Una moneta virtuale per rilanciare le aziende (piccole e medie) attraverso gli scambi di beni e servizi. L’obiettivo di Sardex, fin dagli albori, è sempre stato il sostegno alle PMI, con una finanza alternativa, che non intacca la liquidità in euro e consente alle aziende di ottenere linee di credito a tasso zero.
Un’idea che ha fatto di Sardex, diventata poi SardexPay, una fintech che sembra resistere al passare del tempo, anche in tempi di Pandemia, come ci conferma Marco De Guzzis, amministratore delegato dell’azienda, che abbiamo raggiunto via Google Meet:
«Nel 2020 il tasso dei nuovi iscritti è cresciuto del 73% ed il transato in moneta complementare ha superato i 120 milioni di euro in beni e servizi».
Un fatturato nel 2020 che supera i 3 milioni. SardexPay oggi apre ad altri investitori. La notizia è la partenza di una campagna di crowdfunding su BacktoWork24 con l’obiettivo di raccogliere 600mila euro, dei quali al momento in cui scrivo, ne sono stati già raggiunti 458mila, ovvero il 75%: «Il crowdfunding ci è sembrata la naturale evoluzione di un progetto che nasce già con un’anima social. Da qui l’idea di aprirci a un azionariato diffuso».
Alla raccolta partecipano gli investitori storici del progetto tra cui CDP Venture Capital Sgr, Primomiglio e Fondazione di Sardegna: «Questa è un po’ una risposta contro le malelingue che parlavano di una sfiducia degli investitori. Sono sempre più convinti di Sardex Pay tanto da aver deciso di convertire in capitale un prestito obbligazionario da 2,4 milioni».
Crescere senza perdere identità
La scalabilità è sempre stata un cruccio di Marco fin dal primo momento che ha raggiunto l’azienda.
Una lunga esperienza nel mondo startup (già board member di IAG e Artemest, marketplace del lusso) ha raggiunto l’azienda nel gennaio del 2020.
La sfida della scalabilità era anche di matrice culturale: come allargare il pubblico e l’offerta, mantenendo lo spirito di comunità locale con cui il progetto è partito?
«Siamo partiti con un piano di rilancio per allargare la community e coprire tutto il territorio nazionale. Oggi siamo su 15 regioni. Una delle sfide maggiori è stata quella tecnologica per arrivare a consentire gli scambi tra le PMI italiane collocate nelle diverse comunità. Ma l’abbiamo vinta. Poi c’è stato il Covid che da una parte ha rallentato, dall’altra ha fatto comprendere alle aziende l’utilità di SardexPay. Abbiamo lavorato su alcune promo, consentendo a chi aderiva in lockdown di provare per sei mesi la piattaforma senza pagare canoni. Anche questo ci ha aiutato a crescere».
Una maggiore apertura che ha favorito la crescita del valore dei beni e servizi che oggi si possono comprare in Sardex sulla piattaforma: oltre 250 milioni: «Sardex Pay deve il suo successo alle risposte che offre a un territorio, come quello italiano dove le PMI rappresentano il 65% del PIl ma ottengono solo il 30% della liquidità delle banche».
«Non scimmiottate idee dall’estero»
La crescita di Sardex Pay in questi dieci anni offre anche degli insegnamenti agli startupper che vogliono creare innovazione nel nostro Paese e hanno gli occhi, costantemente puntati, sull’estero:
«Quello che funziona nel business è legarsi al territorio e all’identità del posto, invece di scimmiottare idee dall’estero che hanno poco a che fare con la cultura italiana. La tecnologia non deve mai essere fine a se stessa, ma va messa a servizio dei territori».
Per chiarire con un esempio la sua opinione, Marco fa l’esempio di Artemest, il marketplace dell’artigianato, che ha saputo, con un uso sapiente del digitale, portare la cultura e la tradizione degli artigiani italiani in tutto il mondo: «Chiedetevi cosa ha di straordinario il vostro territorio e usate la tecnologia come facilitatore».
Un’ultima battuta della nostra chiacchierata, Marco la spende per fare una fotografia del fintech italiano: «Sento una grande energia, è uno dei settori più vitali. A chi fa business, consiglio di non cadere mai nella trappola dell’omologazione. Abbiate sempre bene in mente qual è il vostro fattore di differenziazione».