Quali sono i principali errori che commettono le persone che si approcciano al mondo degli investimenti? In questo percorso è inevitabile incappare in qualche errore, ma prevenirne i più gravi può dare una mano non da poco. Come in una partita di scacchi: per vincere non è necessaria la performance perfetta, ma giocare al meglio possibile, anche con qualche svista, che sia però confinata a livello di piccola sbavatura e non in quello dei clamorosi sbagli.
“Non è ciò che non conosci che ti mette nei guai, è ciò che dai per certo che non lo è” – Mark Twain
Per entrare nel vivo del tema è bene riprendere la citazione di Mark Twain che abbiamo inserito in questo contesto, perfettamente calzante con il nostro argomento. Per non mettersi nei guai, dice Twain, non dobbiamo ignorare i temi principali, che possono portarci dolori se pensiamo di esserne padroni ma li conosciamo solo superficialmente.
Investimenti, gli errori da non fare
Il rapporto rischio/rendimento è uno dei concetti chiave nel mondo degli investimenti e svolge un ruolo di base nell’economia. Rappresenta la relazione tra il potenziale rendimento che gli investitori possono ottenere da un investimento e il livello di rischio associato. Il concetto di base è semplice: gli investimenti con un alto rendimento potenziale tendono ad avere un rischio maggiore rispetto a quelli con un rendimento più basso. Il rischio non è prevedibile, ovviamente, ma si può gestire, come ha dimostrato Harry Markowitz con uno studio, iniziato negli anni ’50.
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Nel 1990 il suo lavoro vinse il premio Nobel e ha rivoluzionato il modo in cui gli investitori affrontano la diversificazione. Oggi, anche più di un tempo a causa dell’avvento del web, vediamo proposte di investimento poco trasparenti che cercano di fare presa su grandi rendimenti offerti in assenza di rischi. Si tratta per lo più di tentativi di truffe, e per questo qualunque persona che vuole prendere decisioni di investimento deve essere consapevole del rapporto rischio/rendimento (Figura sotto). Una volta stabilito il nostro livello di rischio, è naturale cercare l’operazione dal maggior rendimento possibile, ma è essenziale usare il buon senso ed essere realisti, bilanciando il nostro obiettivo con una valutazione adeguata.
La seconda tematica da mettere in evidenza in merito alle nozioni che un italiano medio di solito non padroneggia riguarda la differenza tra TAN e TAEG. Su questa non ci soffermeremo in maniera particolare perché non riguarda gli investimenti in verticale. La differenza tra TAN (Tasso Annuo Nominale) e TAEG (Tasso Annuo Effettivo Globale) è importante da comprendere quando si prendono in considerazione offerte di prestiti o finanziamenti. I due tassi forniscono informazioni diverse, e sono utilizzati per valutare il costo effettivo di un prestito o di un finanziamento nel corso di un anno.
Il TAN rappresenta il tasso di interesse base applicato, e indica il costo del denaro preso in prestito senza tener conto di altri costi, commissioni e spese accessorie. Il TAEG, invece, rappresenta il costo totale di un prestito o di un finanziamento, e include tutti i costi e le spese accessorie. Considera quindi non solo il tasso di interesse, ma anche le commissioni, le spese di istruttoria, le assicurazioni obbligatorie e altre eventuali spese associate al prestito.
Per rappresentare questi concetti con un semplice esempio si può dire che il TAN rappresenta il costo della nostra spesa quando arriviamo alla cassa. Se comprassimo 30 euro di spesa ci serviranno dei sacchetti per poterla trasportare, e dunque una volta usciti dal supermercato avremo speso 30 euro più il costo accessorio dei sacchetti. Il TAEG nasce proprio per tenere tutto in considerazione. Il terzo punto riguarda il rapporto tra interesse semplice e interesse composto. Conoscere la differenza tra i due sistemi di calcolo degli interessi è molto importante per compiere scelte consapevoli riguardo al proprio futuro, in particolare quando si parla di lungo termine. Vediamo di spiegarlo con un esempio.
