Era la Silicon Valley italiana; oggi i numeri raccontano una storia differente. Cosa si è perso negli ultimi 30 anni? Mario Mariani racconta la storia della parabola che da Grauso e Soru arriva ai giorni nostri.
Una finestra affacciata sul mare, l’odore di sale che entra dai battenti aperti. La brezza che spira a rinfrescare l’aria, le navi attraccate pronte a partire per chissà dove.
Benvenuti in Sardegna, dove la rivoluzione digitale italiana prese avvio 30 anni fa. A innescarla, un mix (ripetibile?) di politica lungimirante, imprenditori capaci di rischiare, menti geniali attratte da una cornice da urlo che, probabilmente, ha giocato un ruolo nelle scelta di spostare la propria vita qui. Una storia ben nota nell’ambito dell’innovazione, ma poco conosciuta all’esterno; a volte, persino agli stessi sardi.
Oggi il clima è diverso da quello di un tempo. Sull’isola, le startup innovative sono solo 165 (1,85% del totale nazionale, dati Infocamere, aprile 2018): come in Liguria, meno che in Calabria (190) e poco sopra l’Umbria (153). Regioni, però, che non possono vantare la stessa tradizione. Quelle che esistono sono di tutto rispetto, come Moneyfarm. Ma è indubbio che, negli anni, qualcosa sia andato perso.
Un tempo il web era una prateria sconfinata e tutta da scoprire; oggi i competitors sono numerosi, agguerriti e dotati di capitali astronomici. Ma sognare è lecito. Le competenze sono rimaste sul territorio, i voli low-cost rendono più facile muoversi da e per il continente, e la potenza delle connessioni veloci consente di lavorare e tenere riunioni in remoto senza difficoltà. Abbiamo ricostruito la storia del digitale in Sardegna per ricordare che c’è stato un tempo in cui l’immaginazione era l’unica risorsa. Pane, amore e fantasia. Vediamo come è andata.
Talento chiama talento: arrivano Rubbia e gli scienziati del Cern
Il nostro mentore in questo viaggio che sembra un gioco di incastri, tanto è ricco di rimandi, citazioni e risonanze è di quelli che c’erano. Mario Mariani oggi fa il venture capitalist e ha creato un acceleratore che funziona a pieno regime, The Net Value; ma negli anni Novanta, quando il web era un affare da università, respirava l’aria densa dell’innovazione assieme ai protagonisti dell’epoca.
Lo raggiungiamo al termine di un consiglio di amministrazione. “C’è stato un momento, in quel periodo, in cui alcune delle migliori menti del web mondiale erano di stanza a Cagliari – ricorda, ripercorrendo a ritroso la parabola – Tutto nacque con la creazione del CRS4, e con la Regione che sigla un accordo con IBM per portare sull’isola un super computer. Di quelli che, allora, si vedevano solo nei film”.
A dirigere il CRS4 viene chiamato il fisico e premio Nobel Carlo Rubbia, che porta con sé un parterre di ricercatori ambiziosi e di talento. “Alcuni di loro stavano lavorando con il padre del web, Tim Berners Lee – racconta Mariani – Lo dico per dare l’idea del livello delle competenze che si stavano radunando in città”. Stava nascendo Internet come la conosciamo adesso. E la Rete, da lì a pochi anni, avrebbe plasmato il mondo.
Il potere dell’ecosistema
La parola chiave è ecosistema. Ciò che è accaduto a Cagliari negli anni ’90, ciò che ha reso il capoluogo di una delle regioni più povere d’Italia l’epicentro del web nel nostro paese ha il volto di due persone estremamente note sull’isola.
Il primo è quello di un politico lungimirante, Antonello Cabras. Fu lui ad avere l’intuizione di stringere il famoso accordo con IBM.
“Trent’anni fa qui nessuno sapeva cosa fosse l’informatica – prosegue Mariani – E lui, invece, cosa fa? Una joint venture con il colosso americano”. Il super-elaboratore fornito dalla società statunitense viene allacciato a Internet, che ai tempi collegava solo università e centri di ricerca, e utilizzava comandi vicini al linguaggio macchina. Mancava qualunque interfaccia utente, il “lato umano”, insomma, quello con cui abbiamo imparato a familiarizzare e che ha consentito una diffusione capillare della tecnologia.
