Il numero uno di Huawei in Europa ci racconta l’essenza della mission aziendale. Quella che ha permesso in 5 anni di arrivare nella top3 del mercato smartphone. Ma che soprattutto avvicina una multinazionale ai reali bisogni dei suoi clienti, ovunque si trovino
Incontro Walter Ji su una terrazza che domina il quartiere Isola, uno dei punti più vivi e moderni di Milano. Il manager che oggi gestisce l’intero Consumer Business Group del Vecchio Continente, un mercato decisivo per il fatturato e le ambizioni di Huawei, appare molto rilassato: alle spalle ha una profonda conoscenza della sua azienda, dove ha iniziato oltre 15 anni fa nel reparto di ricerca e sviluppo, ed è pronto a spiegare fin nel dettaglio dove la sua azienda si sta spingendo in questi anni di crescita costante a doppia cifra.
Ci saranno delle sorprese nel corso di questa conversazione, soprattutto quando si parla di diretta concorrenza e di cosa pensa degli altri grandi marchi del settore della telefonia mobile: perché quello che non ti aspetti da un grande manager di un’impresa da oltre 100 milioni di smartphone venduti all’anno è un approccio capovolto, che pone la soddisfazione del cliente in cima alla lista dei compiti da svolgere. Più che il raggiungimento di specifici obiettivi di fatturato e di crescita.
Un’azienda che bada al karma
“Storicamente – esordisce Ji – per Huawei non è mai stato importante essere la numero uno, o la numero due, di una qualunque classifica. Quello che ci importa, quello che importa davvero a Huawei, è avere cura dei propri clienti: quando questa azienda è stata fondata oltre 30 anni fa, è stato stabilito che fosse karma-centrica. Abbiamo solidi valori alla base della nostra impresa: cerchiamo di comprendere appieno quali siano i bisogni e le richieste dei consumatori, e cerchiamo di usare la tecnologia per soddisfarli e migliorare le loro vite. Questa è la filosofia fondamentale di Huawei, quella che contribuisce a definire la nostra strategia”.
La struttura societaria unica di Huawei, certo, aiuta non poco: l’azienda cinese non è quotata in Borsa, bensì è costruita attorno a un azionariato diffuso che vede gli stessi dipendenti detenere ciascuno una quota dell’industria per cui lavorano. Non ci sono pressioni da parte degli azionisti, non ci sono fatturati da far crescere per soddisfare le aspettative del mercato: non è necessario ottenere tutto e subito, visto che gli obiettivi e i traguardi da tagliare possono essere definiti e ridefiniti in funzione di quella stessa filosofia appena descritta, e che pone il cliente al centro dell’intera attività del gruppo.
La nascita del marchio MateBook
Una delle ragioni per cui Walter Ji si trova in Italia è l’avvio delle vendite della seconda generazione dei PC di casa. La linea MateBook ha fatto il proprio debutto al Mobile World Congress del 2016, ma è maturata appieno solo recentemente con il rilascio di un aggiornamento del prodotto 2-in-1, il Matebook E, e la nascita di un nuovo prodotto con il form-factor di un laptop tradizionale: il Matebook X.
Proprio quest’ultimo, secondo Ji, è un ottimo esempio di ciò che Huawei si prefigge di fare: “Mi è stato chiesto molto spesso, anche dai miei colleghi, quale sia la ragione per la quale oggi entriamo nel mondo dei PC. È molto semplice, c’è una sola ragione dietro: se si guarda all’innovazione avvenuta negli ultimi 5 anni tra gli smartphone è facile notare che ha seguito un passo decisamente sostenuto, mentre nel mondo dei PC l’innovazione langue. Te ne accorgi perché i consumatori rinunciano ad aggiornare il proprio PC per anni, non percepiscono il vantaggio reale di cambiare laptop perché mancano le innovazioni che li spingerebbero a farlo. Crediamo di essere in grado di offrire queste innovazioni, crediamo di essere in grado di offrire un prodotto diverso: per questo stiamo entrando nel mondo dei PC”.
