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L’agricoltura deve affrontare sfide epocali tra cambiamenti climatici, popolazione in aumento e ricerca di una maggiore sostenibilità. La strada per avere successo è l’innovazione, che significa anche rendere più forte e attuale il Made in Italy agroalimentare. Ne parliamo con Riccardo Vanelli, ceo di Syngenta Italia
Ai consumatori spesso piace immaginare l’agricoltura come un settore ancorato al passato, fatto di anziani agricoltori con il cappello di paglia che guidano trattori d’epoca con un filo d’erba in bocca. La realtà è un’altra: l’agricoltura è un settore economico innovativo, in cui ingenti risorse vengono investite per riuscire a produrre cibo buono, sano e accessibile per una popolazione mondiale in aumento.
Già, perché quando andiamo a fare la spesa spesso ci dimentichiamo che fra qualche anno sulla Terra ci saranno 9-10 miliardi di persone. Un numero enorme che mette a dura prova il modello di produzione attuale. “La strada per poter nutrire l’umanità in modo sostenibile passa attraverso l’innovazione”, racconta a StartupItalia Riccardo Vanelli, ceo di Syngenta Italia, uno dei principali gruppi a livello globale impegnato a fare agricoltura in modo sostenibile. Un’azienda che è all’avanguardia nel campo della ricerca e che ha deciso di essere partner di StartupItalia nel canale The Food Makers.
Vanelli, chi è Syngenta in tre parole chiave?
“È un’azienda che ha nel suo dna l’innovazione, la passione e la responsabilità. Innovazione come via maestra per poter dare alle persone un cibo sano, sicuro, sostenibile e in linea con le nuove esigenze di consumo. Passione per l’agricoltura e gli agricoltori, a cui pensiamo costantemente nel nostro lavoro. E responsabilità, quella che sentiamo nei confronti dell’ambiente, ma anche dei territori e delle persone che li abitano”.
Perché Syngenta ha deciso di diventare partner di StartupItalia nel canale The Food Makers?
“Per raccontare la realtà dell’agricoltura moderna e gli sforzi che vengono messi in campo per renderla sempre più produttiva e sostenibile. Il successo del Made in Italy di oggi è frutto di innovazioni sviluppate nel corso della storia che hanno avuto successo. Se smettessimo di innovare il rischio è che anche il Made in Italy perderebbe forza, anche perché gli ostacoli che abbiamo davanti sono enormi”.
Quali sono le sfide che deve affrontare oggi il settore agroalimentare?
“Sono molteplici. Abbiamo una popolazione mondiale in aumento e i cambiamenti climatici che incombono. Agli agricoltori viene chiesto di produrre più cibo, ma di farlo in maniera sempre più sostenibile per l’ambiente, usando meno input produttivi e meno spazio. Il legislatore, soprattutto quello europeo, definisce regole sempre più restrittive su come fare agricoltura e anche la Gdo (Grande distribuzione organizzata, ndr) impone standard davvero sfidanti. Ci sono poi modelli di consumo in evoluzione, le sfide poste dalla globalizzazione e dalle tensioni geopolitiche”.
Un quadro da far tremare i polsi. Lei è fiducioso che si possa trovare una soluzione a tutto questo?
“Io credo che se si ha fede nella scienza e se si punta sull’innovazione questo può essere un periodo di crescita per tutti. Un periodo da cui anche il Made in Italy può uscirne rafforzato”.
Viene difficile pensare ad una agricoltura innovativa. O meglio, spesso se ci si pensa lo si fa in chiave negativa, in contrapposizione alla tradizione e alla genuinità. Che cosa significa dunque fare davvero innovazione?
