Come per tutto (o quasi), anche le Grandi dimissioni le abbiamo importate dagli Stati Uniti. Nel 2022 50 milioni di americani hanno lasciato il proprio posto di lavoro per trovare nuove soluzioni, anche migliorative dal punto di vista del work-life balance. E poi la situazione è rientrata: a novembre 2023 le persone che Oltreoceano hanno rassegnano le dimissioni sono state 3,47 milioni, ovvero uno dei dati più bassi da 2021 secondo Statista.
«Le Grandi dimissioni negli USA vanno contestualizzate: il Paese ha attraversato come tutti gli altri lo choc del Covid 19, ma ha anche vissuto anni di crescita economica», situazione imparagonabile a quanto stiamo assistendo in Europa. Eppure secondo Simone Tornabene, Co-founder e CMO di Cosmico, è opportuno chiedersi perché l’argomento continui a scaldare gli animi.
Cosa fa Cosmico?
«Diventa rilevante parlare di dimissioni e di lavoro perché c’è un problema: sta cambiando il mondo e le persone sono disposte a mollare il posto piuttosto che restare a far qualcosa che non piace». Fondata a marzo 2020, Cosmico è un’azienda che ha raccolto 1,85 milioni di euro (la maggior parte in equity) con un round nella primavera del 2023. La startup lavora con PMI e aziende che necessitano di professionisti del digitale, figure non facili da trovare sul mercato (e da trattenere).
Con una community da 17mila professionisti Cosmico mette in contatto le società clienti con freelance, che lavorano sempre da remoto su progetti che nella maggior parte dei casi non durano oltre i quattro mesi. «Spingiamo sul lavoro da remoto perché quanto ha vissuto il mondo dal 2020 in poi ha insegnato alle aziende come si lavora da remoto. La tendenza tra Italia ed Europa, però, è di tornare come prima».
Cultura del controllo
Succede un po’ in tutto il mondo: la software house Rockstar Games, al lavoro sul videogioco GTA 6, ha abolito lo smart working richiedendo a tutti di tornare in ufficio. Pure Musk non ha mai amato (è un eufemismo) il lavoro da remoto: quando è entrato nella sede di Twitter poco dopo averla acquisita si è reso conto che nel palazzo pochissimi dipendenti erano presenti (e la cosa lo ha fatto arrabbiare parecchio). In Italia c’è stato il ritorno dello smart working al regime ordinario regolato dalla legge 81 del 2017: gli imprenditori devono firmare accordi individuali con i dipendenti.
«Il problema di base è che quando si parla di smart working istantaneamente partono le tifoserie: i datori di lavoro vogliono riportare tutti allo stadio precedente, almeno per quelle categorie in cui ha funzionato per anni la modalità ibrida; dall’altra parte ci sono i lavoratori che preferiscono un assetto più agile». Tornabene, co-founder di una startup che collabora con chi è abituato a lavorare in full remote e lo propone alle aziende (lo chiamano talent as a service), non si definisce un tifoso.
«La cosa che ci interessa non sta in nessuna delle due visioni contrapposte. Riscontriamo che non viene mai citata la possibilità di scelta, se lavorare in ufficio oppure no. La nostra cultura del lavoro è basata sul controllo e non sulla fiducia». Per molte imprese avere i lavoratori in sede giustifica anzitutto il costo degli affitti di spazi sottoutilizzati (un tema centrale per il futuro delle città), ma serve anche a percepire un maggiore controllo.
Il full remote non funziona per tutti
Poco importa se da remoto un dipendente riesca a fare di più e meglio, godendosi affetti e hobby. «Siamo incastrati in un dibattito sbagliato. E non diciamo sia semplice modificare l’approccio: passare alla fiducia significa trovare nuove soluzioni». Nel corso dell’intervista con Tornabene è stato toccato anche il tema delle giovani generazioni, quelle spesso descritte come le meno disposte a trovare il posto stabile (chissà poi se esiste davvero) costi quel che costi in termini di stipendio e salute mentale. «I ragazzi e le ragazze che entrano nel mondo del lavoro sono spesso contrari al full remote, perché sanno quanto sia importante stare in presenza per acquisire competenze».
Cosmico, che ha chiuso il 2023 con un fatturato da 4,5 milioni di euro (e punta a chiudere il 2024 raggiungere i 10), cerca di operare un cambiamento nelle aziende, fornendo proprio quelle figure abituate a lavorare da remoto. «Se forniamo a un’azienda uno sviluppatore, l’organizzazione deve accoglierlo, accettando il fatto che non sia in presenza. Nel momento in cui l’impresa comincia a toccare con mano che anche gli altri in presenza possono essere comunque produttivi allora fa i suoi calcoli. Se i dipendenti sono produttivi e felici la soluzione è irresistibile».
Come modello di business Cosmico viene pagata dall’azienda che è alla ricerca di determinate figure ed è la stessa startup a pagare il freelance. «Siamo come una camera di compensazione: aiutiamo i professionisti a crescere nel loro lavoro e diamo loro opportunità sotto forma di progetti». A breve la startup aprirà anche in Spagna, con un country manager. «Anche se siamo piccoli, operiamo molto tramite M&A. Contiamo di concludere una acquisizione nel 2024».