Gli argomenti trattati possono sembrare scontati, ma considerando la percentuale di persone che nel nostro Paese si buttano a capofitto nel mondo degli investimenti non potevamo trascurare di trattare a fondo gli errori. Quelli che andremo ad analizzare prevedono una precedente conoscenza e un’auspicabile padronanza di temi fondamentali tra cui quelli appena visti. Come abbiamo già avuto occasione di vedere, se non siamo padroni della situazione e delle dinamiche che potrebbero presentarsi negli investimenti, perdere soldi è incredibilmente facile. Inoltre, come mostra il grafico delle perdite e dei guadagni necessari per ripristinare il capitale iniziale, l’operazione di recupero è decisamente importante (Figura 3.3).
Il modello mostra un concetto matematico immediato, ma a cui spesso non si pensa quando si tratta di investimenti. Per ogni scelta di investimento presa erroneamente le perdite non tarderanno ad arrivare, e quando questo si verificherà sperare che un eventuale rialzo corra in soccorso per pareggiare la posizione è un atteggiamento che il più delle volte non ripaga. Non stiamo ovviamente dicendo che non si dovrebbe investire, non vogliamo in alcun modo creare ostilità nei confronti dei mercati finanziari: il nostro obiettivo è sensibilizzare il più possibile sulla formazione che deve esserci prima della perdita.
Procrastinazione al (non) investimento
Chissà quante volte, durante cene in famiglia o in discussioni tra amici, è capitato di sentire massime riguardanti gli investimenti, quali “Il miglior momento per investire era ieri e il secondo migliore momento è oggi”, oppure che “Il contante è in sé un investimento in perdita per via dell’inflazione”. Eppure quando vorremmo prendere una decisione, qualcosa ci blocca. Ce lo confermano i dati che abbiamo visto in precedenza. La procrastinazione è la tendenza dannosa a rimandare i cambiamenti, che si prova quando ciò che appare conveniente nell’immediato non corrisponde alla decisione ottimale nel lungo periodo.
Probabilmente c’è anche un po’ la paura del risultato, assieme ad altre ragioni. C’è chi pensa che servano ingenti capitali per iniziare a investire, chi aspetta un determinato momento legato al calendario “Dal 1 Gennaio del prossimo anno inizierò a investire”, chi pensa a un evento favorevole “Ora i mercati non sono nella condizione giusta per iniziare a investire, aspetto un momento più adatto”. Con questo modo di pensare però finiremo per non investire mai, perché se il mercato oggi è in crescita si cercheranno dei prezzi più bassi, e quando questi dovessero arrivare si avrà timore dell’instabilità e dei conseguenti crolli. Così, per evitare il rischio di fare una mossa sbagliata si finirà per non investire nulla.
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In un primo momento rimandare a un domani indefinito l’inizio di un investimento potrebbe sembrare un’azione a costo zero, ma non è così. Nel caso più estremo, ma non raro, si mantengono ferme sul conto corrente anche somme che non serviranno nell’arco di anni. Anche se mantenere la liquidità sembra una non-scelta priva di rischi, in realtà costituisce una presa di posizione a livello finanziario ben precisa. Le virtù della liquidità sono note. Come abbiamo visto parlando dei fondi di emergenza il contante è subito disponibile a fronte di possibili imprevisti, e il valore non cambia con la stessa repentinità che possono avere un’azione o un’obbligazione.
Come approfondiremo nel libro Educazione finanziaria Conoscere le sfumature del denaro (Apogeo) può essere molto importante anche all’interno di una strategia di investimenti. Il lato negativo però è ovviamente dovuto all’inflazione. Se pensiamo che la stessa bottiglia di vino pregiato che nel 2005 pagavamo 100 euro, nel 2022 l’avremmo dovuta pagare più di 130 euro (131,09 per l’esattezza), ecco che ci rendiamo facilmente conto dell’impatto che ha l’inflazione tutti i giorni sul costo della vita.
Poi, se la preferenza per la liquidità dura anni, e non qualche mese come avviene fra i professionisti che l’accumulano nelle fasi di mercato negative, la perdita è grande e, soprattutto sicura. Anche quando l’obiettivo si limita a mantenere inalterato il valore del proprio risparmio, investire è necessario.
