Quali sfide attendono la società di domani? Quali sono i rischi e quali le possibilità offerte dallo sviluppo tecnologico? Per la rubrica “Futuro da sfogliare” un estratto del libro La cultura della crescita – Come la nuova scienza del mindset può trasformare individui, team e organizzazioni, di Mary C. Murphy, edito da Apogeo.
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Quando la convinzione della “somma zero” entra a far parte delle politiche e delle procedure di un’organizzazione, la cultura del genio proviene dall’alto e spinge tutti verso la loro mentalità fissa. Forse nessun’altra pratica illustra la mentalità a somma zero e attiva il fattore scatenante del “successo degli altri” più dello stack ranking, quel sistema in cui i dipendenti vengono regolarmente valutati e premiati (se i loro punteggi sono elevati) o sostituiti (se i punteggi sono scadenti).
La pratica, colloquialmente nota come rank and yank, fu resa popolare nei primi anni Ottanta da Jack Welch, allora amministratore delegato di GE. L’azienda creò tre livelli: dipendenti nel 20% più alto, dipendenti nel 70% intermedio e dipendenti nel 10% inferiore (questi sarebbero stati a rischio di licenziamento). In un articolo pubblicato nel 201820, Welch (morto nel 2020) difese ancora il sistema, sostenendo che era coerente, trasparente e onesto e che garantiva “che tutti i dipendenti sappiano sempre come stanno andando”.
Sostenne inoltre che il sistema avrebbe dovuto prevedere un’intensa consulenza e un tutoraggio per coloro che erano al livello inferiore, in modo che potessero migliorare o capire dov’era la porta. Welch scrisse: “Sì, mi rendo conto che alcuni credono che la curva a campana della differenziazione sia ‘crudele’. Io lo trovo strano: valutiamo i bambini di 9 o 10 anni a scuola, eppure nessuno pensa che sia crudele. Perché gli adulti non dovrebbero accettarlo? Qualcuno me lo spieghi”.
La graduatoria forzata non funziona particolarmente bene nemmeno nelle scuole, come spiegherò tra un momento. Ci sono ottime ragioni per mettere in dubbio le classifiche in ogni ambito: come ha sottolineato la giornalista economica Arwa Mahdawi, un discreto numero di coloro che sono finiti nelle liste “30 under 30” di Forbes o simili hanno dovuto successivamente affrontare accuse penali. La ricerca delle star può aumentare notevolmente la pressione e indurre le persone a mettersi in mostra, anche in negativo.
I critici dello stack ranking sottolineano che il continuo confronto tra i dipendenti erode il lavoro di squadra; Welch invece sostiene che, se un’organizzazione desidera che il lavoro di squadra sia un valore, deve solamente identificarlo come tale, “valutando e premiando le persone di conseguenza”. Questi messaggi diversificati creano una confusa conflagrazione delle priorità nella mente dei dipendenti: dobbiamo fare squadra, o dobbiamo competere? Per inciso, l’opposto della schadenfreude, il piacere provocato dalle disgrazie altrui, è la freudenfreude, la gioia per i successi ottenuti dagli altri.
Quando le aziende tentano di calpestare il valore del lavoro di squadra in un ambiente in continua evoluzione, i dipendenti percepiranno quell’enorme divario di valore durante l’attuazione: l’azienda afferma di apprezzare il lavoro di squadra, eppure la valutazione finale è determinata dalla competizione. Questo genera cinismo e diffidenza, non solo tra colleghi, ma anche nei confronti dell’azienda. C’è chi pensa che “quel novanta per cento dei dipendenti che non sono nella fascia più bassa non ha motivo di preoccuparsi”. In realtà, non è vero: quando vengono spinte verso la loro mentalità fissa dalle caratteristiche strutturali dei sistemi di ricompensa e punizione basati sulle classifiche, le persone temono la perdita del loro status, hanno paura di fare qualcosa che potrebbe portarli al di sotto della linea.
Quelli del primo livello sono costretti a difendere costantemente la loro posizione; quindi, eviteranno di condividere le risorse e di aiuta- re i colleghi per paura che possano scavalcarli. Inoltre, dedicheranno più energie a tenere d’occhio la loro concorrenza piuttosto che alla loro crescita. Chi sostiene che la competizione sia un mezzo per incoraggiare le persone a migliorarsi o ad andarsene deve ricordare che la linea è sottile: la competizione, di per sé, non è né buona né cattiva (tanto che la leggenda del calcio Abby Wambach sostiene che sia il risultato incerto a rendere la competizione divertente), ma il nostro cervello è sempre vigile e percepisce tutto ciò che potrebbe influire negativamente sulle nostre possibilità di sopravvivenza (e nella nostra mentalità fissa tutto questo ci appare come una minaccia).
