Secondo il rapporto annuale di Atomico, nel 2020 i finanziamenti privati toccheranno la cifra record di 41 miliardi di dollari e 18 aziende con quotazione superiore al miliardo. Luci e ombre per l’Italia, terzo Paese per talenti nel campo dell’Intelligenza Artificiale
È appurato che il Coronavirus abbia dato una grande spinta alla digitalizzazione in Europa e nel mondo. L’improvvisa diffusione su larga scala dello smart working ha coinvolto le grandi imprese e le PMI. La poderosa progressione del digitale nel corso della pandemia non è, comunque, un episodio passeggero. La nuova normalità sarà infatti probabilmente segnata da cambiamenti strutturali nel modo di vivere e approcciare il lavoro e la tecnologia giocherà un ruolo fondamentale. Tecnologia che, come segnalato dal report annuale pubblicato da Atomico, uno dei più importanti fondi europei e mondiali di venture capital, in Europa ha fatto registrare numeri da record nel 2020.
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Difatti, gli investimenti privati totali europei nel settore tecnologico sono previsti sforare quota 41 miliardi di dollari, cifra record, mentre 18 aziende hanno raggiunto una quotazione superiore al miliardo di dollari. A oggi, sono 115 le società sostenute da venture capital dal valore di oltre un miliardo di dollari. Aumentano anche i megaround da 100/250 milioni di dollari, testimoniando un chiaro trend di crescita dei finanziamenti all’industria tecnologica europea. In particolare, gli investitori tradizionali provenienti dall’Europa e da tutto il mondo oggi versano il triplo delle risorse rispetto a cinque anni fa. Al contempo, il venture capital europeo sta continuando il suo processo di emancipazione dai fondi governativi, sebbene questi stiano rappresentando un aiuto fondamentale durante la pandemia.
© Capitale investito nella tecnologia europea. Grafi…
“Nel settore tecnologico europeo stiamo assistendo a una crescente interazione tra capitale di rischio, private equity e mercati finanziari“, ha affermato Tom Wehmeier, partner di Atomico e coautore del rapporto. “Creando maggiori opportunità di fusione e acquisizione, una forte pipeline di futuri candidati a IPO e figure esperte su cui contare, per costruire una nuova generazione di aziende. Per accelerare questo circolo virtuoso, l’Europa ha bisogno che le sue principali società tecnologiche individuino sempre più percorsi di accesso alla liquidità. In un modo che avvantaggi l’Europa e, al contempo, trattenendo i propri talenti”.
Tech europeo, le sfide lanciate dal Coronavirus
Se da un lato il sopraggiungere della pandemia ha favorito un cambio di rotta favorevole all’industria tecnologica europea, dall’altro ha messo i founder dinnanzi a sfide mai viste prima. Secondo l’indagine di Atomico, le prove più importanti affrontate dalle startup nel corso dell’epidemia hanno riguardato l’accesso al capitale (citato dal 46% dei founder), il pivot del proprio prodotto (secondo il 32%) e il calo delle nuove vendite (per il 30%). Pertanto, non è un caso che i capitali investiti nel tech in Europa nel secondo trimestre del 2020 siano calati di oltre un terzo, se comparati con lo stesso periodo dell’anno precedente. Inoltre, i posti di lavoro nelle aziende europee di tecnologia si sono ridotti del 10% dal primo al secondo quarter del 2020. Per far fronte a queste problematiche, i governi hanno versato sovvenzioni per quasi 11 miliardi di dollari in fondi di soccorso.
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Alle questioni citate, quasi la metà dei founder sentiti ha risposto che l’ecosistema startup ha mostrato una resilienza eccezionale. Qualità necessaria per far fronte a un anno a dir poco particolare. Motivo per cui mantenere il benessere psicologico, motivare il team e ottenere il supporto sufficiente dagli investitori sono stati temi complicati e diffusi da risolvere per più di un intervistato su tre. Tanto più, in un contesto nel quale è stato sdoganato lo smart working, obbligando una larga parte del personale a ricalibrare il proprio stile di vita e lavoro. In ogni caso, i risultati sono stati positivi anche sotto questo punto di vista. Se prima della pandemia i founder a favore del lavoro da remoto erano il 54%, oggi sono il 76% del totale.
© Grado di approvazione del lavoro da remoto tra i f…
“Quest’anno si preannuncia come la prova definitiva della nostra resistenza come individui e della resilienza dell’ecosistema in cui lavoriamo”, ha commentato Miika Huttunen, CEO di Slush, partner di Atomico nel rapporto. “Nonostante la crisi, l’Europa sta per registrare il secondo miglior anno di sempre in termini di capitale investito. Sebbene la pandemia non sia finita e alcune inefficienze frenino ancora il nostro ecosistema, abbiamo le basi per fare del 2021 un anno eccellente per la tecnologia europea“.
