Quali sfide attendono la società di domani? Quali sono i rischi e quali le possibilità offerte dallo sviluppo tecnologico? Per la rubrica “Futuro da sfogliare” l’ex Primo ministro britannico Gordon Brown, l’economista Mohamed A. El-Erian, presidente del Queens’ College di Cambridge e il Nobel Michael Spence riflettono su come strutturare modelli di crescita rafforzati, approcci migliori alla gestione economica e una governance internazionale solida attraverso un estratto del libro Permacrisi.
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Quando la ceramica si rompe, la tappa successiva di solito è il bidone dell’immondizia. Per i pezzi più sentimentali, dalle porcellane cinesi ai lavoretti delle scuole elementari, si ricorre alla supercolla. Ma anche in questo caso, il pezzo non tornerà mai più come prima. Ci piacciono le cose perfette. L’antica arte giapponese del kintsugi invoca un approccio diverso. Risale a più di 500 anni fa: le ceramiche rotte non vengono buttate via. Vengono salvate e celebrate attraverso un’arte innovativa. Nel metodo kintsugi, che si traduce approssimativamente con «unire con l’oro» o «falegnameria dorata», l’oro in polvere viene utilizzato per ricongiungere i pezzi rotti. Non si tenta di far passare per integro un pezzo rotto: le imperfezioni sono lì, contemporaneamente celate e in bella vista.
Quel che in effetti accade è che le imperfezioni vengono celebrate. Il pezzo ha vissuto ed è sopravvissuto, la sua storia è stata riportata in oro. Allo stesso tempo, il kintsugi conserva e reinventa la ceramica. Il nostro è un mondo distrutto, un mondo in permacrisi, scosso da shock che portano a una crescita sempre più bassa, a un’elevata incertezza economica, a emergenze climatiche e a maggiori divisioni tra Paesi e all’interno di essi. Ma la portata di queste sfide non deve scoraggiarci dal cercare di costruire un mondo migliore. Ci sono tantissime brave persone in tutto il mondo che si sono assunte l’impegno di progetti grandi e piccoli. Il nostro obiettivo è stato indicare quali interventi possano farci uscire da questa situazione di permacrisi, contribuendo a ricomporre un mondo distrutto.
Mentre scriviamo, sembra di scivolare ancor più inesorabilmente nella permacrisi. I Paesi che hanno creato istituzioni internazionali per garantire la cooperazione si comportano in modo non cooperativo, anche se è ovvio che molti dei loro problemi possono essere risolti solo cooperativamente. Proprio nel momento in cui il mondo ha bisogno di unirsi, arriva il nazionalismo a scinderlo, e i suoi derivati, dai conflitti al crescente protezionismo.
Tutto questo accade in un mondo intrinsecamente interdipendente, integrato e interconnesso dove, come abbiamo dimostrato, problemi globali richiedono soluzioni globali. Le soluzioni possono e devono partire da nuovi modelli di crescita, gestione economica e un rinnovato ordine globale. E queste soluzioni non vivono all’interno di un’unica disciplina – l’economia o le sole relazioni internazionali – le soluzioni dovranno essere multidisciplinari.
Ci sono momenti in cui il mondo sembra avere un po’ di sollievo, in cui le cose appaiono meno incrinate, ma la realtà è più vicina a una partita infinita di Whac-A-Mole in cui gli ostacoli non spariscono, semplicemente si spostano, e troppo spesso ricompaiono. I prezzi del legname scendono, ma quelli delle uova salgono alle stelle. L’inflazione si riduce in un Paese per impennarsi in un altro. L’economia sembra stabilizzarsi, ma poi all’improvviso una banca fallisce. Si raggiunge un accordo in ambito lavorativo, e una nuova innovazione nell’automazione arriva a minacciare l’industria. Una casa spazzata via da una recente tempesta viene ricostruita solo per essere arsa da un incendio durante la siccità.
Si raggiungono accordi per il finanziamento dei cambiamenti climatici, ma poi le azioni che devono seguire si esauriscono. Il mondo non è diventato più semplice né meno impegnativo. Ciò di cui il mondo ha disperatamente bisogno è una vision di globalizzazione ben gestita. Perché non c’è nulla di inevitabilmente permanente in una permacrisi. Abbiamo il potere di correre ai ripari.
Ci sono realtà con cui dobbiamo fare i conti e che dobbiamo affrontare con coraggio.
In primo luogo, dopo i decenni di crescita della ricchezza del dopoguerra, che hanno visto miliardi di persone uscire dalla povertà, non possiamo più garantire la prosperità, e la povertà, con l’andamento attuale, rischia solo di aumentare. Non si tratta solo dell’incertezza del reddito dovuta al rallentamento della crescita, ma di una miscela molto più insidiosa di rallentamento della crescita e pressioni sul costo della vita che rendono molto difficili le risposte politiche. I crescenti livelli di debito sovrano, la contrazione dell’offerta di lavoro, la natura mutevole della globalizzazione, la crisi climatica e le accresciute tensioni geopolitiche si mescolano e ostacolano la crescita globale, sia effettiva che potenziale. Questi cambiamenti non avranno un impatto solo sui Paesi in via di sviluppo, ma sul resto del mondo. Le economie emergenti che hanno «recuperato terreno», definite, oltre ad altre caratteristiche, da popolazioni che stanno entrando nella classe media, rischiano ora di rimanere indietro. I Paesi meno sviluppati del mondo che cercano di raggiungere una maggiore prosperità non hanno le stesse possibilità di un tempo. Le economie fragili si sgretoleranno. E i Paesi più ricchi si troveranno nell’impossibilità di facilitare quantitativamente la loro crescita.
