Osservare senza sosta, osservare e ragionare. Ecco, questa è la storia di un’osservazione continua di uno studente emiliano di informatica col pallino della matematica e di un’intuizione geniale nata in un piccolo negozio di pelletteria gestito dalla sua mamma nel cuore dell’appennino bolognese.
Tenete a mente che in questa storia l’amore per la matematica tornerà con forza anche nel nome di un’azienda che sarebbe diventata negli anni icona di italianità, espressione del design che il mondo ci invidia. In questo caso la parola d’ordine è tempo. Ci vuole tempo per osservare, ci vuole tempo per fare le cose per bene e ci vuole tempo per cogliere le opportunità del tempo, capire che è il momento giusto per fare un passo importante.
Certo, ci vogliono competenza, coraggio e persino quella dose di incoscienza – dirà poi quello studente diventato grande – ma ne vale sempre la pena. Restiamo a quello studente e a quel negozietto. Siamo a metà degli Ottanta, anni in cui si prova e si riprova, anni in cui si getta il cuore oltre l’ostacolo, anni nei quali l’innovazione tecnologica è ancora lontana dal compiersi. E allora ci vogliono testa e cuore. E poi mani. Mani che fanno, mani che si muovono velocemente, mani che non si fermano mai. Siamo a Riola di Vergato, verdissimo paesino con meno di mille anime nella valle del fiume Reno, in quell’estesa area metropolitana che abbraccia Bologna.
La storia di Piquadro
Siamo a quasi 300 metri sul livello del mare e siamo tagliati da quella statale 64 nota come Porrettana, a metà tra Bologna e Pistoia. Inverni rigidi, estati fresche. «Mia mamma aveva un piccolo negozio con prodotti di pelletteria e io mi ero incuriosito sui sistemi di taglio della pelle. Così ho provato a coniugare la tecnologia di quegli anni con la lavorazione di prodotti artigianali. In fondo è l’azienda che ha plasmato me e non viceversa. E l’ha fatto proprio lì, in quella meravigliosa terra che è casa mia». Sono le parole appassionate e consapevoli di Marco Palmieri e questa è la storia della sua Piquadro.
L’esperienza è tutto
Palmieri fonda l’azienda nel 1987 proprio qui, a Riola di Vergato. Si occupa di produzioni per conto terzi e ne diventa presidente e amministratore delegato. Poi, dopo dieci anni di produzione in conto terzi per prestigiose aziende italiane, lo studente diventato giovane imprenditore decide di lanciare il proprio marchio che chiama Piquadro, assecondando il suo amore per la matematica poiché la P elevata al quadrato sta per Palmieri e pelletterie.
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Così dal 1997 produce in proprio con Piquadro, marchio italiano di prodotti di pelletteria dal design innovativo e dall’alto contenuto tecnologico con un posizionamento ben definito. Quanta strada è stata fatta da quando quello studente decide di aprire la sua azienda nel cuore dell’appennino tra Toscana ed Emilia. Fin dall’inizio Piquadro si ispira alla funzionalità, alla tecnologia.
«Da sempre facciamo prodotti da viaggio. Non puntiamo tutto solo sulla bellezza, ma sul design, sull’innovazione funzionale, sulla leggerezza. Si diventa icona quando si intercetta un gusto che gli altri non hanno intercettato. Il tema è quello dell’esperienza: inventare qualcosa di unico. Per me ciò che conta è la cultura di impresa. Ed è fatta di tante cose: di prodotti, di etica, di motivazione, di velocità, di talenti. Oggi il consumatore non vuole più bugie. Consistenza è la parola d’ordine. In fondo uno più uno uguale tre quando si lavora insieme», dice Palmieri.
Il fattore tempo per crescere
Oggi Piquadro vende i suoi prodotti – borse, valige e accessori – in oltre 50 Paesi nel mondo con una rete distributiva di 1.500 punti vendita che includono centinaia di boutique a insegna Piquadro di cui 40 all’estero. Una crescita senza sosta, ma nel tempo. Ecco, quel tempo ritorna ossessivamente quasi a rimarcare la necessità di uno sviluppo che non può bruciare le tappe.
Deve essere metabolizzato, addirittura partecipato dalle persone e dalla comunità. Il primo negozio monomarca viene aperto nel 2000 in via della Spiga a Milano. Lo stile italiano, la qualità della manifattura, l’impiego di pellami pregiati. E poi ancora l’originalità del posizionamento. Nel 2006 l’inaugurazione dell’avveniristico stabilimento di Gaggio Montano, cinquemila anime nel cuore dell’Appennino bolognese.
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Qui tuttora ha sede l’headquarter e da qui viene assicurata la logistica per tutta Europa. «Il legame col territorio lo portiamo avanti in modo attivo: con le scuole abbiamo promosso programmi per sostenere le famiglie. Abbiamo mappato ragazzi che non potevano permettersi computer in casa e la connessione internet», ricorda Palmieri. Nel 2016 l’acquisizione dello storico marchio fiorentino The Bridge, tradizione della pellettiera toscana. E poi la collaborazione con tante scuole di design.
Tutto rose e fiori? Macché. «Gli esordi sono stati difficilissimi Certo, c’era l’entusiasmo iniziale e c’era una gran voglia di fare, ma c’era anche inconsapevolezza. Però la passione ti fa vincere un sacco di difficoltà. Lo scoglio più duro? Quando siamo passati dal sogno del progettare alla concretezza del produrre. La produzione è fatica», racconta Palmieri.
«All’epoca non avevamo le competenze, le sensibilità, i processi. Con mia moglie ci siamo messi giorno e notte nel garage di casa a cercare di fare meno danni possibili. Questo momento difficile è durato un anno. Poi ho iniziato a ricevere offerte dai primi venture capital che riuscivano a cogliere la forza di questa proposta. Andavano oltre quella produzione di borse per i nostri clienti. I private equilty sono la soluzione per crescere, ma anche il riconoscimento del lavoro», dice sempre Palmieri.
Quel DNA emiliano
Identità emiliana che però guarda al mondo intero. Perché se quel legame viscerale con la sua terra non lo abbandonerà mai, Palmieri osserva i mercati mondiali. E decide di fare le cose in grande.
Nel 2007 Piquadro viene quotata in Borsa e prosegue la sua espansione nel mondo. Con un occhio attento a quel luogo da cui ogni cosa è partita. «Ho avuto due elementi che mi hanno consentito di innovare nei processi e nei prodotti: i miei genitori facevano un altro mestiere e non ero in un distretto. Perché i distretti esistono eccome e sono acceleratori: se vai con una buona idea trovi capitale umano e tecnologia. Di contro è anche vero che non essere in un distretto sprona a diventare più innovativi», dice Palmieri.
E torna con forza quell’idea del tempo. Ci vuole tempo per costruire, ma bisogna abbattere il tempo per rispondere in modo veloce al mercato che evolve rapidamente. Ne è convinto Palmieri. «Certo, la barra è dritta nel lungo termine, ma si lavora giorno dopo giorno con la necessità di cambiare rapidamente».
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Questo è un repost di una intervista pubblicata per la rubrica “Fare Insieme” di Confindustria Emilia il 13 maggio 2024. Qui per leggere il pezzo in originale.