Il Ceo ha spiegato così le ragioni dell’apertura del nuovo stabilimento in Germania. In programma anche un design center
Il nome è in linea con il personaggio, imprenditore di successo, innovatore seriale, ma soprattutto eterno ragazzo. Ma, lessico a parte, la notizia è che la nuova Gigafactory di Tesla, destinata a produrre batterie per le vetture elettriche del marchio, sarà costruito a Berlino e non nel Regno Unito, come annunciato anni fa. L’impianto diventerà il quarto dopo quelli di Reno, Buffalo e Shanghai.
Nella capitale tedesca troveranno posto anche un design center e un’unità destinata alla progettazione. Musk ha esternato nel corso della cerimonia di consegna degli “Auto Bild Golden Steering Wheel” (traducibile in “Volanti d’Oro”), accettando il premio per la Model 3.
Le ragioni della scelta sono legate alle capacità ingegneristiche del paese, ovviamente. “Alcune delle migliori automobili del mondo sono prodotte in Germania, tutti sanno che l’ingegneria tedesca è eccezionale” ha spiegato il manager sudafricano. Inoltre, il che non guasta, “Berlin rocks!” ha aggiunto, rivelando di frequentarla spesso.
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Ma nel corso della cerimonia Musk si è lasciato andare oltre. “La Brexit ha reso troppo rischioso piazzare la Gigafactory in UK” ha confidato. E qui si aprono due scuole di pensiero.
Cosa intendeva dire? Il riferimento è al balletto che si trascina da tre anni sulle modalità dell’uscita, o, piuttosto, alla bontà della decisione di lasciare Bruxelles? Quel che appare certo è che, nell’ottica di un imprenditore, il Regno Unito di oggi non è il posto migliore dove piazzare uno stabilimento industriale. Troppo incerto il quadro normativo per firmare carte che impegnano miliardi. Un esempio di quello che può succedere? L’Ilva di Taranto. Sei governi in sette anni da quando il caso si aprì nel 2012. Il risultato è che le aziende scappano (anche se la questione italiana è decisamente più complessa, a partire dal tema ambientale).
Tesla, un’azienda in cerca di continuità
Tesla, dal canto suo, è in cerca di continuità dopo l’ottovolante che ha portato la quotazione del titolo a passare dal picco di 365 dollari (dicembre 2018) ai 185 del giugno scorso: praticamente la metà. Oggi, cinque mesi dopo, le azioni sono tornate a valere 346 dollari.
Oltre – come è ovvio – a fattori di natura economica e normativa, il saliscendi risente ampiamente della personalità di Musk. Tesla è, a livello globale, una delle aziende su cui le aspettative sono più alte. Ma, nonostante sia diventata un gigante, resta un’azienda “scorbutica”, con l’imprinting della startup. Il Ceo è in grado, con la propria visionarietà, di convogliare speranze che, ciclicamente, sembrano esagerate. Le delusioni non mancano.
Tempo fa il pool di avvocati che segue la società proibì al fondatore di usare Twitter: prima di cinguettare, oggi, Musk deve chiedere il permesso, onde evitare azioni potenzialmente nocive per gli investitori. Come quando nell’agosto 2018 annunciò di “considerare l’ipotesi di ritirare Tesla dal mercato con un prezzo di 420 dollari ad azione”. In realtà, il titolo ne valeva 350: come risultato, e dopo 40 milioni di dollari di multa da parte della SEC (Security Exchange Commission, la Consob americana), le azioni crollarono a 260. Aver fumato marijuana in diretta radiofonica qualche mese dopo non aiutò a recuperare.
Eppure il miracolo si ripete di volta in volta. Dopo poche settimane tornò la fiducia, più forte che mai. Che l’uomo abbia talento è fuori di dubbio. Lo spettacolo, probabilmente, deve ancora cominciare.