“Tutto nasce dall’intuizione di portare una forte discontinuità a Cagliari: un centro di ricerca di altissimo livello in una terra allora poverissima”. Rubbia fa da catalizzatore, dal Cern e da tutto il mondo in tanti rispondono al richiamo del luminare: e la cavalcata può cominciare.
Il fiuto per gli affari
Mentre da una parte attorno al CRS4 si raccoglie una comunità di scienziati di talento, a pochi chilometri di distanza qualcosa si muove. Strade differenti che, improvvisamente, si intersecano.
Il secondo protagonista di questa storia è molto conosciuto anche fuori dalla Sardegna. Ha sempre fatto l’editore, e ai tempi è proprietario di Radiolina e Videolina, rispettivamente la prima radio e televisione locali sarde. Si chiama Nicola, ma ai più è noto come Nichi. Di cognome fa Grauso.
All’epoca con l’editoria si poteva guadagnare. Dotato di fiuto, senso del rischio, disposto a mettere sul piatto molto di quello che aveva per seguire l’intuizione del web, Grauso decide di informatizzare la redazione dell’Unione Sarda, il quotidiano di sua proprietà, introducendo la videoscrittura. I giornali, in quegli anni, erano ancora composti “alla vecchia maniera”: Grauso, invece, dota tutti i redattori di pc da tavolo e word processor, e fornisce i grafici di un software per impaginare. Ma, soprattutto, crea una rete locale aziendale – oggi la chiameremmo intranet – per condividere i contenuti all’interno dell’ufficio.
A gestire la transizione tecnologica è chiamato un olandese, arrivato in città per amore di una donna: è Reinier van Kelij, un dottorato in tasca e la voglia di vivere vicino alla sua compagna.
L’Unione Sarda: nasce il primo giornale online europeo
“La città è il luogo in cui si può trovare una cosa mentre se ne cerca un’altra” scriveva il sociologo urbano Ulf Hannerz. Da un accumulo di energie concentrate nello stesso spazio-tempo può nascere un’esplosione. Basta una scintilla, e lo stato di grazia in cui tutto appare possibile si sostanzia in mille progetti. Concreti. “Stato nascente” lo definisce un altro sociologo, Francesco Alberoni. Il lavoro diventa febbrile, i limiti sembrano inesistenti; arriva un momento in cui l’entusiamo lascia il posto alla realtà, e anche in questo caso sarà così. Ma è in questo modo che nascono le rivoluzioni.
“Van Kleji conosce Pietro Zanarini, uno dei ricercatori che dal Cern di Ginevra era venuto a lavorare in città – e vive ancora qui tra l’altro” prosegue Mariani. “Un po’ per scherzo, i due si chiedono: perché non proviamo a realizzare un programma che pubblichi sul web in automatico gli articoli dei giornalisti dell’Unione Sarda?”. La rete aziendale c’era: il magazine era già online, in un certo senso. Il problema era portarlo fuori dalle mura della redazione.
L’unico giornale che all’epoca aveva un’edizione online era a San Francisco. Siamo tra il ’90 e il ’92. Senza dir nulla all’editore, viene acquistato il dominio www.unionesarda.it. I due si mettono al lavoro, e nel giro di qualche tempo mettono a punto il software – un antenato di quelli che oggi chiameremmo CMS – per condividere il quotidiano non ancora stampato.
Fanno tutto di nascosto, si diceva. “Ma dopo tre mesi la voce si sparge: i nostri connazionali nelle università di tutto il mondo leggevano l’Unione Sarda e si informavano sul web sui fatti italiani. E’ paradossale – ammette – Vivevano negli Usa, ed erano in grado di conoscere le notizie del Belpaese prima di chi stava qui, perché la prima edizione, fresca di stampa arrivava in edicola solo alle cinque, mentre con il collegamento internet la condivisione era immediata”. Tutto scontato, con gli occhi di oggi; ma, per capire la portata della novità, bisogna tornare a un mondo in cui i cellulari erano nati da poco e fare un’interurbana era un salasso.
