Gandalf, Volare, Eurofly, MyAir, WindJet, AirOne, Livingston, Meridiana e poi il grande malato: Alitalia. Le compagnie italiane non riescono a spiccare il volo
Con i disegni di Leonardo da Vinci siamo stati i primi a progettare macchine per volare, ma i nostri sogni sono rimasti su carta, ancorati a quegli schizzi. Gli italiani infatti non riescono proprio a spiccare il volo. Altrove le compagnie di bandiera prosperano, così come fioriscono quelle low cost. Nel Bel Paese, invece, meta turistica per antonomasia, sembrano destinate inesorabilmente a fallire. Scorrendo l’elenco si scopre che Air Italy è soltanto l’ultimo vettore rimasto a terra…
Anche per oggi non si vola
Nome fantasy, ma fatturato ben poco fantastico. Era la Gandalf Airlaines, fondata da tre imprenditori lombardi con aeroporto principale a Orio al Serio. Varata nel 1998 non riuscì a superare la crisi delle compagnie che seguì agli attentati dell’11 settembre 2001, dichiarando fallimento tre anni dopo. Sorte analoga toccò alla brianzola Volare, oggi caduta nel dimenticatoio, ma con dietro alle ali una storia bellissima, se si pensa che fu messa in piedi nel 1997 da un orafo e da un ex pilota delle Frecce Tricolori, riuscendo, nel giro di soli tre anni, ad acquisire un colosso come Air Europe, leader nel mercato dei voli charter.
Sull’ali dorate
Molto meno bello il fatto che fosse sospinta da un vento padano che soffiava dalla vecchia Lega Nord, quella delle origini che al sovranismo attuale preferiva il federalismo. E infatti Volare realizzava il sogno di Umberto Bossi di regalare al Nord un grande vettore. Travolta anch’essa dalla crisi dell’11 settembre, crack da mezzo miliardo, provò a reinventarsi, senza successo, come compagnia low cost con il nome di Volareweb, poi confluita in Alitalia. Lì vicino aveva base la varesina-bergamasca Azzurra Air: primo volo nel dicembre ’96 (dietro Air Malta al 49%, IMS International e Mediocredito centrale), ultimo a fine 2003.
Dal calcio al cielo
Tra le low cost si ricorda anche la catanese Wind Jet, fondata nel 2003 da Antonino Pulvirenti (che i più ricordano come presidente del Catania Calcio) e chiusa nel 2012 dopo un tentativo di fusione con la nostra compagnia di bandiera. Altro imprenditore del pallone finito nel pallone a causa di una compagnia aerea Giovanni Mancuso, all’epoca proprietario del Catanzaro calcio, che provò a spiccare il volo con Minerva Airlines, chiusa nel 2004.
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Chi uscì da Volare provò a fondare MyAir, che però si schiantò in tribunale di lì a poco. Ma il premio per la compagnia aerea durata meno va senz’altro alla vicentina VoliRegionali S.p.A. nata nell’agosto 2004, morta il 23 dicembre 2005. Ben più famosa AirOne di Carlo Toto. Assieme a Meridiana (poi Air Italy), per diversi anni se la giocò alla pari con Alitalia, dalla quale finì per essere assorbita, anche c’è chi maligna che, più che una acquisizione, si trattasse di un fallimento scudato con capitali pubblici.
Livingston, I presume
Il figlio di Carlo Toto, Riccardo, animato dalla medesima passione per le compagnie aeree che aveva suo padre, ci provò con la travagliatissima Livingston. La storia di questo vettore meriterebbe la stesura di un romanzo: rilevata per un solo euro dall’allora 32enne Riccardo Toto e sopravvissuta a due fallimenti (Lauda Italia, quindi gruppo Ventaglio), si schiantò miseramente mentre alla cloche si trovava l’istrionico Massimo Ferrero, oggi noto soprattutto per essere il presidente della Sampdoria.
Eurofly diventò Berlusconi Airlines
Poi c’era la torinese Eurofly che, oltre alla responsabilità dei passeggeri che trasportava quotidianamente, aveva pure quella degli azionisti, dato che fu persino quotata in Borsa. E subito furono turbolenze: il titolo perse più del 40% del suo valore in appena sei mesi. Chi meglio di un ex pilota poteva risollevarne le sorti e la quota? Ci provò allora Augusto Angioletti, ex comandante con velleità imprenditoriali. Nel 2006 fu un aereo della sua flotta a riportare da Berlino la Nazionale di calcio Campione del mondo di Cannavaro e alla cloche c’era lo stesso Angioletti.