Rimandare gli investimenti per anni è quindi una scelta perdente, anche perché i mercati, e l’economia in generale, hanno una tendenza storica di crescita rispetto all’inflazione. Sviscerando questo argomento potremmo anche dire che la più grande preoccupazione di un investitore dovrebbe essere quella di perdere i giorni migliori piuttosto che cercare di evitare quelli peggiori.
Una ricerca condotta sui mercati dal 2010 al 2020 mostra che un capitale di 100.000 dollari cresce (o decresce) a seconda delle varie situazioni proposte. Come possiamo osservare una persona può passare dall’essere in positivo di 172.000 dollari alla perdita di 36.000 dollari non per le giornate nere evitate, ma per quelle di rialzo a cui si è (o non si è) partecipato. Anche se i mercati sono sempre imprevedibili, e sicuramente la ricerca dei momenti migliori per investire può a volte darci soddisfazioni, dare fiducia al lungo periodo è il più delle volte più saggio. Per questo esiste una metafora comunemente utilizzata nei mercati finanziari: “Si sale con le scale e si scende con l’ascensore”.
Differenza tra nominale e reale
Tra gli errori commessi troppe volte dagli investitori vanno annoverati quelli dovuti al non conoscere le differenze tra “nominale” e “reale”. Se l’inflazione è uno dei primi fattori che stimola una persona a spostarsi dal risparmio all’investimento, è allo stesso tempo una componente di cui dobbiamo preoccuparci anche e soprattutto sui mercati finanziari. L’inflazione infatti viene subito in mente per spiegare la differenza tra rendimenti nominali e reali.
Il rendimento nominale è la variazione percentuale del valore di un investimento senza considerare le componenti esterne. Rappresenta il guadagno o la perdita del capitale investito, ed è solitamente espresso come tasso di interesse o tasso di crescita. Ad esempio, se prestassimo dei soldi a un nostro amico accordandoci per un interesse del 5% durante l’anno, il rendimento nominale sarebbe ovviamente del 5%. Il rendimento reale è, invece, la variazione percentuale del valore di un investimento tenendo conto del calcolo dell’inflazione.
Tornando al nostro esempio, se il nostro prestito di soldi all’amico avesse un rendimento nominale del 5% e durante l’anno l’inflazione è del 2%, il rendimento reale sarà del 3% (5% – 2% = 3%). Un altro fattore importante da considerare è anche la svalutazione di una moneta. È sempre un fenomeno legato all’inflazione ma in questa forma prende il nome di “iperinflazione”. Analizzando valute come il dollaro o l’euro, questo fenomeno potrebbe sembrare poco importante, ma occorre considerarlo in quanto, se notassimo opportunità di rendimenti in paesi con valute meno stabili, potremmo non ottenere i rendimenti prefigurati se la svalutazione della moneta in un anno dovesse essere pari a ciò che era stato promesso.
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Vediamo un esempio. Se prestassimo soldi a un nostro amico che vive in un paese con una valuta poco stabile, che ci vuole dare il 10% di interessi (il doppio rispetto agli esempi precedenti), non faremmo comunque nessun rendimento se la moneta del suo paese si svalutasse proporzionalmente a ciò nell’arco di tempo del nostro prestito. Il meccanismo è semplice da comprendere ma ricordiamo molteplici periodi caratterizzati proprio dall’inflazione.
Come la storia del dinaro jugoslavo nel 1994, che registrava un tasso del 64,63% al giorno, il che significa che i prezzi di un bene raddoppiavano nel giro di quasi un giorno e mezzo. E le vicende legate al dollaro zimbabwiano nel 2008 con tasso di inflazione giornaliero del 98,01%, che in un solo giorno causava un aumento generalizzato dei prezzi. E ancora il pengő ungherese, che nel 1946 arrivò a un picco del 207,19% di inflazione giornaliera raddoppiando i prezzi ogni 15 ore.