Grauso: la febbre comincia a salire
“Grauso, letteralmente, impazzisce per questa novità, e fonda quella che a mio parere è la prima vera startup in Europa” prosegue Mariani. Nasce Video On line (VOL), provider che fornisce accesso alla rete e ha base in Sardegna.
“Grauso pensa a un sistema aperto, differente anche da quello di America On Line (AOL), e comincia a vendere l’abbonamento ai propri servizi distribuendo gratis il floppy disk per connettersi assieme ai propri giornali. “La sua genialità? Fu capire che un giorno tutti avrebbero fatto lo stesso”.
“Essendo molto intelligente ” – e anche molto ricco – “Grauso prende a corteggiare le migliori menti del web mondiale, a partire da Nicholas Negroponte. Li aggancia e li porta in Sardegna con il suo jet privato, dove trovano un humus decisamente fertile per portare avanti il proprio lavoro”. E si sa, il talento attira il talento.
Dalla Silicon Valley a Boston, l’imprenditore è instancabile nel suo inseguimento. Sceglie i nomi, li punta, e li convince a collaborare con VOL. Tutte le migliori menti del settore arrivano a Cagliari. “Ad esempio i canadesi, i migliori nell’ambito dei motori di ricerca. Ben prima di Altavista e Google c’era Fulcrum”.
Mariani stesso si innamora del web, e lascia il posto fisso in Regione per lavorare nell’azienda, settore marketing. “Vendevamo i domini alle piccole e grandi imprese” ricorda. Qualche nome? Agip o Corriere della Sera, entrambi agli inizi della propria avventura digitale.
Tra le idee geniali che nascono in quel periodo, quella di Luca Manunza: un’interfaccia che consente di leggere l’email senza essere esperti di codice. Era nata la webmail. Peccato che Manunza, in pieno spirito hacker, metta il codice sorgente in Rete a disposizione di tutti. Sei mesi dopo, dall’altra parte del mondo, nasce Hotmail. Ma questa è un’altra storia.
Un distretto web in Sardegna
In poco tempo VOL cresce verticalmente e raggiunge 70mila abbonati: Tin, la divisione creata da Telecom per cavalcare l’onda del web, ne ha solo 2mila, per intenderci, in gran parte dipendenti. “Insomma, Telecom non sapeva fare web” chiosa Mariani con una battuta, ma non troppo: tanto è vero che l’operatore telefonico se ne accorgerà, e comprerà l’azienda da Grauso.
A Cagliari ci sono ormai centinaia di persone che lavorano su internet. A questo punto entra in gioco un terzo personaggio, destinato a incidere profondamente sul destino dell’isola. Ma facciamo un passo indietro.
Renato Soru viveva in Repubblica Ceca e si occupava di investimenti immobiliari. Aveva lavorato in finanza, e in quell’ambiente aveva utilizzato i terminali di Bloomberg, imparando a conoscerne le potenzialità.
Di passaggio in città, una sera incontra Grauso, che gli mostra la sua VOL. Il progetto gli piace, e, forte delle licenze software di cui l’imprenditore era in possesso e di uno staff già formato, decide di “esportare” il provider in Repubblica Ceca. Czech on line è un successo clamoroso, che ripaga abbondantemente l’investimento. Due anni dopo Soru realizza la propria exit e coi soldi ricavati fonda Tiscali.
L’Europa mette fine al monopolio di Telecom, Grauso ha appena venduto VOL, le strade si incrociano ancora: molte competenze sono “libere” sul mercato, pronte a raccogliere la nuova sfida lanciata da Soru. Anche quella volta, Mariani c’è. “La nuova compagnia si chiamava Telefonica della Sardegna e nasceva, letteralmente, con tre persone in una stanza sedute attorno a un tavolo: Renato Soru, me e Paolo Susnik“. I primi anni sono sfolgoranti: la società apre la porta all’internet gratuito – niente più abbonamento ai provider – e il titolo vola in Borsa, complice anche l’esaltazione che condurrà alla bolla delle dot com. Nel periodo di massimo splendore Tiscali assomma un migliaio di dipendenti, tra cui 250 ingegneri, ed è presente in 15 paesi.
