Creato nel 2011, è gestito dal ceo Kirill Dmitriev, vicino a Putin. Le compagnie in portfolio rappresentano il 6% del PIL della Federazione Russa
Il vaccino russo Sputnik sarà prodotto in Italia, a Caponago, provincia di Monza. La notizia è stata data lunedì dalla Camera di Commercio italo russa. Sarà Adienne Pharma Biotech, azienda guidata da Antonio Francesco Di Naro, ad avviare le macchine. Si tratta del primo contratto europeo per la produzione locale del vaccino, siglato tra la società e Russian Direct Investment Fund (RDIF), il fondo sovrano russo, istituito nel 2011 da Mosca per effettuare investimenti in settori ad alta crescita. Una partnership che consentirà di avviare la produzione a luglio 2021. L’accordo è stato confermato da Kirill Dmitriev, ceo di RDIF.
L’accordo strategico, secondo la Camera di Commercio Italo Russa, sarebbe stato messo a punto negli ultimi mesi del 2020 dopo una fase di scouting nel nostro paese da parte dell’ente. Potrebbero essere dieci milioni le dosi prodotte entro la fine dell’anno. La Regione Lombardia ha detto di aver appreso la notizia dai media. Nessun coinvolgimento ufficiale, spiegano da Palazzo. “Tale accordo risulta infatti esclusivamente di profilo di diritto privato tra i contraenti” sottolineano da Milano.
Si sfila anche la Commissione Europea, che, attraverso un portavoce, ha comunicato che “attualmente non sono in corso colloqui per integrare lo Sputnik V nella strategia Ue sui vaccini”.
Insomma, nella geopolitica del Covid, Bruxelles tiene le posizioni, sottolineando, riporta Repubblica, che gli Stati membri possono “concedere l’approvazione del vaccino Sputnik” nell’ambito dell’autorizzazione per uso di emergenza, ma “in questo caso la responsabilità spetterà allo Stato membro e non all’azienda, come sarebbe se il vaccino ottenesse l’autorizzazione all’immissione in commercio dell’Ue”.
Il problema è che le fughe in avanti cominciano a essere parecchie, e mentre gli Stati Uniti e il Regno Unito (recentemente uscito dalla UE) hanno potuto trattare in maniera compatta con le multinazionali del farmaco, l’Unione Europea si trova incagliata nelle pastoie di un processo decisionale lungo e farraginoso, che manca di efficacia quando si tratta di convergere rapidamente su un obiettivo. Il risultato è che a dettare le condizioni, nel Vecchio Continente, è stata Big Pharma.
Cos’è RDIF, il fondo sovrano russo con la missione di cambiare il paese
L’attore economico della diplomazia del covid è RDIF, fondo governativo da dieci miliardi di dollari creato nel 2011 per interagire con i fondi sovrani di altri stati e trasportare la Russia in un nuovo secolo a base di innovazione e biotecnologie, riducendone la dipendenza dalla materie prime.
Più di ottocentomila dipendenti nelle aziende partecipate, oltre ottanta progetti che coprono il 95% del territorio russo, un giro d’affari complessivo delle società in portfolio che si attesta attorno al 6% del Pil della Federazione Russa: questi i numeri, impressionanti. Rapporti con mezzo mondo, dall’Occidente al Giappone, la Cina, la Turchia passando per gli Emirati Arabi e, ovviamente, l’Italia.
A gestire RDIF, il ceo Kirill Dmitriev (nella foto, con Vladimir Putin). Quarantacinque anni, volato negli Stati Uniti a 14, precocissimo; studi a Stanford e Harvard, poi un passaggio nelle banche d’affari (Goldman Sachs a New York) e nella consulenza (McKinsey a Los Angeles, Mosca e Praga) prima di tornare in patria, dove ha lavorato in Delta Private Equity Partners, il braccio finanziario dello The US-Russia Investment Fund (TUSRIF).
Quest’ultimo nacque nel 1995, pochi anni dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, finanziato dal governo degli Stati Uniti con lo scopo di investire nella Russia, dove tutto era da ricostruire, o meglio, da costruire.
Parliamo degli anni di Eltsin, quelli del capitalismo selvaggio che portarono al fenomeno tutto russo degli oligarchi, prima dell’avvento di Vladimir Putin (nel 2000). Guidato dagli americani Patricia Cloherty e James Cook, il fondo, nel 2000, creò Delta Bank, la prima banca a proporre carte di credito Visa in Russia, e Delta Credit, la prima banca offrire mutui comprando la licenza di JP Morgan.
Esperienze grazie a cui il giovane Dmitriev si formò alle dinamiche della finanza internazionale, e non a caso RDIF fu affidato a lui.
Secondo il Financial Times, la missione del manager è “cambiare il volto del capitalismo russo” e rendere l’economia dello stato meno dipendente dall’industria del petrolio “superando la riluttanza a investire in un paese che molti vedono come corrotto, incline alle ingerenze dello stato e affetto dalla piaga di un sistema giudiziario in cui vige la legge della giungla”.
Gli investimenti nel vaccino
Per questo motivo la strategia è quella di puntare sui settori a più alto potenziale, in grado di collocare il paese sulla frontiera della (bio)tecnologia. Con la pandemia, il ceo ha posizionato la potenza di fuoco di RDIF sul covid.
A marzo 2020 ha investito nella produzione di un test rapido russo-giapponese (venduti 13 milioni di pezzi, è a tutt’oggi usato nei maggiori aeroporti di Mosca) e nello sviluppo di Avifavir, un farmaco, secondo le note ufficiali, utile nella terapia del covid. Prodotto dall’azienda ChemRar, deriva da una molecola sviluppata in Giappone ed è stato esportato in diverse repubbliche ex sovietiche, ma gli studi non hanno chiarito i dubbi sull’efficacia. FDA ed EMA non hanno concesso l’approvazione mentre gli effetti collatorali hanno portato Tokio a considerarlo l’extrema ratio tra gli antivirali.
L’ultimo arrivato è il vaccino Sputnik, la cui efficacia – secondo i russi – sarebbe superiore al 90% ma di cui non sono stati diffusi dati sui test tali da soddisfare gli standard occidentali, e che per questo è al centro di un vivace dibattito. L’EMA ha iniziato la valutazione da pochi giorni, mentre quaranta paesi tra cui l’Argentina e buona parte dell’America Latina, la Guinea, l’Ungheria già lo utilizzano.
Chiaramente, esiste una geopolitica del Covid che deriva dal vantaggio competitivo in termini economici che avrà chi uscirà prima dalla pandemia. Putin (la cui figlia, secondo i media, sarebbe molto vicina alla moglie di Dmitriev) tende la mano all’Occidente. Che farebbe volentieri a meno di un abbraccio che potrebbe rivelarsi impegnativo da gestire una volta passata la tempesta; ma la pandemia potrebbe cambiare le cose.