Dicevamo, il MateBook X: un laptop dal design moderno, realizzato completamente in alluminio, e con caratteristiche tecniche interessanti. Lo schermo con risoluzione 2K e rapporto di proporzione 3:2 ha cornici molto sottili, e misure decisamente compatte per la diagonale effettiva. A ciò si unisce un sistema di raffreddamento singolare, basato su uno scambiatore di calore privo di ventole: in questo modo non ci sono feritoie nel corpo del laptop, che diventa più rigido e meno incline ad accumulare polvere al suo interno. È questo il tipo di innovazione di cui parla, mi incalza Ji: non ci sono ancora altri laptop come il MateBook X in questo momento sul mercato, e i consumatori sono alla ricerca proprio di prodotti che incorporino questo tipo di soluzioni per decidersi a cambiare il proprio PC.
Il mondo dal 2012 a oggi
Quanto ottenuto dall’ingresso nel mondo dei dispositivi mobile da 5 anni a questa parte, secondo Ji, è frutto di questo approccio: la conoscenza del marchio Huawei da parte dei consumatori ha raggiunto e superato stabilmente il 90 per cento della popolazione in tutta Europa, e ci sono nazioni come l’Italia dove questo dato sale a sfiorare il 100 per cento nelle classifiche di grandimento, mentre le vendite pongono il marchio al secondo posto per quanto attiene il market share. “Questa è la vera dimostrazione di quello che siamo riusciti a ottenere – spiega Ji – Significa che il nostro marchio è ben apprezzato dai consumatori per quanto siamo in grado di offrire in termini di tecnologia, innovazione, qualità, design e facilità d’uso: ci sforziamo di offrire sempre il massimo rapporto tra prezzo e prestazioni, ed è nostra ferma intenzione proseguire in questa direzione”.
Per raggiungere in pochi trimestri questo risultato, Ji mi racconta che Huawei ha approfittato di quello che egli ritiene sia un vantaggio competitivo decisivo: “Il nostro approccio è diverso da quello dei nostri concorrenti: quello che facciamo è prenderci cura dei bisogni effettivi dei nostri clienti, più di chiunque altro. Per esempio: lavoriamo con i nostri partner europei per conoscere e comprendere al meglio quali siano le esigenze dei nostri clienti in questa regione, per comprendere fino in fondo le loro richieste e adattare i nostri prodotti a queste richieste”.
L’approccio Huawei, che è a tutti gli effetti una multinazionale globale, non è quello di offrire lo stesso smartphone in tutto il pianeta: quello che il marchio cinese cerca di fare è personalizzare l’esperienza d’uso per adattarla ai gusti e alle abitudini dei singoli paesi, e la crescita costante delle vendite è la diretta conseguenza di questo atteggiamento che pone la massima cura nel rispondere a domande precise in modo preciso, invece di offrire risposte generiche buone per tutte le stagioni.
Il successo del P9 e il lancio del P10
“Quello del P9 – continua Ji – è stato il nostro primo vero lancio globale: abbiamo attirato l’attenzione di tutto il pianeta, e abbiamo lavorato molto per presentarci al meglio. Abbiamo scelto due testimonial d’eccezione per renderli i nostri ambasciatori presso il pubblico (Scarlett Johansson ed Henry Cavill, ndr), per dare di noi un’immagine di azienda globale. Quest’anno, col P10, abbiamo deciso di fare qualcosa in più: abbiamo deciso di far comprendere fino in fondo la nostra filosofia di azienda globale, capace però anche di mostrare un’attenzione speciale per ciascuno dei mercati nazionali in cui siamo impegnati. Abbiamo cercato di avvicinarci sempre di più ai nostri clienti”.
