I dati in uno studio di Elsevier: il nostro Paese sul podio europeo assieme a Francia e Germania
L’Italia ha escluso il nucleare con due referendum, ma la ricerca sull’atomo non si è mai fermata. Anzi. Il paese finisce sul podio dell’Unione Europea assieme a Francia (prima) e Germania (seconda) per numero di lavori pubblicati nel quinquennio 2016-21: ben 2.600, secondo le conclusioni di Elsevier, editore scientifico internazionale che ha analizzato settantamila paper. Il terzetto assomma il 60% degli studi condotti nel Vecchio Continente: 10.200 su 17.000.
Buone notizie anche per quel che riguarda la ricerca in generale: il Belpaese si piazza al settimo posto nel mondo, meglio della Francia (ottava) ma peggio della Germania (quarta).
Alto l’impatto della ricerca italiana sull’atomo
L’Italia può vantare una tradizione secolare che comprende pionieri dell’atomo come Enrico Fermi (Nobel nel 1938 a soli trentasette anni), i ragazzi di via Panisperna (gruppo guidato dal fisico romano e formato dallo scomparso Ettore Majorana, Oscar D’Agostino, Edoardo Amaldi, Bruno Pontercorvo, Emilio Segrè), ma anche personalità ancora in attività, come Carlo Rubbia, fisico goriziano anch’egli premiato dall’Accademia di Stoccolma.
Eccellente, secondo Elsevier, l’impatto della ricerca tricolore: l’indice di citazioni normalizzato (FWCI) è più alto della media globale e superiore a quello di molti, blasonati concorrenti. Sul nucleare, “l’Italia produce ricerca di qualità superiore non solo alla Cina e USA, ma anche a Francia e Giappone, cioè paesi con una consolidata tradizione di ricerca e sviluppo nel settore” afferma l’editore.
Tra i primi quindici paesi più prolifici al mondo, solo UK e Germania hanno FWCI più alto dell’Italia e non di molto – siamo a 1,11, mentre la Germania si attesta a 1,15 e il Regno Unito a 1,20.
Dove si fa ricerca sul nucleare in Italia
Fra i principali centri italiani per la ricerca sul nucleare, Elsevier censisce ai primi tre posti l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (con 713 pubblicazioni tra il 2016 e il 2021), l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, le energie e lo sviluppo economico sostenibile (468) e il Politecnico di Milano (305).
Riguardo ai temi, se globalmente ci si concentra soprattutto su reattori, combustibile e sul problema delle scorie radioattive, in Italia, oltre a questi, si indaga parecchio su fusione nucleare e magnetoplasma.
Il 59% delle pubblicazioni italiane sul nucleare sono state realizzate in collaborazione con enti internazionali, soprattutto francesi, tedeschi e statunitensi. Ma, a livello di citazioni, l’indice normalizzato premia quelle con l’Olanda e la Cina. Interessante il caso di quest’ultimo paese: da solo ha un indice FWCI pari a 0.66, ma nei lavori realizzati in collaborazione con l’Italia lo alza di molto, fino a un ottimo 2,43 (ben più alto della media italiana di 1,11).
Bene i finanziamenti, pochi i brevetti
Secondo Elsevier, dal 2010 ad oggi la ricerca italiana sul nucleare ha co-partecipato a una media di 10 progetti all’anno del valore medio di 17 milioni di dollari l’uno.”Anche se non è possibile sapere esattamente come tali fondi siano stati distribuiti tra gli istituti italiani e stranieri, vediamo che i progetti a cui il nostro Paese ha partecipato sono alla lunga meglio finanziati della media globale, che invece è di meno di 1 milione di dollari. Questo significa – spiega Claudio Colaiacomo, vice presidente per le relazioni globali di Elsevier – che quelli a cui ha partecipato l’Italia sono mediamente più grandi e complessi”.
Quali sono le istituzioni che hanno maggiormente favorito la ricerca nel settore di energia nucleare in Italia? Al primo posto, emerge dalla ricerca Elsevier, l’Unione Europea, che ha finanziato più di 100 progetti di ricerca in 10 anni.
Se la ricerca va bene, la nota dolente è rappresentata dai brevetti. L’Asia fa la parte del leone: la Cina ne ha quasi 14.000, il Giappone quasi 5.000, la Corea del Sud 4.000. L’Europa (includendo UK, Svizzera e Norvegia) ne vanta circa 3.300.
Gli USA fanno registrare un forte distacco rispetto ai competitor asiatici: producono meno brevetti anche dei Paesi UE – solo 2.900 in totale-.
Nel Vecchio Continente vince la Francia (1.000 brevetti), seguita da Germania (810) e UK (quasi 400). L’Italia occupa la sesta posizione (dopo Svizzera e Svezia) con 125 brevetti . Interessante notare che, se a livello mondiale i campi più presidiati sono la fisica e l’information technology, l’Italia invece si distingue per lo studio delle applicazioni del nucleare al campo della chimica.