È stato uno dei centri dove l’innovazione in Italia aveva trovato una casa. Un’inchiesta della Guardia di finanza su alcuni appalti ne ha decretato la fine. Ecco cosa è successo
Il 31 dicembre chiude Trento RISE, con tutto ciò che ne consegue in termini di posti di lavoro e investimenti andati perduti. Per ricostruirne la storia fatta anche di consulenze a molti zeri, inchieste giudiziarie e licenziamenti, bisogna prima capire di cosa questo ente si sia occupato nei suoi 5 anni di attività. Sembra strano, ma non è stato così facile. “Siamo un catalizzatore di innovazione” recita il sito internet della società compartecipata dalla provincia di Trento, ma anche “lo scopo era quello di avere un’istituzione “ponte” fra i mondi della ricerca e quello del business”. Ma forse in questa storia sarebbe stata utile sin dall’inizio un po’ di concretezza.
1. Cosa faceva Trento Rise in 3 punti
“Il più grande pericolo per noi non è che miriamo troppo in alto e non riusciamo a raggiungere il nostro obiettivo ma che miriamo troppo in basso e lo raggiungiamo.”
– Michelangelo Buonarroti
Questo il motto di Trento Rise, il cui obiettivo era: “l’ICT per la qualità della vita”. Nato nel 2010, le attività svolte dalle ente trentino negli ambiti di ricerca, formazione e business sono state volte a:
- Attrarre studenti altamente motivati attraverso iniziative di alta formazione che offrono una preparazione accademica e imprenditoriale di alto livello;
- Promuovere la ricerca scientifica che crea valore aggiunto per le persone, il mercato e la società in generale;
- Sostenere lo sviluppo del settore imprenditoriale attraverso progetti innovativi che rispondono a bisogni sociali.
2. I Pre-commercial procurement
Al centro della storia di Trento Rise, un ruolo da protagonisti ce l’hanno sicuramente i “Pre-commercial Procurement” (bandi pre-commerciali), ossia veri e propri appalti finalizzati alla conclusione di contratti di R&S che vengono attivati ancora prima della commercializzazione di un determinato prodotto. Questi strumenti giuridici prevedono: la condivisione di rischi e benefici tra il committente pubblico e le imprese, il co-finanziamento da parte delle imprese partecipanti e lo sviluppo competitivo per fasi.
Come riporta un documento della stessa Trento RISE, questa è stata “tra le prime realtà ad adottare modelli di finanziamento «matching found» proprio tramite lo strumento del PCP, nella realizzazione di partnership pubblico/privato per lo sviluppo di soluzioni su grandi temi di innovazione (Energia, Salute, Smart Cities, ecc)”. A questo link c’era la pagina degli appalti pubblicati, ora però non più visibile. L’idea di base era quella di trovare opportunità di business per il territorio, attività principale di Trento RISE a cui però si sono sommate anche quelle di didattica e ricerca.
3. L’inchiesta sulla maxi consulenza a Deloitte
Proprio la formula dei Pcp è stata scelta dalla stessa Trento RISE per affidare consulenze esterne sulla sua riorganizzazione. Fra queste, spicca la maxi consulenza a Deloitte da 7 milioni e 474 mila euro per la riorganizzazione del Consorzio di ricerca. Come riporta il Corriere della Alpi “si era deciso di affidarsi all’esterno nonostante gli uffici di Trento Rise stessero già elaborando un proprio progetto di riorganizzazione. Il Consorzio era cresciuto molto dalla sua nascita e aveva bisogno di strutturarsi. Ma invece di andare avanti con il lavoro interno, Trento Rise si è affidato all’esterno. Deloitte ha elaborato tre diversi progetti che, però, non erano stati ritenuti idonei. Nonostante questo, la società di consulenza ha ottenuto il pagamento di una prima tranche di oltre un milione e 200 mila euro, per la precisione 1.218.846 euro. Ma gli effetti pratici della consulenza, che comunque doveva essere triennale, sono stati quasi nulli”.
