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Le aziende biotech non si sono tirate indietro di fronte al Coronavirus. Hanno lavorato duramente per sviluppare strumenti per la diagnostica. Sono impegnate nella ricerca di terapie, farmaci e vaccini
Durante la pandemia si è distinto come un settore in prima linea nella ricerca di soluzioni per contrastare il Covid19. C’era bisogno di dispositivi di protezione, kit diagnostici, disinfettanti innovativi e farmaci. Per questo il 57% delle aziende del comparto biotecnologico, intervistate da Assobiotec, ha lavorato nei primi mesi del 2020.
Sebbene solo il 7% di queste aziende sia impegnata nella ricerca di un vaccino, la diagnostica (44%) e la ricerca di farmaci (34%) hanno guidato le attività di questi mesi.
E per il futuro, il sondaggio “Biotech vs Covid19” ha fatto emergere una realtà di piccole e medie imprese, una risorsa su cui è possibile contare per la ripartenza del Paese.
L’ombra del Covid-19 sulle biotecnologie
Il periodo di quarantena non è stata facile per tutte le imprese del settore. Chi si occupa di ricerca e sviluppo o lavora con i pazienti ha dovuto rallentare (29%) o sospendere l’attività (11%). Tra le più penalizzate ci sono soprattutto le imprese sostenute da un capitale tutto italiano.
Sul territorio nazionale ci sono soprattutto piccole e medie imprese (80% del totale) che si occupano di ricerca e sviluppo o di applicazioni per l’industria e l’ambiente.
Le imprese che contano anche su un capitale straniero sono invece più vicine alla commercializzazione dei prodotti e hanno risentito meno della crisi. Queste sono anche aziende che generano i due terzi del fatturato biotech e che sono attive soprattutto nell’area della salute umana.
Alla carenza di budget, di cui si lamenta il 36% degli intervistati, si sommano difficoltà operative, legate alla pandemia.
“L’esperienza che stiamo vivendo ci ha insegnato, in modo chiaro, alcune cose: in primis che gli investimenti in ricerca e innovazione sono fondamentali” ha detto il Presidente Assobiotec Ferchimica Riccardo Palmisano. “Essere fermi all’1,3% del PIL rispetto al 3% individuato dal piano Horizon 2020 non è un risparmio, ma significa perdere opportunità di crescita per il Paese”.
Le basi per la ripartenza
La capacità di risposta a un’emergenza come quella del Covid-19 nasce dalle basi che sono state poste in passato. Il settore delle biotecnologie è cresciuto in modo costante in questi anni. Lo rileva il nuovo rapporto su “Le imprese di biotecnologie in Italia”, realizzato grazie alla collaborazione tra Assobiotec ed ENEA.
Gli investimenti in Ricerca e Sviluppo biotech superano i 770 milioni di euro nel 2018, con una crescita di oltre il 7% rispetto al 2016 e del 25% rispetto al 2014.
Le imprese dedicate alla Ricerca e Sviluppo biotech sono 208, di cui il 92% è a capitale italiano. Le biotecnologie hanno aperto importanti opportunità nella fase della ricerca early-stage all’interno della filiera farmaceutica.
Il 12% delle aziende biotech si occupa anche di ricerca di base, un potente motore per l’accelerazione di tutto il comparto.
Però, come ha rilevato Riccardo Palmisano, “Se vogliamo che il biotech diventi
una catapulta per la ripartenza dobbiamo rendere il nostro Paese attrattivo per gli investimenti”. Oltre al fatto che vanno superate lentezze burocratiche, regole farraginose e frammentazione, che dividono le regioni, il pubblico e il privato, gli intenti.
Le priorità su cui lavorare per la ripartenza: le imprese a capitale italiano (blu) e estero (azzurro) hanno risposto così al sondaggio
Spazio alle idee giovani
L’aumento del 20% delle piccole e medie imprese impegnate nelle biotecnologie tra il 2014 e il 2019 lo si deve anche a un’altra realtà: le start-up innovative. Le imprese attive nei settori tradizionali hanno acquisito start-up che hanno portato nuove competenze, vitali per il rinnovamento del comparto.
Inoltre, fra il 2017 e il 2019 sono state registrate oltre 50 nuove start-up innovative nelle biotecnologie.
“Credo ci saranno grandi opportunità per le start-up nel contesto lasciato dal Covid-19 perché vivono di ricerca e promettono innovazione” ha commentato Palmisano, che non manca di rilevare anche le difficoltà per il settore. “Gli ostacoli per le startup riguardano l’accesso ai finanziamenti, basati su capitali di rischio. Talvolta poi non arrivano per l’incapacità di far dialogare scienziati e investitori. Per questo è importante potenziare i Centri di Trasferimento Tecnologico”. Quelli attuali infatti hanno pochi dipendenti, che potrebbero essere affiancati da personale specializzato nel settore come medici e ricercatori.
L’ ENEA già da alcuni anni propone strumenti ad hoc per rafforzare la collaborazione con le imprese. Ci sono programmi come il Knowledge Exchange a supporto del sistema industriale, il fondo interno da 2,5 milioni di euro per il proof of concept o la formazione di ricercatori esperti in trasferimento tecnologico, solo per fare alcuni esempi. “Intendiamo proseguire su questa linea”, ha dichiarato Federico Testa, Presidente dell’Enea. “Vogliamo ampliare servizi e strumenti disponibili, anche nella prospettiva di contribuire alla ripartenza post emergenza Covid-19”.
Siamo ancora un Paese che pubblica molto a livello accademico e clinico, ma brevetta poco. “L’impresa porta la ricerca di base a diventare prodotto. Se vogliamo competere, questo passaggio è imprescindibile”, ha concluso Palmisano.