determinazione.
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Il fallimento ci permette di cogliere la forza della nostra perseveranza. Il desiderio di farcela, deve essere più grande del dolore delle nostre cadute. Non bisogna lasciarsi abbattere dall’umiliazione del fallimento né farsi condizionare dallo stress di un successo temporaneo.
E Dicker non si lasciò condizionare. Decise di rileggere tutte le lettere di rifiuto e tutti i commenti negativi che aveva ricevuto. Dopo aver letti ricontattò uno a uno i singoli editori chiedendo a ciascuno che errori avesse commesso e perché il libro non fosse piaciuto al punto da essere rifiutato. Il suo obiettivo era avere piena consapevolezza di tutti gli errori che aveva fatto nei suoi primi romanzi per non ripeterli.
Chiedere feedback senza lasciarsi scoraggiare dalle critiche rafforza le nostre competenze. Grazie ai feedback negativi possiamo identificare i punti validi per migliorare il nostro lavoro. E quelli da cancellare perché non funzionali al nostro obiettivo.
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Solo così comprese che i suoi libri non erano vere e proprie opere concluse, ma sembravano ancora bozze. «Ho finalmente capito che il mio più grande errore era non permettermi di riscrivere e rileggere». Sebbene il pubblico abbia la sensazione che oggi i suoi thriller sembrino scritti di getto, è vero il contrario. Per La verità sul caso Harry Quebert ho cambiato tutto tre o quattro volte. Nel business come nella scrittura vale la regola di non innamorarsi mai della prima idea.
Dicker ritiene che tutti i rifiuti siano stati molto formativi per la sua carriera di scrittore. Non è un caso se il capitolo 12 del libro inizi con uno dei consigli sulla vita e sull’essere scrittore «Impara ad amare i tuoi fallimenti, Marcus, perché saranno loro a formarti. Saranno i tuoi fallimenti a dare sapore alle tue vittorie».
La strada per il successo non è lineare
Crescere con una madre libraia e un padre insegnante di letteratura potrebbe certamente facilitare la consapevolezza del cammino da intraprendere per diventare uno scrittore. E invece Joël Dicker non era sicuro di cosa volesse fare e forse, anche per questo, il suo percorso non è stato lineare ma segnato da qualche passo falso e alcune incertezze. All’età di 19 anni frequenta le lezioni di recitazione alla Drama School in Cours Florent a Parigi, per assecondare la sua passione per il cinema e il teatro.
La recitazione si rivelerà però una scelta fallimentare. Si laurea in legge, ma scopre che l’esercizio della professione forense non è nelle sue corde. E mentre svolge il suo lavoro d’ufficio nel parlamento di Ginevra, trova il tempo per scrivere e per scoprire la sua passione. Ma quando è il momento in cui ci si può definire scrittore? Alla domanda di una giornalista, l’autore svizzero risponde: «Non sono ancora sicuro, devo continuare a migliorare».
Continua Joël Dicker: «Mi chiedo se sono più importante io che ho pubblicato o è più importante un qualsiasi passante che ha scritto qualcosa ma non ha ancora pubblicato nulla? Credo che si sia un autore anche prima che la gente ti riconosca per strada».
È il successo a definire chi siamo? Anche se non abbiamo ancora ottenuto il riconoscimento pubblico, la visibilità esterna, questo non diminuisce il valore delle nostre idee. L’identità – di un’idea, di un business, di un prodotto e di una persona – si costruisce nel processo stesso, mentre si cerca di emergere tra momenti wow e fallimenti.
Le 3 regole d’oro
Le tre regole sono contenute all’interno delle pagine del suo libro e, anche se il nostro scopo non è la scrittura, possono comunque fornire un’ispirazione preziosa per chi ha un obiettivo personale o professionale. Regola numero 1: «Come si diventa uno scrittore? Non dandosi mai per vinti».Possiamo sostituire la parola scrittore con qualsiasi altra professione e la regola rimane valida.
Regola numero 2: «La vita è una lunga caduta. La cosa più importante è saper cadere». Difficoltà, errori, fallimenti e delusioni fanno parte del percorso per cui non è tanto cercare di evitare la caduta o il fallimento, ma saper rialzarsi e continuare a progredire nonostante gli ostacoli. Regola numero 3: «Chi osa vince. Pensa a questo motto ogni volta che affronti una scelta difficile». Chi osa vince.
E voi che lezione avete appreso? Se volete raccontarmi la vostra storia di fallimenti e lezioni apprese, scrivetemi qui: redazione -chiocciola – startupitalia.eu