“Le faccio due esempi. All’inizio del secolo scorso il frumento era poco produttivo ed era soggetto a numerose malattie. Oggi, grazie al miglioramento vegetale, fatto di incroci e selezioni, il grano produce molto di più e si ammala di meno, offrendo una farina di qualità e sanità ad un prezzo accessibile per chiunque, anche per chi vive con pochi dollari al giorno. Come altro esempio potrei citare la segale, un cereale molto diffuso, soprattutto nel Nord Europa. Prima dell’avvento dei fungicidi di sintesi era attaccato da funghi che producevano delle tossine che nel corso della storia sono state causa di avvelenamenti e morti. Oggi invece con i moderni fungicidi possiamo garantire produzioni sane. Innovare è tutto questo: produrre cibo buono, sano e in quantità per tutti”.
Lei ha citato i famigerati pesticidi, che spesso vengono dipinti come il male dell’agricoltura moderna. Lo sono davvero?
“A pesticida io preferisco il termine agrofarmaco, che rende bene l’idea di una sostanza che cura le piante. Ebbene, se non ci fossero gli agrofarmaci oggi molte colture produrrebbero una frazione di quello che producono oggi e in molti casi i prodotti sarebbero meno sicuri e di scarsa qualità. Gli agrofarmaci sono uno degli strumenti grazie al quale oggi è possibile sfamare l’umanità. Non dimentichiamoci che la storia è costellata da carestie causate da insetti e funghi”.
Ma gli agrofarmaci sono prodotti sicuri?
“Negli ultimi 30 anni l’Unione europea ha ritirato oltre il 70% delle molecole sul mercato. Quelle rimaste sono oggi sicurissime per l’uomo e la natura. D’altronde prima di arrivare sul mercato una nuova molecola deve attraversare un iter registrativo severissimo che richiede oltre dieci anni di analisi e test, in campo e in laboratorio, svolti anche da enti indipendenti”.
Sviluppare un nuovo agrofarmaco è abbastanza intuitivo, ma come si fa ad innovare un seme?
“Gli agricoltori lo fanno da quando esiste l’agricoltura. Osservano i campi individuando le piante più produttive o che resistono meglio alle malattie e le ripiantano. Noi facciamo la stessa cosa, facendoci però aiutare dall’Intelligenza artificiale, dai droni e dalle conoscenze di genetica e biologia. Il miglioramento vegetale ci ha dato negli ultimi anni prodotti come il pomodoro ciliegino, il cavolfiore viola, l’uva senza semi e tanti altri ancora”.
Agrofarmaci, sementi e oggi anche digitale. Qual è il rapporto tra agricoltura e informatica?
“Piano piano gli agricoltori, specie quelli giovani, stanno usando gli strumenti digitali oggi disponibili. Parliamo tra le altre cose di immagini satellitari, modelli predittivi e sistemi di supporto alle decisioni in grado di supportare l’agricoltore nel fare meglio e in maniera più sostenibile il proprio lavoro”.
Non è facile immaginarsi un agricoltore che invece del volante di un trattore ha in mano un tablet…
“È però una rivoluzione che sta avvenendo. Il trattore resta, ma oggi ha la guida gps e grazie al digitale sa dove occorre dare più fertilizzante, oppure dove deve seminare ad una densità maggiore o minore del solito”.
Syngenta, che ha le sue origini nella chimica, sviluppa anche soluzioni digitali?
“Proprio nell’ottica di offrire agli agricoltori tutti gli strumenti di cui hanno bisogno abbiamo lanciato Cropwise, una suite di servizi digitali che vanno dall’analisi delle immagini satellitari fino all’assistenza nella scelta di sementi e agrofarmaci da impiegare in campo”.
Su The Food Makers parleremo di tutto questo. E anche di più. Per finire: come si immagina l’agricoltura tra dieci anni?
“Difficile dirlo. Penso che se si sceglierà la strada dell’innovazione e della scienza sapremo trovare un equilibrio, coniugando produttività e sostenibilità. E a concorrere a questo risultato ci saranno tutte le innovazioni di cui abbiamo parlato, dalle sementi di nuova generazione, ottenute anche grazie alle moderne tecnologie di miglioramento genetico, fino agli agrofarmaci di origine biologica e ai biostimolanti, che sfruttano le potenzialità della natura per migliorare le performance delle colture. E poi ovviamente il digitale”.