Parlare di lavoro il Primo maggio è incredibilmente difficile. I pericoli – o meglio i passi falsi – sono tanti: il rischio di cadere nei cliché, di banalizzare con le frasi fratte, ignorare alcuni punti di vista, fare polemica tanto per l’hype, usare male i dati…
Il lavoro ha due dimensioni cruciali. Quella individuale, fatta di obiettivi, equilibri, desideri e sacrifici e una collettiva che attraversa storia e società, nella quale i diritti e le conquiste si alternano a lotte. Una situazione nella quale i prodotti italiani vengono ricercati per il made in Italy ma, allo stesso tempo, il nostro Paese arranca con la produttività, la crescita dei salari, il cuneo fiscale, il rinnovo dei contratti.
Leggi anche: Perché fingiamo che il mondo del lavoro sia quello del baby boom degli anni ’60?
Parafrasando le parole di Paolo Iacci nel suo ultimo libro Smetto quando voglio, in Italia di lavoro si parla poco e male: si preferisce dare sussidi per la disoccupazione, piuttosto che reali possibilità per il lavoro.
Il mio punto di vista è stato sempre vicino alla persone che lavorano o cercano lavoro, dando strumenti per comprendere la propria situazione, risorse da consultare, formazione e opportunità concrete per migliorare poco o tanto la propria situazione.
Partendo dall’individuo e dai suoi bisogni, mi prendo questo Primo maggio 2024 per delineare dieci tendenze chiave che segneranno il mercato del lavoro del nostro Paese nei prossimi anni, lasciando alla seconda metà degli spunti di riflessione da sviluppare.
Carriere non-lineari
Non siamo impazziti nel voler cambiare strada o rimettere in discussione quanto abbiamo studiato. Fatto sta che l’allungarsi della durata della vita lavorativa unita a una diversa concezione del valore del lavoro farà sì che le persone alterneranno momenti di formazione a momenti di lavoro, con cambi di direzione inevitabili. Come già oltre oceano si sono accorti, cambiare lavoro, avere delle pause, riqualificarsi non sarà più un’eccezione.
Skills first Approach
Se le carriere cambiano, cambia anche la ricerca e selezione con un focus sempre di più sulle competenze acquisite nel tempo che non, semplicemente, gli anni di esperienza o il job title. Il motivo? Non sempre a tanti anni di esperienza corrispondono un uguale grado di approfondimento o aggiornamento. Allo stesso modo, sotto una stessa qualifica troviamo spesso competenze e attività anche molto diverse tra di loro. Per approfondire si può dare un’occhiata anche alle ricerche prodotte da Linkedin o BCG. )
AI e recruiting
Davvero l’AI sostituirà i recruiter? Difficile lo faccia in toto. Più che altro, si sta affiancando in tutte quelle attività più operative come pubblicazione annunci, archiviazione candidature, gestione mail automatiche, primo screening. Su quest’ultimo punto cosa aspettarci dai famigerati software escludi CV? Nulla in particolare se non un matching tra le parole chiave e le risposte alle killer question e quanto inserito come chiave di ricerca nel sistema. Nessun sistema esclude candidature, al massimo quello che fanno è creare un Ranking di coerenza ma la scelta definitiva di chi chiamare la farà sempre e solo una persona, anzi due: il selezionatore o l’hiring manager. Una panoramica più ampia qui su Forbes.
Basta CV?
Ogni due – tre anni arriva la notizia: il CV è morto. Quello che in realtà sto vedendo, più che altro, è che il CV sta evolvendo in un ecosistema di presenza che va dal nostro profilo Linkedin, da intendersi come identità digitale dinamica e completa, ai nostri profili social che influenzano le valutazioni di circa la metà dei recruiter secondo una ricerca Adecco, fino al CV, invece da intendersi come racconto personale mirato alla posizione desiderata.
Leggi anche: La Pubblica amministrazione sarà mai “un posto figo” dove lavorare?
Non particolarmente amato dai più, ci sono delle aziende che stanno fornendo alternative al CV come CVING che punta sul colloquio in differita oppure Buddyjob, nuovo nato in casa Oneday, che fa passare la selezione per delle domande mirate, accompagnate da eventuali colloqui di orientamento gratuiti con dei mentori.
Talent war
La guerra dei talenti ovvero la difficoltà che porta le aziende a faticare molto a trovare alcune figure, soprattutto connesse con i profili tecnici. Questo dato è rilevato in tutto il mondo come rivela questa ricerca di Manpower e particolarmente sentito nel nostro Paese dove il 40% dei ruoli professionali (dati ministero del Lavoro) è di difficile reperibilità. La soluzione passa in questo caso per due strade.
La prima, nella quale, le divisioni HR apprendono tecniche di marketing e lavorano molto sull’employer branding, ovvero la percezione dell’azienda e suoi valori sia dall’interno che dall’esterno, lavorando sulla comunicazione trasparente, gli eventi di incontro e networking, offrendo contenuti e informazioni di valore che possano costruire una community fidelizzata attorno alla struttura e attrarre quindi in maniera “naturale” i migliori profili.
La seconda invece riguarda la formazione: non sempre per tutti i profili tecnici è necessaria una formazione lunga e complessa, quindi perché non istruire le persone per poi assumerle? Un bel vantaggio competitivo per le aziende che spostano quindi la loro attenzione dai profili più contesi ad un più ampio bacino di profili diversi. Tra gli esperimenti di academy più importanti segnalo a breve la .atonAcademy, di .aton società di Treviso che opera nella trasformazione digitale. .atonAcademy propone senza limiti di età e di background di studi, percorso di formazione con la possibilità di ricevere una possibilità di assunzione anche da remoto.
