Volt è il partito viola che si presenta alle prossime europee come una startup. Ha un team internazionale fatto di under 35 e si finanzia col crowdfunding. E ha un cuore tutto italiano.
A pochi mesi dalle europee di maggio, c’è un partito che ha iniziato a far parlare di sè perché in tempi di sovranismo difende la sua identità fortemente europeista, VOLT. Volt Europa è il primo partito transnazionale che potreste trovare sulla scheda elettorale alle prossime europee. Sì perchè l’obiettivo di questa startup della politica è di presentarsi con un unico programma in almeno 11 Stati, Italia inclusa. Ma potrebbero essere anche di più visto che i suoi attivisti sono presenti in tuti i Paesi dell’UE e non solo.
Perché Volt ci ricorda una startup
Volt nasce da un’idea del ventiseienne Andrea Venzon, che ne è il co-fondatore e il presidente in carica, come risposta al risultato del referendum sulla Brexit del 2017. Ma dall’idea Venzon è passato presto ai fatti. Dopo aver ragionato sul da farsi assieme agli altri due co-founder, la francese Colombe Cahen-Salvador e il tedesco Damian Boeselager, Volt è venuto alla luce come movimento pan-europeo. Ad oggi può contare su un team stabile di under 30 e di una fittissima rete di volontari. Come riesce a finanziarsi? Come tante startup, col crowdfunding, solo che in questo caso ogni evento organizzato da Volt è un pitch verso potenziali elettori, sostenitori, nuovi volontari.
Questa startup della politica sta dimostrando di fare le cose in grande, e con maggior capacità di esecuzione se paragonati a certi partiti italiani. Poche settimane fa 500 volters delegati da 20 Paesi si sono riuniti per la loro assemblea costituente votando la “dichiarazione di Amsterdam”, il programma unico con cui si presenteranno alle elezioni. Dopo aver approvato il documento con l’88% dei consensi, hanno poi sfilato per la città incuriosendo i cittadini della capitale olandese.
L’intervista
Venzon, voi siete un partito anomalo in questo momento in Italia. Europeisti per programma e struttura. Ma che progetto presenterete per convincere gli elettori italiani a votarvi?
Sicuramente non appoggiamo l’idea del governo di aumentare la spesa corrente per pensioni e reddito di cittadinanza. Secondo noi gli investimenti vanno fatti soprattutto nelle aree più depresse, al sud in particolare, come ha fatto Enel a Catania aprendo un impianto fotovoltaico. Per incentivare questi investimenti occorre una No Tax Area al sud per chi investe su un’innovazione sostenibile, che crei e mantenga posti di lavoro nel lungo periodo e si possono usare i fondi regionali UE.
Oggi invece non c’è questa visione di lungo periodo nella politica attuale. Bisogna dare opportuntà e speranze ai cittadini.
E non ci sono solo gli elettori italiani. In Italia ci sono molti elettori provenienti dall’Est Europa, che possono votare alle Europee in Italia, e a cui nessuno pensa.
Pensioni e reddito di cittadinanza fanno gola a molti elettori però. I vostri elettori che tipo sono?
Sabato 10 novembre eravamo a Roma per presentare le nostre proposte contro questo DEF (documento di economia e finanza, ndr) in Piazza di Monte Citorio. C’erano duecento persone, molti ragazzi, uomini e donne under 40. Alcuni mai iscritti a un partito ma delusi dai partiti di oggi, altri invece erano ex attivisti del PD o di Forza Italia incuriositi di conoscerci perché non vedono valide alternative al momento. Li abbiamo ascoltati, guardano al futuro, vorrebbero più investimenti in innovazione, istruzione, industria 4.0, cultura e meno in pensioni.
A proposito di innovazione, lei ha partecipato ad un panel assieme ad altri politici proprio su questo tema a SIOS18. Com’è andata?
Il dibattito è stato sicuramente interessante. La normativa italiana, anche se molti non lo sanno, è già tra le piu` avanzate in Europa in materia di startup. Se ci sono dei problemi, quindi, non sono nella normativa specifica ma in tutto l’ambiente economico e legislativo circostante, come dimostrato dal fatto che l’Italia abbia rispettivamente un quinto e un quarto dei capitali investiti di Germania e Francia.
Voi che programma avete per dare una spinta al settore?
In questa prospettiva, Volt crede che le prime cose da fare per l’innovazione siano su tre fronti:
Capitale umano e istruzione: è fondamentale che l’Italia cominci ad investire davvero sull’istruzione del futuro. Ad oggi 300.000 giovani vanno all’estero per trovare opportunitá, e gli investimenti sull’istruzione sono molto inferiori alla media europea. È necessario investire sull’alfabetizzazione digitale – non solo all’università – ma già dalle superiori. Questo è necessario anche per arginare la fuga dei giovani lontano dall’Italia la cui tendenza va invertita tramite incentivi fiscali per chi torna a lavorare in startup e PMI tecnologiche.
Fondi: L’Europa mette a disposizione molte risorse, preziose soprattutto in un periodo di strette creditizie. Purtroppo però molti di questi fondi vengono usati in modo inefficiente, o addirittura non usati. Questo deve cambiare.
