La novità è stata comunicata ai creators. “Ci conformiamo alle norme” spiega l’azienda. I contraccolpi su un mercato da miliardi
YouTube, chi produce contenuti destinati ai bambini avrà l’obbligo di dichiararlo. L’azienda ha comunicato a tutti gli autori la novità, operativa da gennaio, con una mail. La misura, spiegano da Mountain View, è stata presa per conformare la piattaforma al Children’s Online Privacy Protect Act (COPPA) e a una serie di altre normative USA.
Non è un caso: a settembre l’azienda fu multata per 170 milioni di dollari dalla FTC (Federal Trade Commission) per aver raccolto dati sui bambini senza il consenso dei genitori. “YouTube ha venduto sfacciatamente la propria popolarità tra i bambini ai prospect” commentò ai tempi Joe Simmons, presidente dell’agenzia. Nonostante ciò, “la società si è rifiutata di riconoscere che porzioni della piattaforma erano chiaramente dedicate a loro. Non ci sono scuse per la violazione della legge da parte di YouTube”. La sanzione fu poca cosa rispetto a quella da 5 miliardi comminata a Facebook, ma testimonia il cambio di rotta sui dati in atto anche in America dopo anni di far west. Una svolta in cui l’Europa, con il suo GDPR, ha fatto scuola.
Due le opzioni disponibili: impostare il pubblico a livello di canale oppure di singolo video. Nel primo caso basterà un semplice clic; nel secondo, sarà necessario comunicare al sistema di volta in volta se il target appartiene alle fasce protette.
Da gennaio, prosegue la nota dell’azienda, i dati raccolti sui bambini saranno molto limitati. Verranno disattivate, tra le altre features, gli annunci personalizzati e il pulsante “fai una donazione”, lo scaffale di merchandising di YouTube, le funzioni di salvataggio in playlist e “guarda più tardi” e la filigrana di branding del canale. Questo, riconosce Mountain View, potrebbe incidere sulle entrate di chi i contenuti li crea. Saranno, inoltre, disabilitate funzionalità come commenti e notifiche, per evitare che la “falla” venga sfruttata dai professionisti del digital marketing più spregiudicati.
C’è poco da fare i furbi, del resto: la società americana ha comunicato che si avvarrà del machine learning per identificare automaticamente i contenuti rivolti ai piccoli, e interverrà in autonomia in caso di comportamento illecito. Sarà sempre possibile, ad ogni modo, segnalare i casi di presunto errore. YouTube invita a collaborare, e non fare affidamento sull’algoritmo.
Foto di Thomas Quinn da Pixabay
YouTube bambini: come e quando cambiare il settaggio del video
Per cambiare il settaggio dei video per bambini basta entrare nel menu impostazioni, cliccare su “Canale” e quindi sulla sezione “Pubblico”, quindi salvare.
Ma come si determina se un video è destinato a bambini? La linea di confine chiaramente non è netta, ma YouTube indica una serie di linee guida. Tra i fattori da valutare, l’oggetto del video (ad esempio contenuti didattici per bambini in età prescolare), se il contenuto include attori o modelli bambini, se include personaggi, celebrità o giocattoli che attirano i più piccoli, se il linguaggio è pensato per essere compreso dai bimbi, se il video include attività che attirano bambini come recite, canzoncine, giochi semplici, storie o poesie dedicate.
Bambini su YouTube: un mercato da miliardi
Negli USA l’età che segna lo spartiacque è fissata a 13 anni, e considerando che la piattaforma che ospita i contenuti si trova in territorio americano, bisogna tenere presente questo limite. Ma la società avverte che, per essere in regola, è necessario conformarsi alla legislazione locale, ovunque ci si trovi. Meglio controllare, quindi.
La presenza sempre maggiore di bambini su YouTube è una tendenza in atto da anni. “Il 99% del pubblico tra i 2 e gli 11 anni guarda YouTube – conferma Andrea Materia, Ceo e founder di Greater Fool, scale up italiana del settore con all’attivo prestigiose collaborazioni oltreoceano – Ormai la piattaforma, grazie ai nuovi device alle connessioni low cost, è considerata alla stregua di una vera e propria televisione”.
Ma quanto impatterà la nuova policy? “Partiamo da un presupposto. Il COPPA esiste da sette anni, adesso si è semplicemente deciso di applicarlo, e i controlli, possiamo testimoniarlo, sono rigidissimi – chiarisce il manager – Ma esiste un’altra norma, il Children Television Act, che regola il mercato e non viene certo abrogata. Vuol dire che la pubblicità continuerà ad essere venduta targettizando i singoli canali, gruppi di canali o specifici format, ma non si potrà più farlo profilando abitudini e interessi degli utenti. Per come funziona il mercato dell’advertising online, ritengo che i grandi editori saranno meno colpiti perché potranno continuare a sfruttare la propria rete di vendita pianificando sul modello di quanto accade nelle campagne televisive tradizionali. A essere più colpiti saranno i creators indipendenti, che lavorano sulle parole chiave”.
Ci sono già dati numerici sul potenziale impatto? chiediamo. “Al momento no. Bisognerà attendere febbraio per verificare come cambieranno le decisioni di acquisto degli inserzionisti. Alcune stime parlano, però, di una riduzione del 50-60% delle entrate per i micro-influencer, che probabilmente saranno costretti ad aggregarsi tra loro”.
Un gruppo di creators negli USA starebbe già lanciando una petizione per chiedere una revisione delle norme. “Non tanto del COPPA, che ormai esiste da tempo e difficilmente sarà modificato. Si punta a modificare la definizione di ‘contenuto per bambini’, che è il vero discriminante” – conclude Materia.