Hanno costruito tutta la loro fortuna nella finanza. Hanno dominato Wall Street e poi cambiato rotta, mettendo soldi (milioni di dollari) e soprattutto le loro esperienze nel fintech. Ecco chi sono gli ex banchieri che stanno mettendo in gioco il nome, e alcuni anche la carriera, nelle startup dal payment al lending.
… E se dovessi vederne uno in giro, parlagli del tuo progetto, non farti scappare l’occasione.
La lista del New York Times
Il New York Times si è divertito a spulciare nella lista dei più grandi investitori delle startup fintech, di una parte molto autorevole di quei venture che hanno messo 17,8 miliardi di dollari solo nei primi mesi del 2015. Facendo segnare un incremento di ben l’88% degli investimenti, rispetto allo stesso periodo del 2014.
Addentrandoci troviamo tutta la Wall Street che conta. C’è Vikram Pandit, ex presidente e amministratore delegato di Citigroup. Ed è in buona compagnia. Con lui John J.Mack, che è in passato ha guidato Morgan Stanley e Credit Suisse First Boston. C’è poi J.Christopher Flowers che invece era al timone di Goldman Sachs. E non mancano ex Ceo di Visa, come Hans Morris e Joseph W. Saunders.
Hanno riempito un vuoto dopo la crisi
Le banche tradizionali hanno investito in tecnologia, ma sempre in modo alternato, a seconda dell’andamento dei mercati. Nel 2008 la botta d’arresto preoccupante, quando la crisi e il cambiamento delle regole sul trading, ha portato i big della finanza a essere molto più parsimoniosi, tagliando molte spese, specie quelle in tecnologia. Un male da una parte, ma anche un bene: è questa mancanza che ha aperto le porte alle startup che hanno iniziato a creare prodotti e servizi laddove le banche erano carenti.
Ma i soldi, tuttavia, servono. L’innovazione ha i suoi costi. Ed è qui che gli ex pezzi grossi di Wall Street si sono lanciati in una corsa verso l’oro: «Mica vogliamo rovinare il sistema bancario, sia chiaro. Quello che vogliamo fare è offrire alle nuove tech company la possibilità, tramite la nostra esperienza, di capire esattamente dove sono le opportunità e dove non ci sono» spiega al New York Times, Morris che è uno degli angel del fondo Nyca Partner e un membro del “board” di startup come Lending Club, servizio di prestiti online, Payoneer, idea per facilitare il trasferimento di denaro e CardWorks, una startup che fa il design e la stampa delle carte di credito.
Hanno il fiuto del cambiamento
È chiaro che sono tutto fuorché benefattori. Hanno messo soldi perché sono i primi ad avere intuito il vento del cambiamento. Una rivoluzione che vede un nuovo ruolo delle startup fintech che non sviluppano più servizi da vendere agli istituti finanziari tradizionali, come è avvenuto nel primo boom del fintech. Ma utilizzano la loro tecnologia per vendere direttamente le loro idee ai consumatori, che non sono più gli stessi. Sono giovani, i millennial, hanno perso del tutto la fiducia nelle banche, ma credono nel tech più che in loro stessi.
Come è successo nel lending dove i nostri ex eroi di Wall Street si sono lanciati a capofitto. Morris, ancora lui, Pandit, Mack, Winkerlied, hanno messo “i loro risparmi” in Orchard Platform, protagonista nel prestito peer-to-peer.
Il lending sembra il settore preferito di Pandit che le ha finanziate quasi tutte, da CommonBond, piattaforma di prestiti agli studenti, a Fundboox che offre credito alle piccole imprese. E altre negli ambiti più disparati come in Dataminr, in cui ha investito anche Mack, che fa una osa singolare e cioè analizza le informazioni utili per gli investitori che vengono fuori su Twitter.
Nella lista lunga anche J. Michael Evans, ex Ceo di Goldman Sachs che ha investito in Alibaba, la piattaforma di e-commerce di Jack Ma.
La stanza è grande e c’è spazio per tutti
«Le banche tradizionali non verranno mai rimpiazzate dal fintech. Il settore è cosi grande, c’è spazio per tutti. Non ci sarà un vincitore, ma molti di più» spiega Bruce Wallace, chief digital officer, della Silicon Valley Bank, la banca specializzata in servizi finanziari alle startup.
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