Diversità di genere e cambiamento climatico: i punti chiave
Nonostante l’evidente crescita economica dell’industria tecnologica in Europa, resta molta strada da fare riguardo al diverso grado di opportunità offerte sulla base delle differenze etniche e della diversità di genere. Il movimento Black Lives Matter ha offerto un’occasione importante per impostare una riflessione profonda inerenti a tutte le discriminazioni che il settore della tecnologia incontra. A partire dall’età, dalla nazionalità e dall’orientamento sessuale, fino ai contesti socioeconomici, la neurodiversità e l’etnia. Secondo i dati dell’indagine di Atomico, il 61% dei lavoratori neri, africani o caraibici nel campo del tech crede che la propria origine renda più difficile avere successo nell’industria tecnologica europea.
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Guardando alla composizione dei founder intervistati, l’83% del totale sono bianchi. Soltanto il 2% si è auto-identificato nero, africano o caraibico e nessuno di questi ha raccolto capitali esterni nel corso dell’anno. Il tutto, all’interno di un contesto economico difficile. Difatti, se lo scorso anno il 31% dei fondatori sottorapresentati ha trovato più difficoltoso reperire fondi di venture capital, nel 2020 questo dato è balzato al 62%. Gli investimenti si fanno ancora più polarizzati se si prende in considerazione il parametro del sesso. Quest’anno, il 90,8% del capitale è finito in mano a team di soli uomini, percentuale analoga al 90,3% del 2019.
© Quota di founder che hanno raccolto finanziamenti …
Va meglio sul fronte degli investimenti in società tecnologiche cosiddette purpose-driven, in particolare incentrate sulla riduzione delle emissioni inquinanti. Entro la fine di dicembre, le stime del portale Dealroom, inserite nel rapporto di Atomico, prevedono il superamento dei 6 miliardi di dollari investiti in questo tipo di aziende. Una cifra che conferma il trend in netta crescita degli ultimi cinque anni, durante i quali sono stati versati 11 miliardi di dollari in imprese impegnate nella lotta ai cambiamenti climatici. Oltre ai 9,7 miliardi spesi, nell’ultimo quinquennio, in aziende che si occupano di energia pulita e accessibile.
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“L’ecosistema tecnologico ha resistito molto bene in questo anno di crisi e senza dubbio guiderà la ripresa dell’Europa”, ha affermato Chris Grew, partner londinese di Orrick e importante consulente legale di venture capital. “Il 2020 ha messo in luce il ruolo fondamentale di leadership che l’ecosistema tecnologico può svolgere nella società, abbracciando pienamente i principi ESG (Environmental, Social and Governance). Anche questo deve essere un aspetto su cui puntare”.
Tecnologia, quale situazione in Italia?
In un quadro complesso come quello mostrato dalla pubblicazione di Atomico, il nostro Paese accusa un calo dei finanziamenti provenienti da venture capital nel 2020. Dai 450 milioni del 2019, massimo mai registrato in Italia, si è passati a 400 milioni quest’anno. Il taglio agli investimenti ha comunque interessato anche Germania e Regno Unito e ha fatto segnare un vero crollo in Spagna e Portogallo, rispettivamente -56% e -70%.
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Per quanto concerne la presenza in borsa nel settore tecnologico, l’Italia è solo all’undicesimo posto. Da questo punto di vista, a livello nazionale guida Nexi, quotata in borsa nel 2019 e ora valutata 9,7 miliardi di dollari. Per fare un confronto, basti pensare che il valore d’impresa totale stimato delle società tecnologiche europee, fondate dopo il 200, quotate e non quotate in borsa, è salito a 960 miliardi dollari. Facendo registrare un aumento quintuplicato rispetto ai 191 miliardi di dollari del 2016.
Altro dato poco incoraggiante riguarda il capitale investito pro-capite cumulativo, pari a 36 dollari nel periodo 2016-2020. Un numero molto basso se comparato alla media europea di 172 dollari. Pesa anche l’assenza di scaleup diffuse lungo il territorio nazionale e in grado di attrarre elevate somme di investimento. Manca anche un venture capital strutturato, in parte compensato dal forte aumento di startup entrate in borsa negli ultimi cinque anni. Dal 2016, in Italia sono infatti state effettuate 22 IPO tecnologiche, tutte inferiori al miliardo di dollari. È il terzo numero più alto d’Europa. Terza posizione italiana anche per numero di annunci di lavoro per milione in campo tecnologico, dietro a Spagna e Portogallo.
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Italia, bel Paese di talenti
Ci sono però anche dei lati positivi. L’Italia fa molto bene, se comparato con la media europea, in termini di diversità di genere e inclusione nel settore tech. Difatti, il 79% degli affari sono in mano a team esclusivamente maschili, rispetto al 90,8% continentale. Altro lato a cui guardare con fiducia riguarda i talenti italiani: nel campo dell’Intelligenza Artificiale, il bel Paese ne fornisce il 12% del totale europeo. Si tratta del terzo Paese in Europa. Sotto questo punto di vista, un momento fondamentale nel corso dell’anno è stato il risultato della startup italiana di e-commerce Commerce Layer, in grado di raccogliere 6 milioni di dollari. L’investimento è stato finanziato da Benchmark Capital, una delle principali società di venture capital della Silicon Valley.