Dai banchi dell’università al bancone di un locale, la storia di Geremia e Laura, giovani imprenditori
La lampadina si è accesa con il primo lockdown, l’occasione si è presentata con le campagne cashback del governo. A raccontarla così, tra paroloni e digitale, sembra la storia “imbruttita” di due milanesi. Ma un hamburger è un hamburger (ah, gli anglicismi!), e se la cornice è Bologna, c’è il rischio che il panino sia anche buono. Il minimo, per essere all’altezza della tradizione gastronomica delle Due Torri. La novità è che qui si paga solo con carta, di debito o di credito. Ammesso anche il cellulare. Bandite, invece, monetine e biglietti di banca. La transizione digitale è cosa fatta.
Coppia in affari e nella vita
L’idea è venuta a Geremia Cozza e Laura Latella, in tandem in affari e nella vita. Galeotta fu la facoltà di economia all’università; poi la coppia, dopo un passaggio in uno studio di commercialisti, comprende che il proprio habitat è altrove, e decide di aprire un locale a Imola. Era il 2015, l’anno di Expo, dell’esplosione di Eataly e, in generale, dello street food di qualità nel nostro paese.
Nel giro di qualche anno il personale di Bonelli Burger, questo il nome della catena, aumenta, e aumentano anche i metri quadri: nel 2018 lo sbarco nel capoluogo, con una nuova apertura. Partiti da poco più di una stanza, oggi l’azienda conta una trentina di dipendenti. Lo scorso novembre, la decisione di lasciarsi alle spalle il contante. “Abbiamo fatto qualche ricerca, e direi che siamo i primi in Italia a farne completamente a meno”, azzarda Cozza.
Il modello è quello che tira oggi, qualità, sostenibilità e materie prime locali. “Lo definiamo ‘fast fresh burger restaurant’ , panini preparati al momento con ingredienti freschi, a chilometro zero e con carne da allevamento al pascolo e nutrimento esclusivamente ad erba – prosegue Cozza – Una proposta coerente con la qualità gastronomica bolognese, opposta rispetto alle catene fast food che da decenni sono sinonimo di cibo spazzatura”.
Ma perché puntare sul cashless? “All’inizio qualcuno ci rimaneva male. Non nascondo che qualche panino ho dovuto offrirlo: capitava che un cliente arrivasse senza tessera, e non avesse materialmente i soldi per pagare”. Poi, anche grazie a pubblicità in rete e passaparola, la voce si è sparsa. “Oggi direi che la gente l’ha presa bene” confida il fondatore, trentenne.
Cozza offre il punto di vista di un imprenditore che ha accettato il rischio di cambiare strada in una fase in cui rinunciare al borsellino non è semplice, anche per un fatto di abitudine.
“Ma il cashless ha i suoi vantaggi: i dipendenti si sentono più sicuri, temono meno le rapine dal momento che nel locale non gira denaro”. C’è, però, un lato ancora più interessante. “Come imprenditori, puintiamo a non mantenere una presenza fissa nel locale ma a gestire gli affari da un ufficio collocato altrove. Ora, chi ha un’attività sa bene che il momento dei conti a tarda sera richiede sempre almeno mezz’ora. Tempo che un collaboratore trascorre con la calcolatrice e gli scontrini, e che viene retribuito. Moltiplicando per tutti i giorni di apertura, si arriva a 4-5 mila euro all’anno. Una spesa che, eliminando il contante, non abbiamo”. Potrebbe essere questo l’incentivo giusto?