I sistemi di stack ranking trasformano quella minaccia percepita in una realtà, innescando conseguenze pericolose che possono compromettere le prestazioni e, nel peggiore dei casi, dare luogo a comportamenti non etici. In uno scandalo ormai famoso, i dipendenti in prima linea della Wells Fargo si sentirono costretti a creare conti falsi per raggiungere gli obiettivi fissati e mantenere il loro posto di lavoro.
La concorrenza spietata per un numero limitato di posti di lavoro è stata la ragione principale per cui i dipendenti dell’ex News of the World e di molti altri giornali di Rupert Murdoch rivelarono di aver commesso atti illegali: hacking telefonico, corruzione della polizia, costruzione di notizie false e così via. Secondo l’ex amministratore delegato Jamie Fiore Higgins, la concorrenza incessante e i frequenti licenziamenti alla Goldman Sachs spesso spinsero i dipendenti a cercare di somigliare gli uni agli altri e di abbassare tutti le proprie prestazioni in modo che lo status non ne risentisse. Microsoft ha scoperto in prima persona come la competizione interpersonale può influire negativamente sui risultati aziendali. “Un decennio pieno di errori, con opportunità perse e la devoluzione di uno degli innovatori del settore…”.
Così Kurt Eichenwald ha descritto i dieci anni precedenti di Microsoft in un articolo di Vanity Fair del 2012. Eichenwald, dopo aver intervistato decine di dirigenti passati e attuali della società, scrisse: “Ogni dipendente di Microsoft, attuale o passato, che ho intervistato ha citato lo stack ranking come il processo più distruttivo all’interno dell’azienda, un sistema che ha portato al licenziamento di un numero indefinito di dipendenti”. Uno sviluppatore di software riferì al reporter: “Se lavoravi in un team di dieci persone, sin dal primo giorno sapevi che, per quanto tutti fossero in gamba, due persone avrebbero ottenuto un punteggio fantastico, sette una valutazione mediocre e uno un giudizio pessimo. Ecco perché i dipendenti si concentravano sulla competizione tra loro, piuttosto che sulla concorrenza con altre aziende”.
Per descrivere la situazione di Microsoft quando divenne CEO, Satya Nadella citò un cartone animato famoso, con un finto organigramma che mostra pistole che puntano in ogni direzione. Eichenwald scrisse: “Supponendo che Microsoft fosse riuscita ad assumere i migliori esperti della tecnologia in un’unica unità, ben prima che questi si facessero un nome (Steve Jobs di Apple, Mark Zuck- erberg di Facebook, Larry Page di Google, Larry Ellison di Oracle e Jeff Bezos di Amazon), indipendentemente dalle loro prestazioni, con lo stack ranking due di questi avrebbero dovuto essere valutati come al di sotto della media. Un risultato disastroso!”.
A quanto pare, una delle vittime del sistema rank and yank di Welch fu David Cote, che divenne CEO di Honeywell. Ironia della sorte, quando Cote prese le redini di Honeywell, il suo primo compito fu quello di salvare l’azienda dalla rovina creata da una fusione fallita con GE. Per un dipendente in una cultura del genio come quella di Microsoft dell’epoca, il raggiungimento degli obiettivi non garantiva la sicurezza, perché era sempre possibile che un collega facesse di meglio. I dipendenti si concentravano più sulla repressione dei colleghi che sull’innovazione.
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Come disse un ingegnere a Eichenwald: “Una delle cose più preziose che ho imparato è stata dare l’impressione di essere cortese, pur nascondendo abbastanza informazioni ai colleghi per as- sicurarmi che non mi precedessero nelle classifiche”. Quando arrivò il momento di valutare i dipendenti, ben trenta supervisori si riunirono a porte chiuse per stabilire chi dovesse essere lasciato andare (ovvia- mente puntando il laser secondo i propri interessi). Come sottolinea Margaret Heffernan in un TED Talk, la maggior parte delle organizzazioni ha trascorso gli ultimi cinquant’anni o più seguendo il mantra per cui “il successo si ottiene scegliendo le superstar – gli uomini, e raramente le donne, più brillanti – e dando loro tutte le risorse e tutto il potere. Il risultato è stato… aggressività, disfunzione e sprechi. Se l’unico modo in cui il dipendente più produttivo può avere successo è sopprimendo la produttività degli altri, abbiamo davvero bisogno di trovare un modo migliore di lavorare e un modo più ricco di vivere”.