Con StartupItalia parte un viaggio tra le realtà di eccellenza che scommettono sull’attrazione di talenti. Prima tappa: L’Oréal. “Essere se stessi è essenziale perché l’autenticità fa la differenza”. Mathis Haccoun, Talent Acquisition Director L’Oréal Italia, racconta il programma L’Oréal For Youth. Obiettivo: portare a bordo 25mila under 30.
Le aziende sono fatte di persone. Certo, contano gli investimenti, le infrastrutture, i prodotti e servizi con i loro brevetti. Ma quello che fa veramente la differenza è proprio quel capitale umano che supera in rilevanza quello economico e rafforza quello sociale e reputazionale. Oggi come ieri. “Cento anni fa il nostro fondatore, quando ha messo in piedi L’Oréal, sosteneva che un’azienda non è fatta né di muri e né di macchine, ma di persone, persone, persone. Proprio così. Quel persone ripetuto tre volte come un mantra sta a confermare la centralità dell’individuo. Ecco, questo elemento non è mai stato così contemporaneo come in questa fase storica e il nostro mestiere di gestione e coinvolgimento delle persone non è mai stato così strategico come oggi perché frutto di un’evoluzione nel tempo, di una crescita costante”. Così afferma Mathis Haccoun, Talent Acquisition Director L’Oréal Italia. Dopo una laurea in Relazioni internazionali all’Università Sorbona di Parigi, Mathis comincia la sua carriera nella sede centrale di L’Oréal in Francia. Nel tempo cambia diverse funzioni che lo portano a fare numerose esperienze in giro per il mondo, ma si innamora definitivamente delle risorse umane, che ritiene essere per i coraggiosi. Tre anni fa il trasferimento in Italia, dove oggi guida il team Talent Acquisition partendo da una convinzione: “Creare connessione con le persone è essenziale. Non solo per attrare ma anche per reclutare i migliori e più diversi talenti per L’Oréal, per il presente e per il futuro”, precisa Mathis Haccoun.
“Creare connessioni con le persone è essenziale.
È lì che si annidano le competenze”
Il programma per under 30
Persone, persone, persone. Con il loro bagaglio culturale, la loro formazione continua, le diversità che messe a sistema creano ricchezza. Persone che sono la memoria storica dell’azienda e che raccontano chi si è oggi, partendo da quello che si è stati ieri. E poi le persone che entrano in azienda, innestando nuove competenze, visioni, approcci. Da questa necessità di contaminazione nasce L’Oréal For Youth, il programma per i giovani che in questi giorni compie un anno e che ha dato ad oltre 18mila ragazze e ragazzi opportunità di lavoro. In Italia, quando è stato attivato, hanno avuto opportunità lavorativa oltre 320 giovani, molti dei quali sono passati da uno stage ad un’assunzione a tempo indeterminato. Per festeggiare il primo anno di vita del progetto dedicato ad offrire concrete opportunità professionali, proprio in Italia è stata organizzata una settimana di Masterclass.
“Ho partecipato alla genesi di questo programma, che è nato durante il periodo difficile dell’emergenza pandemica. Sin dall’inizio abbiamo capito che i primi ad essere impattati dal cambio del mondo del lavoro sarebbero state le nuove generazioni perché la vita per come l’abbiamo vissuta noi loro non la vivranno. Penso alla mancata attivazione degli Erasmus nella fase più dura dei lockdown o alla vita associativa nelle Università. Un riflesso che si coglie leggendo quei CV che una volta contenevano esperienze all’estero e che ora, figli dell’era COVID, non includevano periodi di stage o formazione in giro per il mondo. Ora il nostro obiettivo è assumere sempre più giovani. Puntiamo su 25mila assunzioni under 30 a livello globale. Ma questo non basta. Abbiamo una doppia responsabilità sulla capacità di generare lavoro, sulle opportunità da offrire alle carriere. È un esercizio di responsabilità sociale, di attivismo. Un ruolo concreto che la nostra azienda vuole assumere”, precisa Haccoun.
“Puntiamo su 25mila assunzioni under 30 a livello global. Abbiamo una doppia responsabilità: generare lavoro e offrire opportunità stimolanti”
Cosa si aspetta da questa nuova generazione al lavoro?
