Tutto questo grazie al conto terzi. In Italia sono 108 mila le imprese della manifattura che se ne avvalgono, per un fatturato da 56 miliardi di euro
Se l’industria farmaceutica è sempre più giovane, tecnologica e green il merito lo si deve al conto terzi, nome astruso, criticato da tutti (soprattutto dagli addetti del settore) che indica la filiera produttiva fatta di piccole realtà e arrembanti startup che sta dietro ai grandi marchi faticando a farsi conoscere, nonostante produca ricchezza, registri brevetti e impieghi sempre più figure professionali 4.0. Ma da qualche anno Farmindustria ha deciso di rendere alla categoria l’onore che merita, per mezzo di appuntamenti nei quali si fa il punto della situazione e si prova a capire quanto vale il settore. “Si chiama conto terzi ma conta primo”, ha scherzato Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria.
Quanto vale il conto terzi italiano?
Vediamo anzitutto quanto vale il conto terzi nel suo insieme e qual è il suo apporto al mondo industriale. “Il contoterzismo svolge un ruolo chiave nella sostenibilità”, ha detto Domenico Sturabotti, direttore di Fondazione Symbola, che ha realizzato lo studio.
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“Sono infatti sempre di più le innovazioni green che provengono da quel mondo”. Un mondo fatto di PMI e startup innovative. Secondo il report, in Italia sono 108 mila le imprese della manifattura (il 27% del totale) che hanno prodotto almeno una volta conto terzi, per un fatturato da 56 miliardi di euro. Si avvale del conto terzi soprattutto l’automazione (43,5%), segue l’abbigliamento (8,2%), arredamento (5,4%), alimentare e farmaceutica.
L’importanza nel settore farmaceutico
“Il conto terzi oggi offre un prodotto completo, dalla molecola al farmaco sul mercato”, ha dichiarato Giorgio Bruno, numero uno del Gruppo Produttori Conto Terzi di Farmindustria. “Ha come caratteristiche principali la flessibilità della produzione, il rispetto per l’ambiente – tutte le aziende hanno ottenuto la certificazione green – e l’innovazione: il 4.0 per noi è una realtà da anni”.
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Sostenibilità al primo posto
“Dobbiamo imparare a leggere meglio il Paese: il nostro disfattismo ci azzoppa” ha spiegato Ermete Realacci, presidente di Symbola. “Prendiamo per esempio l’economia circolare: l’Italia è fortissima. Milano compete con Vienna per la differenziata e la provincia di Treviso non ha nulla da invidiare per il trattamento dei rifiuti con i land tedeschi. Eppure nessuno lo sa”.
Stesso concetto è stato ripreso da Scaccabarozzi: “Il nostro settore ha superato prima la Francia poi la Germania, che è la locomotiva d’Europa, eppure non lo sa nessuno. Siamo diventati un hub nella ricerca ma è stato letto come una conseguenza della Brexit. Dovremmo convincerci invece che l’Italia è un Paese straordinario, capace di fare sistema. E il conto terzi lo dimostra”.
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Ma a frenarci non è solo il disfattismo insito nel nostro DNA, come ha avvertito Sergio Dompé, vicepresidente di Assolombarda: “C’è bisogno di fare sistema, di riuscire a far dialogare gli atenei con il mondo dell’industria, ma soprattutto abbiamo necessità di lungimiranza, concetto che manca a una politica che prova a guardare il futuro buttando l’occhio allo specchietto retrovisore”.