Ma le “notti magiche” erano destinate a finire: deleteria fu la scelta di acquistare un Airbus A319-115/CJ da 33 metri e dal valore di 30 milioni di euro per tratte superlusso Roma – New York. Pochissimi posti, costosissimi che rimasero desolatamente vuoti. Eurofly fu così comprata da Meridiana mentre l’aereo se lo regalò Silvio Berlusconi che lo usò per esempio per volare ad Atene e assistere alla finale di Champions League del 23 maggio 2007 disputata (e vinta) dal suo Milan contro il Liverpool.
Ultima chiamata per le compagnie aeree italiane
Arriviamo infine ai giorni nostri (anche se l’elenco delle compagnie rimaste chiuse negli hangar potrebbe continuare) con Air Italy. Vale a dire quella Meridiana citata finora più volte come acquirente di tante compagnie in dissesto. Anche se tecnicamente non è mai stata italiana (fu infatti fondata negli anni ’60 dal principe degli Ismaeliti Karim Aga Khan come Alisarda), la compagnia, frutto della fusione con Eurofly e Air Italy ha sempre avuto una stretta connessione con il nostro Paese. Anzi, con la Sardegna, dato che fu creata proprio per portare turisti in Costa Smeralda.
Nemmeno il ricchissimo Qatar, intervenuto in soccorso del cuginetto islamico mediante la compagnia di bandiera Qatar Airlines acquisendo il il 49% del capitale sociale (contro il 51 dell’Aga Khan), è riuscito a mantenere a lungo in volo un gruppo in profondo dissesto, come descritto dalla stessa Alisarda: “Nel 2017 (ultimo anno di Meridiana Fly), le perdite si attestavano a circa 40 milioni di euro a fronte di un fatturato superiore ai 350 milioni, mentre nel 2018, primo anno della partnership, le perdite ammontavano a quasi 160 milioni, vale a dire il 57% del fatturato; nel 2019, nonostante l’aumento del fatturato, che è atteso attorno ai 330 milioni di euro, le perdite previste dovrebbero toccare i 230 milioni di euro, cioè il 70% del fatturato”.
L’aereo più pazzo del mondo
Infine c’è Alitalia, il vero grande malato dei nostri cieli. Basta fare caso alle volte in cui compare in questa breve ma sconfortante storia di fallimenti nelle vesti di acquirente di compagnie in panne, per iniziare a comprendere perché sia finita sull’orlo del baratro. Le operazioni fallimentari, sospette, al limite dell’illecito, infatti, non sono mancate e Alitalia ha spesso tamponato, con i soldi pubblici, emorragie di compagnie private.
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Ma quelle spericolate avventure imprenditoriali da sole non bastano certo a giustificare l’esborso continuo di fondi dei contribuenti che, secondo un report tristemente noto dell’area studi e ricerche di Mediobanca, nel 2014 aveva già sfondato quota 7,4 miliardi di euro. Certo, lasciano intuire la spregiudicatezza di chi, negli anni, si è avvicendato al posto del pilota, ma c’è stato ben altro. Nel 2017 Andrea Giuricin, docente di Economia dei trasporti alla Bicocca di Milano, per L’Economia del Corriere della Sera, aveva stimato che Alitalia ci era costata la somma monstre di 10 miliardi di euro.
© MSG Spotters – social Alitalia
Sul finire del 2019 aveva provato a fare due calcoli – seppur con scarsi risultati – anche l’attuale ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli che, prima alla commissione Trasporti della Camera aveva affermato: «Alitalia perde ogni mese quasi 2 milioni di euro» poi dopo qualche ora si era corretto: «Alitalia perde due milioni al giorno», lasciando intravedere che non fosse molto sul pezzo. Con ogni probabilità sono più verosimili le stime de Il Sole 24 Ore quando, proprio un anno fa, calcolò che, in media, ogni italiano – infanti compresi – aveva versato nelle casse di Alitalia 150 euro per tenerla in vita. Insomma, dovremmo poter volare gratis, invece il rischio è che non si voli proprio più.