Il meglio, nonostante abbia vissuto momenti difficili. Ma attenzione. Quello che stiamo facendo col programma L’Oréal For Youth è qualcosa in continuità con quanto fatto in passato. Investire sulle persone è sempre stato nel nostro Dna. Da tanti stage sono state create nuove posizioni, anche apicali. Oggi siamo pronti a dare nuove opportunità, togliendo di dosso l’autorerefenzialità.
Perché queste nuove generazioni sono più complesse da incasellare?
Ogni generazione ha l’ambizione di voler cambiare il mondo rispetto a quella che l’ha preceduta. Dobbiamo emanciparci dalle etichette, andare oltre il destino pre-assegnato. Oggi ci sono ingredienti non negoziabili, aspettative da alimentare, ma alle quali dare seguito in modo concreto.
È il tempo della formazione continua?
Ormai le generazioni si stanno ibridando. Imparare sempre è un must. Ed è anche una lezione di umiltà. Competenza, pertinenza, creazione di valore sono alla base.
Tutti gli indicatori ci dicono che la generazione Z è attenta al benessere individuale, collettivo, ambientale. Come attrarla? E come trattenerla?
È evidente che la nuova generazione ha molte più aspettative sul purpose, ossia sulla ragion d’essere di un’azienda. In fondo anche la nostra avrebbe dovuto puntare su etica, ambiente, sostenibilità. Oggi il 40% dei nostri candidati ci chiede notizie sui temi legati a diversità e inclusione. Le nostre politiche su questo tema affondano in quindici anni di lavoro e crediamo molto che ci sia spazio per tutti sotto questo ombrello allargato della responsabilità sociale.
“Oggi il 40% dei nostri candidati ci chiede notizie sui temi legati a diversità e inclusione”
Che richieste emergono da questa generazione?
La ricerca di un nuovo equilibrio. E personalmente trovo che l’equilibrio dovrebbe essere vissuto come una ripartenza. Palla al centro, come tutte le partite di calcio. Oggi non ricerchiamo profili specifici, ma abbiamo bisogno di tutti. Non è negoziabile l’idea del potenziale e ci siamo emancipati dalla mera ricerca di competenze verticali. È nel mix tra hard e soft che si vince. Diciamo che è in atto una scommessa sulle nuove generazioni oltre il perimetro del profilo professionale.
“Ci siamo emancipati dalla mera ricerca di competenze verticali. È nel mix tra hard e soft che si vince”
Cosa ha imparato delle varie posizioni occupate nei vari Paesi nei quali ha lavorato?
Il mio è un profilo da globetrotter. Ho lavorato e studiato in Francia, in Canada, in Spagna, Argentina, Thailandia e ora in Italia. Viaggiando ho scoperto sempre un’azienda nell’azienda. Perché le identità delle imprese sono multiple, anche se coerenti. Quello che ho imparato è la necessaria lezione di umiltà e la valorizzazione delle relazioni.
Lei si è innamorato delle risorse umane che ritiene essere “per i coraggiosi”. Perché?
L’HR è di supporto, è un vero e proprio coach. Ha grandi poteri, che presuppongono grandi responsabilità. Non è una scelta stile X-Factor fatta di sì oppure di no, ma di ascolto. E il vero superpotere è quello del coraggio.
In un CV cosa non dovrebbe mai esserci? E cosa invece è importante che ci sia?
Non deve esserci qualcosa che non ti appartiene. La regola aurea è non mentire e quindi imparare ad essere se stessi, altrimenti si capisce il bluff. E invece dovrebbe contenere il perché delle scelte. Non ci deve essere necessariamente coerenza, ma il razionale delle scelte. Perché le vite delle persone sono imprevedibili.
Francesca Gino, docente all’Harvard Business School, sostiene che i leader ribelli cercano di creare qualcosa di nuovo. Cosa ne pensa?
Il leader ha la responsabilità di coltivare la propria impertinenza, ma anche la propria umiltà. Essere out of the box è un vantaggio e qui abbiamo grande attenzione per lo spirito critico perché portare diversità di pensiero è un valore. Il successo non è mai nella staticità, ma nel rompere costruttivamente uno schema.