Generazioni a confronto
La vita si allunga e la presenza di persone di diverse generazioni in uno stesso luogo di lavoro aumenta. I Baby boomer si stanno qualificando come quella più longeva in assoluto, i Gen X poco soddisfatti dei propri stipendi, i Millennial scalpitano per aver il loro posto nel mondo e i Gen Z che appaiono faticare a piegarsi alle tempistiche aziendali.
Nell’ultima Salary Guide di Hays si legge tutto questo e la necessità per le grandi società diventa mettere in contatto le diverse anime dei collaboratori con opportunità e soddisfazioni che si avvicinino ai loro desideri. Ogni generazione di per sé è rivoluzionaria ma quello che ora è diverso è il fatto che i giovani sono nettamente sempre meno.
Cosa vuol dire? Per un’azienda investire in iniziative che trattengano le persone, favorendo il benessere fisico e psicologico, l’equilibrio con la vita privata e prevedere modelli di leadership differenti a seconda del tipo di età della persona: un approccio ben codificato nel modello di Hersey e Blanchard della leadership situazionale.
DE&I a che punto siamo?
Sulla tematica di diversità, equità ed inclusione potremmo scrivere articoli su articoli in questo punto non credo di essere in grado di dare una panoramica completa. Quello che sento è che, dopo un’ondata di #pinkwashing a suon di quote rosa forzose, proclami di massa, donne come panda in via di estinzione da salvare (forse anche promossa dagli esoneri fiscali mossi dietro la certificazione di qualità), ora l’equilibrio si è un po’ più ristabilito a fronte di un’attenzione verso le dinamiche di genere e orientamento sessuale.
La DE&I però non è una moda o una vettura della quale puoi scegliere o meno se avvalerti di alcuni accessori: è un insieme di iniziative per valorizzare tutte le forme di diversità, comprese le disabilità non visibili, neurodivergenze, seconde generazioni a fronte di un equità di trattamento e possibilità. Nuove sfide sono dell’ageismo o il superamento dell’idea di inclusione (concetto che induce a pensare ad gruppo “che ammette”, quindi anche ad un’idea di dentro o fuori) con quella di “Beloging” ovvero appartenenza ad una stessa azienda pur mantenendo le proprie peculiarità.
Estero
Un articolo de Il Sole 24 ORE di Ottobre 2023 titolava che i giovani italiani che si spostano all’Estero sono almeno tre volte tanto i numeri rilevati. Molti giovani, infatti, restano residenti in Italia e non si registrano all’Aire, e quindi il numero reale delle persone che si spostano all’Estero, nel periodo 2011-2021 potrebbe salire a quasi 1,3 milioni. Una cifra che corrisponde ad una perdita di capitale umano di 38 miliardi e che, unita al calo demografico, porta a pesantissimi scenari.
Leggi anche: Lavoro, quattro consigli per attrarre la GenZ
Questa è una sfida che il singolo da solo non può risolvere ma che necessita di un ripensamento strutturale e soprattutto una valorizzazione dei percorsi di formazione e inserimento al lavoro. Gli stage ancora porta di ingresso “obbligatoria” nel mondo del lavoro non consentono di raggiungere un’autonomia economica: con 600-700 euro al mese, uno stage a Milano diventa qualcosa di elitario riservato a chi se o può permettere. Diverso da quando Milano offriva opportunità a chi arrivava negli anni ’60. Proposte di salario minimo comunale sono le ultime novità per adeguare i salari al costo della vita cittadina.
Dignità del lavoro
Dobbiamo riconquistare il concetto di dignità sia del lavoro che della persona che lavora. La normativa europea per la trasparenza salariale sembra assicurare una parte di questo, consentendo una rapida visione dei trattamenti economici di una società. La dignità del lavoro passa anche l’educazione finanziaria, la consapevolezza dei propri diritti e la possibilità di saper e poter scegliere.
Su quest’ultimo punto, ricollego anche il tema dell’orientamento, grande assente nei percorsi scolastici italiani. Come possiamo colmare lo skill mismatch se ancora pensiamo che ci siano lavori di serie A e di serie B? Se magari intendiamo l’istruzione universitaria come l’unica di valore e immaginiamo gli ITS come istituti professionali di poco valore? Un orientamento che spesso andrebbe fatto a genitori e insegnanti con denominatore comune: dare fiducia alle nuove generazioni.
Felicità
Essere felici al lavoro è essenziale per l’80% degli intervistati di una survey di Glickon e per il 97% rende più produttivi. Secondo l’osservatorio Ben-essere e felicità, l’impatto della felicità al lavoro è maggiore per i millennial che ricercano soddisfazione al lavoro ma anche equilibrio con gli altri aspetti della vita, mentre minore per Gen X e Gen Z. Il lavoro non è una famiglia, né la fucina del nostro valore ma è chiaro che fare un’attività che ci piace o sentirci in un ambiente che ci protegge ci aiuta a migliorare la nostra percezione di sé e il rapporto con gli altri.
Il lavoro può essere motore del cambiamento, portare a immaginare progetti o semplicemente avvicinarsi al nostro stile di vita ideale. In mondo dove il successo è veloce, verticale e fonte di approvazione sociale, un solo augurio per questo primo maggio: avere lo spazio di fare una carriera che si somigli, dove l’unica definizione di successo derivi da noi stessi.