«L’Islanda è il miglior Paese al mondo nel gender equality, seguito da Norvegia, Finlandia, Nuova Zelanda e Svezia. In Italia è difficile fare progressi finché ci saranno solo il 32,3% di parlamentari e il 26,7% di ministri donne». Intervista a Silja Baller, Head of Mission, Diversity, Equity and Inclusion del World Economic Forum
L’uguaglianza di genere torna ai livelli pre-pandemia, ma non si segnalano progressi degni di nota. I dati che emergono dall’ultimo Rapporto globale sulla disparità di genere 2023 del World Economic Forum, di fatto, non sono molto rassicuranti. Infatti, a livello mondiale, il ritmo del cambiamento è stagnante a causa delle crisi convergenti che rallentano i progressi. Dal rapporto emerge che il divario complessivo tra i sessi si è ridotto di soli 0,3 punti percentuali rispetto allo scorso anno. E l’anno di raggiungimento dell’uguaglianza di genere previsto rimane il 2154, come già il World Economic Forum aveva comunicato lo scorso anno. L’Islanda è il miglior Paese del mondo in termini di gender equality, seguito da Norvegia, Finlandia, Nuova Zelanda e Svezia.
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Un lento progresso
Il progresso registrato in questo anno, secondo il rapporto del WEF, è in parte dovuto alla riduzione del divario nel livello di istruzione, con 117 Paesi su 146 indicizzati che hanno colmato almeno il 95% del gap. Nel frattempo, il divario nella partecipazione economica e nelle opportunità si è ridotto del 60,1% e quello nell’emancipazione politica solo del 22,1%. La parità è progredita di soli 4,1 punti percentuali dalla prima edizione del rapporto, del 2006, con un rallentamento significativo nel tasso di variazione. Per colmare il divario tra i sessi, dunque, saranno necessari 131 anni. Al ritmo attuale, ci vorranno 169 anni per la parità economica e
162 anni per quella politica. «Sebbene ci siano stati segnali incoraggianti di ripresa verso i livelli pre-pandemia, le donne continuano a sostenere il peso dell’attuale crisi del costo della vita e delle interruzioni del mercato del lavoro – ha dichiarato Saadia Zahidi, Managing Director del World Economic Forum – Per una ripresa economica è necessaria tutta la potenza della creatività e di idee e competenze diverse. Non possiamo permetterci di perdere lo slancio in materia di partecipazione e opportunità economiche delle donne».
Perché l’Islanda è un’eccellenza
Per il 14° anno consecutivo, l’Islanda si conferma il primo Paese al mondo in termini di uguaglianza di genere e l’unico ad aver colmato di oltre il 90% il divario. E rispetto allo scorso anno, l’Europa supera il Nord America registrando la più alta parità di genere di tutte le regioni, con il 76,3%. Un terzo dei Paesi della regione si colloca tra i primi 20 e oltre la metà (56%) ha raggiunto almeno il 75% di parità. I progressi sono tuttavia eterogenei: 10 Paesi, guidati da Estonia, Norvegia e Slovenia, hanno registrato un miglioramento di almeno un punto percentuale, mentre altri 10 Paesi – tra cui Austria, Francia e Bulgaria – hanno registrato cali di almeno un punto percentuale. Abbiamo approfondito l’argomento con Silja Baller, Head of Mission, Diversity, Equity and Inclusion del World Economic Forum, che ha dichiarato: «L’Islanda ha ottenuto degli ottimi punteggi in termini di gender equality per quanto riguarda il raggiungimento dell’istruzione, la salute, la sopravvivenza, l’opportunità economica e la partecipazione, nonché l’autonomia politica. Gli eccellenti risultati raggiunti sono dovuti, in gran parte, al forte rendimento dell’Islanda nell’autonomia politica e nelle opportunità di partecipazione economica, in cui i punteggi medi globali sono, invece, relativamente bassi».
Con il 90,1% nell’autonomia politica, rispetto alla media mondiale del 22,1%, l’Islanda ha quasi raddoppiato il punteggio a partire dal 2006. «Non dimentichiamo – prosegue Baller – che il Paese è stato guidato da una donna per 25 degli ultimi 50 anni, e oltre due quinti dei suoi ruoli ministeriali e parlamentari sono occupati da donne. Inoltre, raggiunge un punteggio di parità del 89,4% nel tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro e del 60,2% nelle posizioni di alto livello».
Ancora poche donne ai vertici
I dati globali forniti da LinkedIn, relativi a 163 Paesi, mostrano che mentre le donne rappresentano il 41,9% della forza lavoro, la quota di donne che ricoprono posizioni dirigenziali (direttore, vicepresidente o C-suite) è inferiore di quasi 10 punti percentuali, pari al 32,2%. Sebbene la percentuale di figure femminili in posizioni di leadership sia aumentata costantemente di circa l’1% all’anno a livello globale, negli ultimi otto anni questa tendenza si è invertita e, nel 2023, ha retrocesso ai livelli del 2021.
Le attività STEM sono generalmente ben retribuite e si prevede che nei mercati del lavoro del futuro la loro importanza e la loro portata cresceranno. Tuttavia, i dati di LinkedIn indicano che le donne rimangono significativamente sottorappresentate nella forza lavoro STEM totale, con appena il 29,2%. Nel settore dell’intelligenza artificiale, la disponibilità di talenti è aumentata in modo esponenziale, di ben sei volte tra il 2016 e il 2022, ma la percentuale di donne che opera nell’AI oggi è di circa il 30%, appena 4 punti percentuali in più rispetto al 2016. E c’è un aspetto preoccupante: il calo nella partecipazione economica da parte del genere femminile. «Ci vorranno altri 169 anni per colmare il divario di genere economico», dichiara Baller.
L’Italia che fine ha fatto?
In questo scenario globale, l’Italia come si posiziona? La stessa Baller ci ha detto che si trova al 79º posto nel mondo e al 30º posto (su 36 paesi) in Europa. «Ha raggiunto il 61,8% di parità nell’opportunità di partecipazione economica e ha quasi ottenuto la parità completa nell’istruzione. Inoltre, ha quasi completamente ridotto il gap per quanto riguarda il tasso di alfabetizzazione e nell’iscrizione all’istruzione primaria e terziaria. E anche per quanto riguarda le aspettative di vita in salute, il divario di genere non esiste più». Ma nonostante questi dati positivi, l’Italia è indietro in tema di autonomia politica, con un punteggio di parità del 24,1%. «Vanta solo il 32,3% e il 26,7%, rispettivamente, di parlamentari e ministri donne», commenta Baller.
Come colmare il gap
Cosa fare, dunque, per ridurre il divario? «I progetti per colmare questi gap devono essere incorporati in modo olistico nelle strategie aziendali. Le imprese di maggior successo, infatti, affrontano attivamente le lacune nella loro forza lavoro attraverso la costruzione di un gruppo di leadership femminile che passi per il mentoring, il sostegno e la formazione; garantendo assunzioni, mantenimenti e promozioni equilibrate tra i generi, offrendo maggiore flessibilità negli orari di lavoro e sostegno ai caregiver», conclude Baller, precisando che: «Le aziende lungimiranti sanno guardare oltre e integrano una prospettiva di genere nelle loro catene di approvvigionamento, nei processi di innovazione, nello sviluppo prodotti, nelle vendite e marketing».