A rilevarlo sono i dati della ricerca dell’Osservatorio Sanità Digitale della School of Management del Politecnico di Milano
Nel 2021 la spesa per la sanità digitale in Italia è cresciuta del 12,5% rispetto al 2020, toccando la quota di 1,69 miliardi di euro, pari all’1,3% della spesa sanitaria pubblica. È quanto emerge dalla ricerca dell’Osservatorio Sanità Digitale della School of Management del Politecnico di Milano, presentata durante il convegno “Sanità Digitale: ora serve un cambio di marcia!”.
Siamo davanti a una crescita superiore a quella degli ultimi anni, ma non ancora sufficiente a imprimere, appunto, il “cambio di marcia” necessario a colmare il ritardo accumulato. La tanto attesa trasformazione digitale potrebbe arrivare grazie agli investimenti previsti dal PNRR, che dedica a riforme e investimenti nel settore Salute l’intera Missione 6, con 15,63 miliardi di euro di risorse.
Gli ambiti su cui investire
Dalla ricerca sulle direzioni strategiche delle strutture sanitarie italiane, emerge che, tra gli ambiti di investimento previsti dal PNRR, il 64% dei direttori ritiene molto rilevante lo sviluppo di soluzioni aziendali per garantire la raccolta del dato di cura del paziente, come la cartella clinica elettronica: il 60% delle aziende sanitarie ha infatti intenzione di investire in questo ambito. A seguire, i sistemi per l’integrazione ospedale-territorio e, in particolare, la telemedicina – rilevante per il 56% dei direttori e ambito di investimento previsto nel 2022 per il 58% delle aziende sanitarie – e le soluzioni che consentono l’integrazione con sistemi regionali e/o nazionali come il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE), ambito prioritario per il 47% dei direttori.
In generale, chi dirige le aziende sanitarie ritiene molto rilevante l’attuazione degli interventi identificati nelle linee di indirizzo del PNRR, ma il 46% denuncia come ci sia ad oggi ancora poca chiarezza su come utilizzare le risorse in gioco. Sarà quindi importante definire la strada corretta per mettere a terra gli obiettivi definiti e monitorare questa trasformazione per supportare al meglio l’evoluzione verso il modello della Connected Care.
“Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sta giocando, anche nel settore sanitario, un ruolo rilevante per il rilancio del nostro Paese”, afferma Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio Sanità Digitale. “Il potenziamento della sanità territoriale, anche grazie allo sviluppo di servizi di telemedicina, e la raccolta e valorizzazione dei dati in sanità, in particolare attraverso la diffusione del Fascicolo Sanitario Elettronico, rappresentano alcune delle principali sfide per i prossimi anni”.
“Il PNRR rappresenta un’occasione epocale di rilancio perché assegna al settore della sanità 15,63 miliardi di euro, con investimenti sostanziali sulla digitalizzazione. Tuttavia, l’effettiva disponibilità e l’efficace messa a terra di queste risorse è tutt’altro che scontata”, continua Corso. “Lo sblocco di questi fondi da parte delle istituzioni europee è condizionato dallo sviluppo in tempi rapidi di programmi e riforme la cui realizzazione non è semplice, soprattutto a causa della frammentazione della governance del sistema sanitario pubblico”.
Il Fascicolo Sanitario Elettronico
La pandemia ha influito decisamente sulla conoscenza e l’utilizzo del Fascicolo Sanitario Elettronico, spinto dalla necessità di scaricare green pass, referti dei tamponi e certificati vaccinali. Dalla rilevazione svolta in collaborazione con Doxapharma, emerge che il 55% dei cittadini ne ha sentito parlare almeno una volta (era il 38% nel 2021) e il 33% lo ha già utilizzato (era il 12% nel 2021). Tra i pazienti cronici o con problematiche gravi, le percentuali di conoscenza e utilizzo dello strumento sono ancora più elevate: l’82% lo conosce e il 54% lo ha utilizzato (nel 2021 era il 37%).
“Se da un lato, il Fascicolo è stato attivato per tutti i cittadini e ha raggiunto ad oggi anche percentuali significative di utilizzo – spiega Paolo Locatelli, responsabile scientifico dell’Osservatorio Sanità Digitale -, il livello di alimentazione dei documenti del nucleo minimo è ancora molto limitato nella gran parte delle regioni”. Secondo la rilevazione effettuata, infatti, solo Emilia-Romagna, Lombardia, Toscana e Piemonte hanno una percentuale di alimentazione del FSE superiore al 50% (percentuale di documenti pubblicati e indicizzati sul FSE rispetto al totale delle prestazioni erogate dalle strutture sanitarie pubbliche negli ultimi due anni). Altre quattro regioni – Campania, Liguria, Sicilia e Calabria – hanno invece livelli che non superano il 5%.