Burocrazia: sul piano italiano, è necessaria una burocrazia più efficiente, in tutte le regioni; sul piano europeo, Volt propone di uniformare le procedure per la costituzione di una società, creando uno one-stop-shop europeo per i nuovi imprenditori.
Il vostro progetto senz’altro abbraccia un elettorato lontano dai populisti e sovranisti. Ma perché dovrebbero votare per voi, che siete molto giovani e nuovi nel panorama politico e non +Europa ad esempio?
Noi e +Europa ci sovrapponiamo per certi versi ma ciò che ci differenzia fortemente è che noi siamo una forza paneuropea. Se arriviamo in Parlamento non saremo soli perché potremo contare sugli eletti negli altri Stati Membri per riformare l’UE.
In Italia, siete stati contattati da altri partiti?
Ci siamo incontrati sia con +Europa che con altri. A tutti farebbe comodo averci come supporto per attrarre l’elettorato più giovane ma per il momento preferiamo correre da soli. Certo, non sarà facile, l’Italia è uno dei pochi Paesi europei ad avere barriere altissime per presentarsi alle elezioni: 150 mila firme, 4% di sbarramento e un minimo di 25 anni per essere eletti. In Germania ad esempio bastano 4 mila firme e non c’è soglia di sbarramento, così come in Olanda. Però abbiamo una rete di volontari in gamba e una strategia. Al momento non escludo collaborazioni con altri partiti ma se ne parlerà più avanti, non vogliamo diventare delle pedine.
E in Europa?
A Bruxelles abbiamo visto Guy Verhofstadt dei liberali di ALDE mentre i colleghi di Volt Francia hanno visto dei rappresentanti di En Marche, il partito di Macron. Ma mentre il primo Macron era più europeista, attento sia all’economia che ai diritti, ora si è allontanato da alcuni valori per abbracciare posizioni più vicine al centro destra, lasciando indietro gli ultimi. Molti dei nostri attivisti di Volt Francia vengono da En Marche.
E dell’ondata verde in Germania che pensa? Voi come vi ponete sulle politiche green?
C’è una forte attenzione sul tema perchè la politica se n’è scordata. Economia circolare, eolico, fotovoltaico sono nel nostro programma. Del resto in molti Paesi europei da tempo le cannucce di plastica sono al bando.
In Europa però al sud mancano forse politiche che mettano al centro l’ecologia mentre al nord i Verdi sono forti anche se si dividono tra quelli che hanno un’anima più progressista-liberale come noi, e quelli più vicini alla sinistra tradizionale.
Lei ha detto che non approva l’idea di reddito di cittadinanza. Ma da qualche tempo sono in tanti a paventarne un bisogno per gestire la transazione tra il momento in cui la tecnologia cancellerà migliaia di posti di lavoro in pochi mesi (si pensi ai call center, al trasporto) e quello in cui ne creerà di nuovi. Lei che ne pensa?
Questo è vero, in Finlandia ci sono stati dei test in questo senso e il prossimo passo dovrebbe allargarsi a una cittadinanza europea, per vedere il risultato su tutta l’UE. Ma l’Italia non è il posto giusto per fare questi test. Da noi il livello di disoccupazione alto non deriva da motivi tecnologici ma dagli investimenti mancanti e dalla pesante burocrazia.
Noi vogliamo fare un passo avanti rispetto al reddito di inclusione in termini quantitativi attraverso il Fondo Sociale Europeo.
Un altro tema su cui si sono giocate le ultime elezioni italiane si giocheranno le europee è la migrazione. Voi che visione avete?
Questo è un tema complesso dove nè la ricetta sovranista che quella europea attuale sono state capaci di portare soluzioni. Secondo Volt ciò che occorre sono investimenti di lungo periodo in Africa. L’Africa nei prossimi vent’anni avrà piu abitanti dell’Europa e per questo ne va incentivata la prosperità, che sia però anche sostenibile per l’ambiente. È necessario creare un sistema unitario di gestione della migrazione con sanzioni finanziarie a chi non partecipa come l’Ungheria. Ne va della serietà e della credibilità stessa del progetto dell’Unione Europea. Infine bisogna favorire da subito l’inclusione e l’integrazione dei migranti con corsi di lingua e un permesso speciale da subito per entrare nel mondo del lavoro. In Germania, che è un esempio nella gestione della migrazione, funzionano. In Italia invece le pratiche burocratiche durano anche 1000 giorni.
In Europa, sia a livello aggregato che i singoli Paesi stanno parlando di mettere una digital tax sulle multinazionali del digitale. Che posizione avete in merito?
Non è ancora nel programma ufficiale ma pensiamo che le multinazionali che fatturano più di 50 milioni l’anno in Europa dovrebbero pagare una corporate tax europea. Chi fa servizi digitali in un singolo Stato comunque non dovrebbe pagare meno del 15% di tasse.
Quali sono i prossimi passi?
A febbraio faremo un convegno nazionale per lanciare le primarie interne e decidere i candidati per le europee. Poi lanceremo la nostra campagna di raccolta firme.
Si candiderà?
Certo!