Presentati i 12 worktrends alla Camera dei Deputati. I trend declinati nelle eccellenze del made in Italy. Ecco perché la tradizione può davvero “accelerare” l’innovazione.
Le nuove startup all’italiana hanno secoli di storia. E sono molto lontane dai colossi dell’hi-tech e dagli unicorni globali concentrati in modo particolare in alcune aree specifiche del pianeta, dalla Silicon Valley americana ai grattacieli israeliani di Tel Aviv. Le nuove startup all’italiana in pratica affondano il loro business nella conoscenza, nella competenza, nei saperi che si tramandano di generazione in generazione. Di più. Le nuove startup all’italiana sanno contaminare la tradizione con l’innovazione, provando a fare qualcosa che ha sempre reso l’Italia un’eccellenza: innestare idee geniali, intuizioni “wow” con la capacità di fare impresa nei vari territori, in quelli che un tempo erano distretti del “fare” e che oggi cambiano pelle, trasformandosi in reticolari, connessi, glocali.
Queste nuove startup all’italiana sono piccole e medie imprese, realtà del tessuto manifatturiero, espressione dell’artigianato diffuso che scala interesse e fatturato e che ci posiziona in ogni angolo del mondo. Venticinque di loro sono state protagoniste alla Camera dei Deputati del nuovo Wwworkers Camp 2017, tutto incentrato sui worktrends, ovvero sulle tendenze del lavoro del domani. Di fatto declinate già nel fare impresa oggi.
La sartoria su misura, le opere d’arte in 3D, il parmigiano a New York
Le nuove startup all’italiana lasciano il segno, una firma inconfondibile. È questa la storia di due giovani ingegneri con un master MBA che hanno così ideato il primo e-commerce italiano di abiti maschili su misura. La bellezza del taglio sartoriale e la forza esponenziale della rete: si tratta di Simone Maggi e Riccardo Schiavotto. Tecnologia e produzione completamente made in Italy: “Utilizziamo solo le migliori lane sul mercato messe a disposizione da storici produttori di eccellenza”, precisa Schiavotto, trentenne di Vicenza. Come quella del lanificio biellese Successori Reda: forte del secolo e mezzo di storia ha scelto di sperimentare le potenzialità delle nuove tecnologie.
L’impostazione è unica nel suo genere in Italia: su Lanieri.com è possibile configurare il proprio capo su misura, e si può decidere di toccare con mano tessuti ed effettuare l’ordine anche offline in atelier o temporary shop a Milano, Roma, Torino, Bologna e a breve a Monaco di Baviera e Parigi. Nel 2013 arriva il primo finanziamento di 1,5 milioni di euro.
Intanto a Ferrara c’è una startup che sta riannodando i fili della storia spezzati dalla follia. Stampando in 3D l’arte sfregiata. Un’arte da ricostruire, perché usurata dal tempo o distrutta dall’uomo con le sue azioni scellerate. Come è avvenuto con il tempio di Bel a Palmira, riportato in vita a migliaia di chilometri di distanza con un lavoro di sette lunghi mesi grazie ad un team trasversale di architetti, grafici, designer. A ridare nuova vita alle meraviglie architettoniche e museali ci pensa Tryeco 2.0, realtà del ferrarese che declina la ricerca artigiana con le nuove tecnologie applicate ai beni culturali.
La loro sede è nell’ex caserma dei Vigili del Fuoco: duecento metri quadrati di open space con una parte di progettazione e un laboratorio di stampanti 3D, tre già in dotazione e una quarta in arrivo. “Siamo stati i primi in Italia a dotarci di una stampante 3D a colore in quadricomia. E tutto questo nel lontano 2010”, precisa con orgoglio Matteo Fabbri, 41enne di Ferrara, laureato in architettura con una tesi di restauro sfociata nell’impresa digitale.
“Siamo contattati soprattutto in fase di restauro negli ambiti architettonico, turistico e artistico. Siamo un sopporto tecnologico per tutti i direttori di musei, tecnici e operatori dell’arte perché andiamo a integrare le loro competenze”, afferma Fabbri, in società con Roberto Meschini, Mattia Toselli e Federico Balboni. All’attivo il team ferrarese ha anche la creazione di un percorso per non vedenti, la costruzione di coppe per il Museo Egizio di Torino e contenuti per applicazioni interattive.
La ricetta vincente di questi startupper tra tradizione e innovazione sta anche nel forno di un paese emiliano e in due generazioni che hanno deciso di fare business insieme. Siamo a Bibbiano, paese di diecimila anime nelle prime colline emiliane e culla del parmigiano reggiano. La ricetta di questo business – approdata persino a New York, riscuotendo successo tra i palati più sopraffini – è composta dall’elemento cardine della terra emiliana, il parmigiano reggiano stagionato a ventiquattro mesi, assemblato con olio di oliva e farina del territorio. “Questi tre semplici ingredienti sono il composto delle nostre sfoglie chiamate Parmonie: gli elementi vengono amalgamati e cotti in forno, senza conservanti o lattosio e con proprietà nutritive importanti. Così il parmigiano acquista una chiave più delicata, simile ad una patatina”, racconta Gabriele Menozzi, 22enne emiliano laureato in marketing internazionale e co-fondatore di Parmonie.