Molti soldi spesi quindi, ma pochi risultati ottenuti. Dopo le polemiche, nell’ottobre del 2014 sono partite le indagini della Procura di Trento. L’inchiesta prese spunto dalle interrogazioni in Consiglio provinciale sulla maxi consulenza, ma soprattutto dall’addio polemico a Trento Rise da parte dell’ex segretario del consorzio, Fernando Guarino, che nella sua lettera di dimissioni era stato molto duro e aveva sostenuto che l’ente si muovesse secondo logiche opache e con scarsa trasparenza: “ci sono poche informazioni disponibili, i bilanci sono difficilmente consultabili e le informazioni su come sono stati spesi i fondi assegnati sono scarse”.
4. Il blitz della Guardia di Finanza e tre indagati
Sempre nell’ambito dell’inchiesta avviata dalla Procura trentina, si è svolto il blitz che nella mattinata dello scorso 19 febbraio ha portato all’interno della sede della Trento Rise una ventina di uomini del nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza. I finanzieri erano già stati a metà ottobre nella sede di Trento Rise per acquisire altro materiale relativo ai ricchi incarichi affidati alla società di consulenza. Anche a seguito di queste perquisizioni, a marzo del 2015, la Procura ha ipotizzato i reati di falso e abuso d’ufficio. Di conseguenza, i nomi di tre dirigenti sono stati iscritti sul registro degli indagati e nello stesso periodo sono pure giunte le richieste di proroga delle indagini.
5. Il nuovo ruolo provincia, la liquidazione e il consorzio Hit
La Provincia di Trento, dal canto suo, ha iniziato man mano a smarcarsi dall’ente. Già nel luglio del 2014, aveva approvato una delibera (la terza) con cui si modificava la convenzione che la legava a Trento Rise e fondamentalmente si cominciavano a chiudere i rubinetti dei finanziamenti che dai 76 milioni di previsti passavano a 60. Si annunciava inoltre che la stessa convenzione sarebbe durata fino al 2018, senza ulteriori prolungamenti.
La storia però si concluderà molto prima del previsto. Poco meno di un anno dopo, nel giugno del 2015 alla Trento Rise arrivano infatti due commissari liquidatori con il compito di avviare il processo di trasferimento ad un nuovo soggetto, che non si occuperà più di ricerca ma di innovazione e trasferimento tecnologico. “Il nuovo hub per l’innovazione sarà competente in materia di attrazione di fondi e trasferimento tecnologico, delle attività dell’associazione Trento Rise ritenute coerenti con la proposta tecnica predisposta dal gruppo di lavoro congiunto composto da Università, Fondazione Edmund Mach, Fbk e Trentino Sviluppo, coordinato dalla Provincia”, si legge sull’edizione trentina del Corriere delle Alpi.
Fino a quando, i primi di settembre, si arriva alla nascita di Hit: il nuovo consorzio dell’innovazione. Si tratta di una società consortile di cui fanno parte Università di trento, Fondazione Kressler, Fondazione Mach e Trentino Sviluppo. L’idea di fondo è quella di non commettere con questo nuovo ente lo stesso errore fatto con Trento Rise: aggiungere all’attività di business quella di ricerca.
6. Le persone rimaste senza lavoro
In questa ricostruzione dei fatti però, fino ad adesso, manca un elemento fondamentale: le persone. Come riporta un intenso post pubblicato qualche giorno fa da Sergio Cagol: “di oltre cento collaboratori di un anno fa, ora ne restano meno di una decina”.
Sebbene a maggio, nonostante la conclamata liquidazione, la società avesse pubblicato un’offerta di lavoro per un contratto a tempo determinato di sei mesi (28 mila euro di stipendio complessivo), le cose non sono andate per niente bene e dipendenti e collaboratori di Trento Rise. Solo una parte di questi saranno infatti trasferiti al nuovo hub, mentre gli altri saranno “accompagnati verso altre opportunità lavorative”.
A poco sono servite le proteste dei sindacati, dato che all’incontro tenutosi a fine novembre con i commissari liquidatori non c’è stato margine per la trattativa. A farne le spese sono stati sei dipendenti (tutte donne) e tre dirigenti di Trento Rise che non rientreranno nel nuovo consorzio. Per gli altri 13 dipendenti invece (tra i quali 5 a tempo determinato e anche 2 soggetti svantaggiati) si dovrebbe profilare un futuro in Hit.
Mariachiara Furlò
@mariachiarafur