Google ritarda il ritorno in ufficio. Ma “solo” per ragioni sanitarie
Mentre in Italia si sta discutendo sul destino dello smart working, con il ministro della Pubblica Amministrazione, Renato Brunetta, che spinge affinché i dipendenti tornino presto in ufficio, nel mondo delle Big Tech la situazione è ancora in continua evoluzione. Se si scorre un motore di ricerca per trovare news su come multinazionali (Google e Apple, per fare qualche esempio) abbiano affrontato questo periodo, è un continuo alternarsi tra promesse di smart working per sempre a richieste di ritorno in presenza o a soluzioni ibride che prevedono, ad esempio, il pagare di meno chi opta per l’ufficio domestico. Sembrano comunque lontani i tempi in cui, forse anche per paura del coronavirus, le aziende più innovative facevano da apripista verso un nuovo modo di intendere il lavoro, slegato dall’ufficio e collegato invece ai risultati.
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Smart working: non si era detto per sempre?
Al momento sappiamo che Google ha posticipato il ritorno in ufficio da ottobre a gennaio 2022. Il motivo riguarda i casi di variante delta che preoccupano l’amministratore delegato Sundar Pichai. Ma, a quanto pare, è soltanto la ragione di sicurezza sanitaria quella che si frappone tra lo smart working attuale e la strada di rientro in presenza. Con settembre sono ripartiti anche in Italia i tradizionali flussi e il traffico nelle città suggerisce che il modello verso cui ci si sta indirizzando non è nè bianco, nè nero, ma ibrido.
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Spazi sottoutilizzati
Una cosa che va sottolineata è che non tutte le imprese possono permettersi lo smart working perenne, o comunque a discrezione dei dipendenti. Ci sono sì i necessari momenti di incontro con i colleghi, ma resta ancora aperto un enorme capitolo che riguarda gli spazi che, svuotati dal lavoro agile, rischiano di finire sottoutilizzati. Trovandoci ancora in una situazione sanitaria complessa non è facile fare previsioni, anche se sono diverse le Big Tech che hanno abbracciato da tempo lo smart working senza se e senza ma. Tra queste contiamo Twitter, Spotify e Slack.