L’attività è nata seguendo la ricetta pensata da Remo Bronzoni, sessantenne fornaio del paese. Impresa attiva da due anni e a chilometro zero, quella di Remo e Gabriele: lo stabilimento si trova nella loro Bibbiano, dà lavoro a otto persone in uno spazio di 1400 metri quadrati, producendo 500 chili al giorno per un mercato anche internazionale . “I macchinari sono stati fatti su misura da un ingegnere del paese”, precisa Gabriele.
I worktrends del lavoro all’italiana
Eccoli i wwworkers e startupper di questi tempi liquidi. Perché il lavoro non è più quello di una volta, parafrasando Mark Strand. O forse sì. Nel senso che il lavoro è quello di sempre quando scommette sull’eccellenza della ricerca e su quei saperi che affondano le radici in secoli di storia. Ma oggi il lavoro è anche qualcos’altro, quando si contamina con le tecnologie digitali. Per dirla alla Seth Godin il lavoro “wow” vive oggi di genialità umana e di innovazione tecnologica e di fatto arriva ad ibridare i mestieri di un tempo rendendoli più competitivi, contemporanei, internazionali.
Viviamo di fatto anni liquidi che macinano intuizioni geniali integrandole con le nuove tecnologie, anni segnati dalla Data Economy, come ha riportato l’Economist in copertina in queste settimane, argomentando come il vero petrolio dei nostri giorni sia rappresentato dai dati e soprattutto dal loro possesso.
Così il lavoro cambia paradigmi, accelera trasformazioni, offre nuovi scenari, consente ai “global microbrand” di combattere nello stesso agone digitale delle grandi multinazionali e di scalare in modo esponenziale e in un tempo limitato interesse e fatturato. E se da un lato il Guardian lo scorso anno nel corto “The Last Job” descrive l’ultima lavoratrice sulla terra in un mondo dominato dai robot, c’è chi profetizza scenari meno apocalittici, pur sempre nel segno della trasformazione: per il report Tomorrow Jobs il 65% degli studenti di oggi farà un domani lavori che ancora non esistono, accelerati di tecnologie 3D, visori immersivi, strumentazioni legate all’industria 4.0, piattaforme in crowd, big data, oggetti connessi e molto altro ancora. Al centro di questa rivoluzione svolge un ruolo da protagonista anche il tessuto produttivo rappresentato dalle micro-imprese, dalle piccole e medie realtà imprenditoriali, dagli artigiani e professionisti sempre più tecnologicamente avanzati.
Dall’e-commerce alla Virtual Reality fino alle nuove reti di impresa: tutti i 12 worktrends
INDUSTRIA 4.0. Umani e umanoidi al lavoro: spazio agli automatismi che cambiano il lavoro, ottimizzando tempi e spazi del lavoratore digitalizzato. E ridefinendo processi e cultura di un’azienda oggi più connessa.
INTERNET OF THINGS. Dall’Internet delle Cose all’Internet delle Persone, come scrisse il Guardian: gli oggetti connessi diventano intelligenti, migliorando la qualità di vita delle persone (con un occhio alla sostenibilità).
E-COMMERCE. Boom per la vendita online, accelerata dai social network e dalla mobile revolution. E se la ricerca e la produzione sono in Italia, la vendita può essere ovunque nel mondo con i marketplace “glocali”.
SOCIAL, MOBILE, MULTIMEDIA. Dalle conversazioni sui social network al social care, la rivoluzione passa per la mobilità. E per il video: Virtual Reality, Augmented Reality, esperienze a 360°. E l’acquisto diventa immersivo.
CROWD & SHARE. L’intelligenza collettiva accelera rivoluzioni in questi anni liquidi: dall’Italia idee in rete per scalare grazie a crowdfunding, crowdsourcing, sharing economy.
COWORKING & RETI. Nuovi modi e luoghi per lavorare: dall’integrazione tra online e offline ai coworking. E dagli spazi fisici a quelli virtuali, con le nuove reti formali e informali di impresa e le nuove rappresentanze.
MILLENNIALS & SILVER. Surfare tra tradizione e innovazione significa anche contaminarsi. E l’impresa ibrida mixa tra culture ed esperienze. Nascono nuovi percorsi imprenditoriali con le alleanze tra silver e millennials.
DIGITAL MANIFACTURING. L’artigianato al quadrato grazie al digitale. L’Italia leader nel mondo per il manifatturiero tenta nuovi percorsi digitalizzandosi: grazie a stampa e produzione 3D e ad un’idea di personalizzazione del servizio hi-tech.
RICERCA, BREVETTI, COMPETENZE. Innovazione uguale ricerca. Ma anche tutela della proprietà intellettuale e valorizzazione dei brevetti. In un mondo dominato dalle tecnologie i saperi diventano forza abilitante, capitale economico, oltre che umano.
BIG DATA. Dati singoli e aggregati, dati complessi. E al centro l’uomo. Dal data scientist all’IoT manager: oltre gli algoritmi le nuove professioni legate al mondo dell’innovazione.
NEW PAYMENT. Il contante del futuro passa per lo smartphone. Ma diventa anche altro, grazie a monete complementari, alternative, sistemi di pagamento ibridi. La rivoluzione delle startup fintech.
GREEN. Ricerca nei nuovi materiali, sostenibilità nei processi, innovazione nelle tecniche di lavorazione: sempre più spesso batte un cuore verde nelle imprese che realizzano prodotti e servizi sostenibili.