Ieri la Commissione von der Leyen ha presentato il Green New Deal. Le cifre stanziate sono però inferiori alle aspettative e rischiano di andare soprattutto ai Paesi meno attenti al rispetto dei diritti civili
Il neonato governo europeo prosegue dritto verso il suo obiettivo: mettere in piedi quel Green new deal di cui tanto ha parlato al momento del suo insediamento che si traduce nel conseguimento della neutralità climatica entro il 2050. I paroloni un po’ oscuri non mancano, così come le cifre altisonanti: il fondo verde sarà da mille miliardi. Ma è davvero così? E quanto andrà al tessuto industriale italiano per il maquillage green?
I mille miliardi sono in realtà sette
Iniziamo dalle cattive notizie. I mille miliardi di euro spalmati in dieci anni saranno, almeno all’inizio, 7,5. Da spartire tra tutti i Paesi membri. E la spartizione non sarà equa, visto che anche nel campo della sostenibilità si registra una Europa a due velocità, con gli Stati del Nord a trainare e quelli dell’Est ancora troppo legati al carbone.
L’esecutivo comunitario guidato da Ursula von der Leyen
© Twitter Ursula von der Leyen
Il tema della Polonia
E qui si registra un primo problema ineludibile, legato alla Polonia e alla sua recente e preoccupante deriva antidemocratica. Il PiS (“Legge e giustizia), partito di estrema destra alla guida del Paese, sta attuando una profonda riforma del sistema giudiziario volta però a imbrigliare l’azione dei magistrati. Tra le novità più importanti, penetranti possibilità di licenziare i giudici che si discostano dall’operato del governo (sono a rischio persino quelli che hanno criticato pubblicamente le nuove norme) e la trasformazione del ministro della Giustizia in Procuratore generale che sancirebbe di fatto la fine della separazione dei poteri di montesquieuiana memoria.
Leggi anche: Dal governo del Vecchio continente 1000 miliardi per salvare il pianeta?
Dal momento che non è più in grado di assicurare la dovuta indipendenza, il Consiglio Superiore della Magistratura polacco, che rappresenta l’ordine del Paese, è già stato sospeso dall’associazione europea dei CSM (una sorta di europarlamento dei giudici). E la permanenza stessa della Polonia all’interno dell’Unione europea sarebbe ora a rischio, perché le nuove norme non assicurano più il rispetto di quei principi fondamentali irrinunciabili previsti dai Trattati sottoscritti dai Paesi membri. Eppure, se il Green New Deal andasse in porto, sarebbe proprio la Polonia a beneficiare maggiormente del Fondo. L’altro grande beneficiario sarebbe, ed è il secondo paradosso, l’Ungheria di Viktor Orbán il cui partito, il Fidesz, resta tutt’ora, tra non pochi imbarazzi, all’interno del Partito Popolare Europeo.
E all’Italia?
Quanti soldi arriveranno invece al nostro Paese, tra i maggiori contribuenti al bilancio comunitario, perché rifaccia da zero il proprio tessuto industriale in un’ottica green? Domanda lecita, soprattutto in un periodo storico come questo caratterizzato dalla possibile chiusura dell’Ilva proprio per motivi ambientali. Lo stesso Paolo Gentiloni, neo commissario agli Affari monetari, ha ammesso che il Fondo «potrà riguardare l’Ilva e la Puglia, e in particolare la zona di Taranto. Ciò non vuol dire – ha sottolineato – che il problema dell’Ilva verrà risolto dal Just Transition Fund». Anche perché resta da capire l’ammontare degli aiuti che ci destinerà Bruxelles. Secondo alcune indiscrezioni trapelate nelle ultime ore, su 7,6 miliardi, appena 400 milioni. Difficile elaborare un serio piano industriale sulla base di cifre simili (la sola riqualificazione dell’Ilva richiede oltre 2 miliardi).