La filosofia che abbiamo raccontato poche righe più su trova qui una sua precisa incarnazione: Ji mi spiega l’importanza di avere ambassador nazionali, di personalizzare l’offerta e il messaggio per avvicinarli ai gusti e agli interessi di ciascun Paese dove opera Huawei. Un principio tanto più significativo in Italia, mercato particolare anche e soprattutto per quanto attiene il comparto mobile: “Riteniamo che i consumatori siano più interessati ad avere un contatto diretto con un marchio che si rivolge a loro con termini e concetti locali, invece che con un messaggio globale formulato magari a migliaia di chilometri di distanza” mi dice Ji.
È un equilibrio complesso. Da un lato c’è la vocazione premium e fashion del marchio da sostenere e imporre, e il lavoro svolto nel design del P10 va proprio in questa direzione: Ji racconta di come Huawei sia stata la prima a proporre una varietà di scelta per i colori che fossero diversi dai soliti bianco e nero, una tendenza poi seguita anche dagli altri concorrenti diretti del marchio. Lo stesso vale per l’aspetto tecnologico: il P9 ha fatto debuttare la collaborazione con Leica, e ora la doppia fotocamera è un altro trend che molti diretti competitor si affrettano ad imitare.
Dietro ogni linea di prodotto c’è una filosofia precisa: la linea P prosegue sul percorso fatto di innovazione tecnica e design, e lavorare assieme a Pantone è dimostrazione concreta di questo impegno. Poi c’è la linea Mate, che coniuga la massima potenza a un approccio più votato a rispondere alle esigenze del business: quindi spazio all’ultimo chip sviluppato dalla stessa Huawei, il Kirin prodotto col marchio HiSilicon, senza trascurare l’autonomia indispensabile per chi lavora con lo smartphone.
Poi ci sono le altre linee: la Y che copre la fascia entry-level, la Nova che occupa il segmento intermedio, un’offerta ampia che punta a soddisfare ciascuna delle domande e delle aspettative degli utenti. “Lo snellimento del nostro portfolio prodotti non ci pare una priorità al momento – chiarisce Ji – Siamo un brand consumer e ci sembra ragionevole avere un’ampia offerta di prodotti capaci di servire al meglio i bisogni di diverse categorie di consumatori. Abbiamo prodotti vincenti in ogni categoria, abbiamo device interessanti anche tra i wearable con il nostro recente Watch 2 e la nostra nuova band, e abbiamo appena fatto annunci anche per quanto attiene i tablet”.
Uno sguardo al futuro
“Ci sono molti altri settori nei quali potremmo fare la differenza – riflette Ji – Per esempio nel campo della Internet of Things (IoT, ndr) e della casa connessa (smart home, ndr): entrambi settori nei quali a nostro giudizio manca oggi un processo di innovazione significativo. In quel caso però riteniamo che sia più efficace seguire la strada del B2B, abbiamo stretto molte collaborazioni con importanti marchi di molte industrie: per esempio nel campo dell’automotive lavoriamo con Audi per portare Internet a bordo delle vetture in modo efficace e robusto. Stiamo poi lavorando alacremente nella definizione e dello sviluppo del 5G in prospettiva di un lancio nel 2019: riteniamo di avere avuto un ruolo decisivo nella crescita del 4G, e vogliamo essere ancora più decisivi nel successo del 5G”.
Mentre la nostra chiacchierata si avvia a conclusione, c’è spazio anche qualche considerazione più personale: “Diventare numeri uno è la conseguenza ovvia dell’impegno che metti ogni giorno nel soddisfare i tuoi clienti: quello che ci interessa davvero è essere numeri uno nelle preferenze degli utenti più che nelle classifiche di vendita. Per esserlo devi porti le domande giuste: devi chiederti di cosa hanno bisogno, e allo stesso tempo interrogarti giorno per giorno su come ti percepiscono i tuoi clienti e come giudicano i tuoi prodotti”. E poi, la chiosa finale: “Io credo che il successo sia la conseguenza diretta di come agisci e che tipo di persona sei: dipende dal tipo di impegno che metti ogni giorno, ogni mese e ogni anno nei tuoi compiti. Non è solo questione di centrare un’obiettivo: è molto importante anche come ci arrivi”.