Per i dipendenti la possibilità di variare in modo autonomo orari e carichi di lavoro è un benefit insostituibile. E già si sogna un futuro senza pendolarismo
La libertà di gestire il proprio lavoro e di conciliare impegni professionali e vita personale non ha prezzo: in Italia per tre lavoratori su dieci ferie e permessi possono essere sacrificati in nome di una maggiore flessibilità e sette su dieci già la vivono e non tornerebbero indietro. La tendenza emerge dalla ricerca annuale di IWG – International Workplace Group – leader globale nella fornitura degli spazi per il lavoro flessibile che monitora da anni le scelte e le tendenze dei lavoratori di 80 diversi paesi nel mondo.
A quanto pare la flessibilità non è solo un’irrinunciabile caratteristica per chi già la sperimenta, ma per l’86% dei rispondenti italiani è anche un fattore cruciale in fase di scelta e contrattazione professionale, talvolta anche più rilevante del prestigio aziendale. In Italia questo è un valore importante per i lavoratori ma non a sufficienza per le aziende: che sono ancora indietro sulla tabella di marcia rispetto a quelle in Australia, Canada, UK, Germania, India e Usa, luoghi dove si applicano spesso politiche di lavoro flessibile per attrarre e far crescere i migliori talenti.
Il quadro italiano
L’intervista è stata svolta su 15mila lavoratori nel mondo, di cui 450 in Italia: 7 su 10 nel nostro paese vivono la flessibilità come normalità, e il 54% del campione afferma di lavorare in location diverse dalla sede aziendale per almeno la metà della settimana lavorativa, in alcuni casi anche di più. Una scelta che è nel DNA dei liberi professionisti e dei consulenti, ma che nell’86% dei casi presi in esame è anche delle aziende che hanno adottato politiche di flessibilità degli spazi di lavoro negli ultimi 10 anni, o ne stanno attualmente pianificando l’adozione. Interessante il fenomeno in Giappone: paese in cui il lavoro flessibile ha più saldamente sostituito il ritmo normale ma è anche il paese in cui, tuttavia, meno aziende della media hanno implementato una politica flessibile dello spazio di lavoro, indicando un disallineamento tra le aspettative dei lavoratori e le effettive scelte aziendali.
Davanti ad una media globale del 60%, il 73% degli intervistati italiani trova nella cultura aziendale gli ostacoli più rilevanti ad una possibilità di cambiamento tramite nuove politiche di flessibilità. Sono i processi, le abitudini e i timori dell’impatto di nuove modalità di lavoro a frenare le scelte aziendali: ma le imprese che non hanno ancora considerato i benefici finanziari e strategici dello spazio di lavoro flessibile sono ormai costrette a farlo, perché sul tavolo della contrattazione c’è anche la possibilità di assicurarsi talenti e competenze. In UK il costo per sostituire un dipendente con uno stipendio medio pari a 27mila sterline è ogni volta di 11mila sterline: pari a 6 – 9 mesi di stipendio.
Più tempo per noi
Lavoro flessibile significa maggiore libertà nella conciliazione tra vita privata e vita professionale: un bene intangibile che rende i dipendenti più sani e felici e incide sulla produttività, dato certificato dall’85% delle aziende intervistate – il 76% in Italia. Nel mondo 1 lavoratore su 5 descrive la flessibilità come la capacità di prendere alcune decisioni sull’orario di lavoro, per 1 su 4 equivale alla capacità di gestire il carico di lavoro, ma più della metà lo collega alla possibilità di scegliere dove lavorare. Il ricorso a spazi di lavoro flessibile viene considerato fondamentale per le aziende che vogliono espandersi velocemente, ridurre le spese di capitale e quelle operative e mitigare i rischi.
Una politica flessibile dello spazio di lavoro consente alle aziende di aumentare anche le politiche a favore delle diversità di genere e delle famiglie con genitori anziani o esigenze particolari: considerando il campione in esame accade nel 77% dei casi in Italia, con una media globale dell’81% e picchi positivi in Messico, Canada, Sud Africa e Brasile. Ai due poli opposti troviamo la Norvegia, dove il 42% dei posti in consigli di amministrazione è occupato da donne e Cina e Corea del Sud, con percentuali rispettivamente del 9% e del 4%.
I pendolari lavorano ovunque
Ogni paese coinvolto nella ricerca lascia emergere anche altre variabili importanti che incidono sulla qualità del tempo dei lavoratori: 4 lavoratori su 10 in Italia considerano il pendolarismo come la parte peggiore della propria giornata, 1 su 10 dichiara di essere spesso in ritardo a causa di problemi lungo il tragitto, e più della metà ritiene che spostarsi per andare al lavoro diventerà una pratica obsoleta entro il 2030. Grazie agli smartphone e alla condivisione dei dati, gli strumenti a disposizione agevolano il lavoro anche sui mezzi di trasporto. Infine, Il 34% degli italiani intervistati pensa che il tempo del pendolare non sia da considerare “tempo libero”, ma compreso nell’orario lavorativo. In Sudafrica, tuttavia, mentre il 37% delle persone lavora per organizzazioni che incoraggiano la flessibilità lavorando a distanza, solo il 19% dei datori di lavoro fornisce loro dispositivi intelligenti che consentano loro di lavorare ovunque.