“Anche su questo fronte ci si aspetta nei prossimi anni un’evoluzione importante – continua Locatelli – dato che, nell’ambito del PNRR, le risorse per potenziare i FSE regionali non mancano, con 610 milioni di euro per l’adozione e l’utilizzo del FSE da parte delle regioni, di cui 299,6 milioni per il potenziamento dell’infrastruttura digitale dei sistemi sanitari e 311,4 per aumentare le competenze digitali dei professionisti del sistema sanitario”.
La telemedicina
Sin dai primi mesi della pandemia l’utilizzo dei servizi di telemedicina è molto aumentato, perché ha facilitato la collaborazione tra i professionisti e garantito continuità di cura e assistenza ai pazienti. In assenza di strategie e investimenti specifici, tuttavia, parte di questo effetto rischia di svanire con il progressivo ritorno alla normalità. Nel 2021, l’utilizzo della telemedicina da parte dei medici è calato significativamente, seppure ci si assesti su percentuali di utilizzo più elevate rispetto a quelle pre-pandemia. Nello specifico, i dati rivelano che il 26% dei medici specialisti e il 20% dei medici di medicina generale ha utilizzato la tele-visita nel 2021, contro il 39% del 2020 e il 10% circa pre-pandemia.
“La riduzione nei livelli di utilizzo della telemedicina da parte dei medici va colta come il segnale dell’esigenza di un’innovazione più strutturale, un passaggio a un modello nel quale questa non rappresenti più una soluzione di emergenza, ma un’opportunità per migliorare il sistema di cura”, afferma Cristina Masella, responsabile scientifico dell’Osservatorio Sanità Digitale. “Ad oggi, questo cambiamento di modello deve ancora essere concretizzato: per medici e infermieri le attività di telemedicina spesso costituiscono un’aggiunta in termini di tempo a quelle tradizionali”.
Nonostante questo, l’interesse rimane alto. Oltre la metà di medici e infermieri e l’80% dei pazienti vorrebbe utilizzare questi servizi anche in futuro. Le farmacie territoriali potrebbero avere un ruolo rilevante di spinta alla diffusione di questi servizi. L’indagine, rivolta ai titolari/responsabili di farmacia, ha fatto emergere che già nella metà dei casi offrono servizi di tele-cardiologia e dichiarano interesse anche per l’erogazione di altri servizi di telemedicina, come ad esempio la tele-dermatologia (55% delle farmacie).
La comunicazione tra professionisti sanitari e pazienti
La pandemia ha spinto anche l’utilizzo di app di messaggistica istantanea, che hanno permesso una comunicazione veloce e diretta tra professionisti sanitari e paziente. “Oltre a problemi di sicurezza e privacy, l’utilizzo di questi strumenti può impattare negativamente sulle attività lavorative dei professionisti coinvolti, da cui spesso i pazienti si aspettano risposte immediate”, spiega Chiara Sgarbossa, Direttrice dell’Osservatorio Sanità Digitale. “Stentano ancora a diffondersi strumenti più appropriati, sicuri e dedicati all’attività professionale”.
Ad oggi, infatti, solo un professionista sanitario su tre utilizza piattaforme di comunicazione dedicate o certificate, sebbene l’interesse sia elevato soprattutto tra i medici (74% degli specialisti e 72% dei medici di medicina generale). La necessità di ricevere risposte veloci su un problema di salute rappresenta anche una delle motivazioni per cui i cittadini fanno ricorso alla ricerca di informazioni in ambito salute su Internet: il 53% dei cittadini, che ha avuto bisogno di cercare informazioni per identificare possibili diagnosi sulla base dei sintomi, lo ha fatto attraverso Internet, e il 42% cerca informazioni su sintomi e patologie anche prima di una visita.
Competenze per lo sviluppo della sanità digitale
Il 38% delle direzioni strategiche delle aziende sanitarie indica la mancanza di competenze digitali come barriera all’innovazione. “La trasformazione dell’ecosistema salute non può prescindere dal fattore umano e, in particolare, dalla cultura e dalle competenze degli attori coinvolti, tra cui i professionisti sanitari”, afferma Emanuele Lettieri, responsabile scientifico dell’Osservatorio Sanità Digitale. “Per le aziende sanitarie è prioritario investire nella formazione del personale sanitario, soprattutto su ambiti come la cartella clinica elettronica, privacy e sicurezza dei dati, e telemedicina, oltre alla formazione sugli strumenti informatici di base, necessaria per fornire ai professionisti una preparazione più completa”.
Guardando alle digital soft skills, la competenza maggiormente presidiata dai professionisti sanitari è legata alla capacità di comunicare in modo efficace con i colleghi, utilizzando strumenti digitali. Per i medici sono da sviluppare le competenze di eLeadership, relative alla gestione del cambiamento e alla valutazione dei risultati dei progetti, aspetti chiave nel processo di trasformazione digitale. Per gli infermieri, invece, è migliorabile l’efficacia della comunicazione attraverso strumenti digitali con i pazienti, che sarà ancora più cruciale per poter utilizzare strumenti di telemedicina.