Ricordiamo infine la forte svalutazione che la lira italiana subì nel 1992. Nella storia dell’economia è citato il mercoledì nero del 16 settembre, quando a causa di una rapida fuga di capitali ci fu una repentina svalutazione della lira italiana e della sterlina britannica (vittima contemporaneamente della stessa situazione).
Le due monete dovettero temporaneamente uscire dal sistema monetario europeo perché incapaci di mantenere il proprio tasso di cambio sopra la soglia minima di fluttuazione richiesta alle banche centrali che si affiliavano proprio al sistema monetario europeo. Per la lira quindi, che si portava anche appresso pesanti politiche assistenzialiste a debito intraprese nei decenni precedenti, fu la goccia che fece traboccare il vaso facendo subire una svalutazione di circa il 7%, mentre la Borsa di Milano, con praticamente tutti gli indici in caduta libera (-5% fu toccato a fine giornata), perse un valore stimato di 6.700 miliardi di lire (circa 3,35 miliardi di euro) nella sola giornata del 16 settembre.
Tra i maggiori titoli in difficoltà vi erano colossi come Fiat e Assicurazioni Generali, con perdite che si aggiravano tra il 4,5% e l’8,5%. Dopo questi cenni storici torniamo al presente: uno degli errori assolutamente da evitare è confondere i due tipi di rendimenti (nominale e reale), poiché equivale ad arrivare a conclusioni fuorvianti, che potrebbero farci perdere occasioni migliori.
Altri errori da evitare con gli investimenti
L’attenzione da porre alle commissioni e ai costi è strettamente connessa a quella dovuta ai rendimenti reali. Quando una persona deve investire, infatti, si dovrà interfacciare con l’acquisto o la vendita di strumenti finanziari nel tempo, ed è in questo passaggio che entrano in gioco i costi e le commissioni.
Se volessimo infatti comprare una azione per conto nostro, con una qualsiasi piattaforma adatta allo scopo, dovremmo pagare una commissione. Lo stesso vale se ci recassimo da un consulente finanziario professionista per fare operazioni di investimento. In questo capitolo non si forniranno indicazioni per cercare di non pagare questi costi, che comunque avremmo in un modo o nell’altro, ma indicare dei metodi per valutarli in maniera intelligente. Vediamo quali sono le differenze dei costi considerando i singoli investimenti.
Nel caso di un “self-made” in uno strumento finanziario gli unici da sostenere saranno le cosiddette commissioni di brokeraggio. A differenza dei messaggi fuorvianti che ci arrivano da alcuni film e luoghi comuni, il broker che ci carica questi costi non è (o non per forza) una persona in giacca e cravatta con l’ufficio in un grattacielo di Wall Street, ma per definizione è un intermediario collegato al mercato che ci serve per compiere la nostra operazione finanziaria, portando il nostro ordine a buon fine.
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Una volta questa funzione era svolta da persone fisiche, ma oggi è sempre più raro, visto che i principali broker sono ora costituiti da piattaforme online che hanno anche fatto sì che i costi nel tempo potessero abbassarsi. Nel caso, invece, di un investimento fatto insieme a un esperto, oltre alle commissioni per l’operazione andranno pagati, a seconda del caso specifico, altri tipi di costi. Vediamo quali sono.
• Costo di entrata (Front-end load). Si tratta di una commissione pagata all’inizio dell’investimento quando si acquistano strumenti come fondi di investimento o polizze assicurative. Questa commissione è solitamente espressa come una percentuale dell’importo investito e viene detratta dal capitale iniziale.
• Commissioni di gestione. Sono le spese ricorrenti che devono essere pagate quando si acquistano strumenti come i fondi d’investimento o le polizze vita. In sostanza sono le commissioni dovute alla società che si occuperà di gestire il denaro negli strumenti finanziari in cui si è investito. Le commissioni di gestione sono addebitate come una percentuale del patrimonio gestito e vengono detratte ogni giorno dai rendimenti.
• Commissioni di transazione. Sono le commissioni pagate per l’esecuzione di operazioni di acquisto e vendita di asset finanziari. Possono variare a seconda del tipo di transazione e degli strumenti finanziari coinvolti.
