In questi giorni è in approvazione la Legge di Bilancio e c’è la preoccupazione per la tassazione che avranno i proventi degli investimenti in società non quotate e startup. Abbiamo sentito un esperto per farci spiegare la situazione
La legge di Bilancio per il 2022 è in via di approvazione in Parlamento e tra gli investitori serpeggia una certa perplessità rispetto a un tema che negli ultimi anni ha sempre trovato spazio nei provvedimenti normativi di fine anno e che, invece, quest’anno pare essere stato accantonato. Chi ha investito in startup negli ultimi anni, così come chi ha intenzione di farlo nel prossimo futuro, si interroga in merito alla tassazione che subiranno i proventi derivanti da tali investimenti.
Rivalutazione del costo fiscale delle partecipazioni. Un punto che manca nella legge
La legge di bilancio 2022, nel testo in discussione in questi giorni, non prevede la riproposizione della possibilità di rivalutare il costo fiscale delle partecipazioni societarie – possibilità, invece, concessa negli ultimi anni – il che, se fosse confermato nella versione definitiva della legge, comporterebbe l’aumento della tassazione dei capital gains dall’11 al 26 per cento, con un ritorno alla tassazione ordinaria.
La rivalutazione del costo delle partecipazioni ha infatti permesso a tutti i soggetti che avevano in previsione di cedere partecipazioni in società non quotate, realizzando in tal modo capital gains, di ottenere un notevole risparmio fiscale, azzerando le plusvalenze con pagamento dell’imposta sostitutiva dell 11% invece che assoggettarle all’imposizione ordinaria del 26%.
La mancata riproposizione della possibilità di rivalutazione fiscale delle partecipazioni societarie creerebbe, quindi, una discontinuità rispetto al passato, e questa circostanza ha già generato qualche mugugno tra chi è appunto impegnato in operazioni di investimento sulle startup.
Come stanno realmente le cose? Poiché si tratta di una tematica molto complessa, ce lo siamo fatto spiegare da Sergio Marchese esperto in temi fiscali. Proveremo qui di seguito a riassumere la questione.
Che cosa cambia per gli investimenti in società non quotate e startup
In Italia il regime fiscale ordinario prevede che le plusvalenze derivanti dalla vendita di partecipazioni in società non quotate, siano esse o meno startup, sono tassate al 26%.
Nel corso degli anni, però, a fronte di questa nominale aliquota del 26%, è stato più volte reiterato un provvedimento legislativo che prevedeva la possibilità di rivalutare il costo delle partecipazioni detenute, azzerando la plusvalenza realizzata in occasione della loro cessione, pagando solo l’11% di imposta sul valore rivalutato. È proprio questo il “tassello normativo” che, salvo sorprese dell’ultima ora, parrebbe mancare nella nuova Legge di Bilancio.
Il vantaggio di investire in startup
Occorre tuttavia sottolineare che esistono due regimi agevolativi dell’investimento in startup che, in alcuni casi, possono assumere grande rilevanza pratica.
La prima agevolazione prevede che chi realizza plusvalenze cedendo partecipazioni societarie e le reinveste, entro un anno, nel capitale di una startup non paga imposte su tali plusvalenze.
La seconda agevolazione prevede che chi investe in una startup innovativa nella finestra di tempo dal 1° giugno 2021 al 31 dicembre 2025 e detiene la partecipazione per almeno 3 anni non paga alcuna imposta sulla plusvalenza che realizzerà al momento della cessione.
Si può quindi dire che se fosse confermato il mancato inserimento nella legge di Bilancio della possibilità di rivalutare il costo delle partecipazioni pagando l’imposta dell’11%, ciò si rifletterebbe non tanto su chi ha appena investito in startup (da giugno 2021) o su chi ha intenzione di farlo nel prossimo futuro, ma su chi ha investito in startup in passato e ha la prospettiva di cederle a breve.
La disparità di trattamento tra chi ha già investito e chi investirà
Il rischio è che, in questo quadro fiscale frammentato, si creino importanti differenze tra chi ha investito in passato (prima del 1° giugno 2021) in startup o in società che al momento dell’investimento erano qualificabili come tali e adesso non lo sono più e chi invece investe adesso o investirà nei prossimi anni in startup.
Per fare un esempio, un business angel che ha messo denaro su una startup a febbraio 2021 si troverebbe in una condizione peggiore a livello fiscale di un investitore che ha puntato le sue risorse su una startup nel luglio 2021: in caso di exit il primo dovrebbe pagare l’imposta con l’aliquota ordinaria del 26%, non potendo usufruire della rivalutazione e dell’aliquota ridotta dell’11%, il secondo non dovrebbe sborsare un euro.
Si tratta, in questo caso, di una materia che andrebbe probabilmente affrontata non tanto con criteri emergenziali o di natura politica (provvedimenti, insomma, presi sull’onda del momento e delle contingenze), bensì puntando su una riforma complessiva dell’intero sistema. Magari anche favorendo chi decida di puntare sul comparto delle nuove imprese, su quelle startup in grado di generare autentico valore aggiunto e mantenere competitivo il tessuto produttivo italiano.