Aumenta il rinnovato divario tra Nord e Sud del mondo. Divergenza e frammentazione, e non convergenza e cooperazione, sono all’ordine del giorno. Senza nuovi modelli di crescita e di gestione economica nazionale, la crescita sarà troppo bassa per garantire il miglioramento degli standard di vita e una maggiore prosperità inclusiva e coerente con le realtà del nostro pianeta. Figli e nipoti staranno peggio dei loro genitori. Però nuovi modelli possono portare nuova prosperità, maggiore produttività e percorsi di sviluppo migliori e più sostenibili.
In secondo luogo, dobbiamo prepararci meglio agli shock perché viviamo un momento in cui la nostra resilienza umana e finanziaria va esaurendosi. Gli shock non costituiscono più un’eccezione, stanno diventando la norma, non sono solo più frequenti ma anche più violenti. I Paesi hanno esaurito gran parte delle loro munizioni in termini di politica fiscale e monetaria dopo un decennio di politiche easy money, contribuendo a un’inflazione record e piantando il seme dell’instabilità bancaria e finanziaria. Quindi, quando arriverà il prossimo crollo, la soluzione alle nostre sfide non sarà inondare il sistema di elemosine e stampare più denaro. E i tentativi di dare sollievo attraverso la riduzione dei tassi di interesse potrebbe ritorcersi contro di noi, servendo solo ad alimentare le pressioni inflazionistiche.
La resilienza va ben oltre i dollari e i centesimi, le sterline e i penny. Occorre tenere bene a mente la resilienza umana. La nostra resilienza, come individui e collettivamente come società, è messa a dura prova. Un’emergenza caratterizzata da condizioni climatiche sempre più calde, umide e secche non è solo una manifestazione del fatto che il nostro pianeta è giunto a un punto di rottura ecologico, ma che lo stesso può dirsi anche per l’umanità. Ravvisiamo la minaccia di un incipiente decennio di disperazione caratterizzato da insicurezza e ansia che hanno fatto perdere la speranza a milioni di persone. Naturalmente abbiamo i mezzi e le conoscenze per modificare questa traiettoria, ma le azioni finora intraprese sono state incomplete, non coordinate e discontinue. Gli shock continueranno ad arrivare, questo è certo. Dobbiamo lavorare sulla nostra capacità di reagire. Pianificare e prepararsi oggi è l’unico modo per affrontare con successo le perturbazioni e i disastri di domani.
In terzo luogo, in gran parte a causa della varietà di sfide che stiamo affrontando, il nostro è un mondo con molti esiti possibili e con equilibri multipli in cui un esito negativo aumenta la probabilità che si configuri uno scenario successivo anche peggiore. Se un tempo il mondo era ciclico e con inversione di tendenza, in cui gli effetti degli shock erano temporanei, ora quel mondo non esiste più. Nel nostro mondo composto da equilibri multipli, le situazioni negative si alimentano a vicenda. È una terza legge di Newton corrotta, in cui ogni trauma è seguito da una reazione allineata e amplificata.
Per conseguenza, dobbiamo rafforzare la nostra capacità di pensare diagonalmente, tenendo a mente i molti risultati possibili. Non possiamo limitarci a combattere l’incendio davanti a noi, dobbiamo pensare a proteggere tutto il fogliame che ci circonda. E questo, per tornare al secondo punto, significa eliminare le sterpaglie e costruire la resilienza. Se non facciamo questo, rischiamo di perdere il controllo del nostro destino collettivo. L’inazione è come comprare un biglietto della lotteria per le generazioni future – i nostri figli e nipoti – e sperare che tra alcuni decenni quei numeri siano vincenti. Le probabilità non sono molte.
E quarto, se manteniamo la rotta attuale, contribuiamo alla creazione di un mondo in cui le politiche beggar thy neighbor rischiano di diventare ancora più allettanti e frequenti, e in cui l’apparente aiuto a un Paese comporti al contempo danneggiarne un altro. Già ora non collaboriamo abbastanza, e non riusciamo a riconoscere che rinunciando a un po’ di autonomia possiamo ottenere molto. E nelle rare occasioni in cui cooperiamo, non coordiniamo né sosteniamo la nostra azione per ottenere il massimo impatto. Gran parte del mondo concorda sul fatto che l’inflazione sia una piaga, eppure cosa abbiamo fatto per superarla collettivamente mediante una migliore gestione della supply chain? Gran parte del mondo concorda sul fatto che la guerra della Russia in Ucraina è inconcepibile, ma in che modo ci siamo spesi per progettare una via d’uscita? Tutto il mondo voleva porre fine alla pandemia – un virus che sarà sconfitto solo quando tutti, ovunque, saranno vaccinati, eliminando i percorsi per le varianti problematiche – eppure i vaccini non sono arrivati abbastanza velocemente ai più poveri del mondo.
Non cooperando, non solo perdiamo i benefici di un’azione congiunta, ma ci avviciniamo a un mondo caratterizzato da maggiore nazionalismo e protezionismo. La sicurezza in tutte le sue forme – sicurezza nazionale, sicurezza economica, sicurezza energetica e alimentare, sicurezza personale e, nel caso di una pandemia globale, sicurezza sanitaria – viene utilizzata come scusa per l’isolamento. Non ci troviamo davanti a una falsa scelta tra andare avanti da soli o cooperare. Possiamo – e dobbiamo – bilanciare l’autonomia che desideriamo con la cooperazione di cui il mondo ha urgente bisogno.