• Performance fee. Sono le commissioni basate sul rendimento del portafoglio rispetto a un benchmark prestabilito. Sono addebitate solo se il portafoglio supera un certo livello di rendimento. I costi in questo caso si alzano notevolmente, e dobbiamo porre attenzione per evitarli.
Quando si parla di finanza una delle più grandi storture è proprio legata al fatto che i consulenti finanziari delle banche tradizionali che ci dovrebbero affiancare negli investimenti guadagnano proprio ricevendo delle retrocessioni su questi costi e non su quelli di transazione. Questi operatori, se in cattiva fede, potrebbero essere incentivati a proporci i prodotti finanziari più costosi, che abbattono i nostri rendimenti.
Un’altra categoria di esperti è quella dei consulenti finanziari indipendenti. La consulenza finanziaria indipendente nasce in Italia nel 2018 circa, e si pone l’obiettivo di assistere i clienti in maniera differente dalle banche tradizionali, cercando di lavorare il più possibile verso un interesse comune. Questo è reso possibile grazie a una formula che solitamente comprende solo un costo specifico: una percentuale sul capitale gestito.
Anche questo è un costo, che soprattutto all’aumentare dell’importo da investire non è comunque da sottovalutare, ma almeno è sostenuto al fine di non intaccare i risultati. Il costo di un consulente finanziario indipendente potrebbe essere paragonato, almeno in parte, alla parcella di un qualsiasi professionista, come il costo di un avvocato o una visita privata da un dottore.
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L’importanza di capire queste differenze e di interessarsi ed educarsi finanziariamente, passa proprio da concetti come questi. Avere bene in mente i pezzi che compongono il puzzle dell’investimento è un vantaggio. Permette di riconoscere i casi in cui il nostro livello di competenze è inadeguato, e andremo così a cercare il soccorso di un esperto, che comunque possiamo monitorare al fine di ridurre i costi eccessivamente alti.
Non avere una visione d’insieme
Come ultimo sotto-errore consideriamo la mancanza di una chiara visione d’insieme negli investimenti. Ci sono da considerare due aspetti importanti. Il primo, legato agli investimenti che facciamo, richiede la considerazione di tutte le variabili. Supponiamo di avere un portafoglio che per il livello di rischio globale che possiamo supportare ci concede di destinare un 20% agli investimenti di un certo livello di rischio. Spesso un investitore che dovesse trovare un investimento particolarmente promettente in quella fascia di rischio ragionerebbe solo sui rendimenti potenziali, e si butterebbe a capofitto in quella operazione senza considerare il suo portafoglio in generale e il bilanciamento dello stesso.
Commetterebbe così un errore di eccessiva esposizione, proprio perché miope nella valutazione generale. Il secondo punto, altrettanto importante, è di non affezionarsi agli investimenti. Spesso capita che quando si investe e si prende a cuore questa attività, si possa dare grande importanza a qualche dinamica specifica. Per esempio è facile, se si è amanti del progresso e dell’innovazione, vedere i titoli tecnologici come i più appetibili a prescindere, trascurando così, solo per principio, altri settori.
La stessa cosa accade con i trend e i mercati; un amante della tecnologia molto probabilmente tra il settore dell’internet retail e quello delle utilities avrebbe sempre un occhio di riguardo per il primo rischiando di trascurare il secondo. Anche se seguire ciò che piace negli investimenti porta benefici è importante ricordarsi di mantenere sempre un certo distacco. Gli investimenti sono infatti solo un mezzo per un fine, quello che abbiamo stabilito noi stessi nella pianificazione della nostra strategia, e non avrebbe quindi senso remarci contro.
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Quali sfide attendono la società di domani? Quali sono i rischi e quali le possibilità offerte dallo sviluppo tecnologico? Per la rubrica “Futuro da sfogliare” un estratto del libro Educazione finanziaria – Conoscere le sfumature del denaro (Apogeo) di Marco Avantaggiati, Founder e CEO della startup Parliamo di Investimenti e Davide Franchini Project Manager del progetto editoriale.