Internet cresce, e Cagliari e il suo circondario assumono sempre più la connotazione di un distretto web. Una concentrazione di competenze eccezionale per un territorio che, di tecnologico, fino a quel momento aveva avuto poco. Ma la ruota era destinata a girare: la parabola, arrivata allo zenit, stava per invertirsi.
Il declino arriva con l’Adsl
Il resto è storia abbastanza recente. Nei primi anni duemila qualcosa si inceppa. “Il mercato cambia con il passaggio dalle connessioni dial up all’Adsl, e il web diventa un gioco per grandi” riprende Mariani. “Tiscali fu molto brava a interpretare internet prima dell’Adsl – riflette il venture capitalist – non altrettanto dopo. Il modello di business era diventato completamente diverso, molto capital intensive”. Un gioco da giganti, che richiede investimenti da centinaia di milioni di euro. Soldi che in Italia non ci sono.
Tiscali, pur ridimensionata, resta un’azienda dal forte impatto sul territorio. Ma i numeri scendono, la realtà riprende il sopravvento e il baricentro dell’innovazione torna sul continente.
L’impatto di quella stagione epica in cui il centro del web in Italia era nel capoluogo sardo continua, però, a sentirsi. Manca il grande nome, quello che fa titolare i giornali; ma in città, e in Regione, è tutto un fiorire di piccole – e in qualche caso medie – imprese ad alto tasso di tecnologia. Come Moneyfarm, che di recente ha vinto un round da 46 milioni di euro ed, all’inizio, è stata incubata in Net Value, l’acceleratore di Mariani.
“La verità – commenta lui – è che quella stagione è passata, ma le competenze sono rimaste qui. Molti manager e dipendenti che hanno vissuto quegli anni in prima persona hanno gemmato, e messo in piedi le proprie aziende”. Che non sono forse grandi, ma sono molte, e diffuse sul territorio; anche nelle altre province.
La Sardegna, terra tradizionalmente di emigrazione, sta tornando ad essere attrattiva? Presto per dirlo. Ma qualcuno, nonostante il boom sia alle spalle, comincia a pensarci.
Come Antonella Arca, che, laurea in ingegneria informatica, dopo dieci anni all’estero tra Spagna e Inghilterra ha staccato di nuovo il biglietto per Cagliari per fondarci la propria startup, Make tag. La tecnologia software sviluppata attira l’attenzione di Paola Marinone, founder della più grande Buzzmyvideos: Arca vende, e realizza – a 34 anni – la sua prima exit. Ma, ed è la cosa più importante, comincia a pensare al business in maniera diversa; in maniera, cioè, che possa avere un impatto sul territorio.
“Volevo contribuire allo sviluppo della mia regione – spiega – mettendo in gioco la rete di contatti costruita negli anni, e qualche vecchia conoscenza”. Nasce così il Digital Creativity Summer Camp, organizzato dall’Università di Cagliari della prorettrice Maria Chiara Di Guardo in collaborazione con Arca, Marinone e The Net Value. L’evento ha portato in città a fine giugno più di 50 professionisti del digital provenienti da tutta Europa. Per quattro giorni i partecipanti hanno seguito corsi di altissimo livello tenuti da docenti come Neil Maiden, della City University di Londra, e Joshua Kerievsky, fondatore di Industrial Logic. Tutto gratuito. “Con queste iniziative e il Contamination lab vogliamo creare un ponte tra innovazione e imprese – precisa Di Guardo – e attivare un network che alimenti l’ecosistema di Cagliari”. Lo schema per puntare a un Rinascimento? Quello collaudato: portare in città persone di talento, cercando, possibilmente, di trattenerle. Molte cose sono cambiate in questi anni, e non tutte in negativo. La disponibilità di voli a basso costo per tutte le principali capitali europee, ad esempio, e le connessioni ad alta velocità, che consentono di lavorare in remoto.
”E’ il mio modo di restituire qualcosa alla città” riflette Arca. “La parte commerciale di un’impresa ha bisogno di una sede in città più grandi; ma il software può essere sviluppato ovunque. Molti vanno all’estero, magari in Oriente; e allora perché non in Sardegna, dove l’ecosistema e le competenze ci sono da anni?“.
Mariani conferma. “Qui non è raro ricevere un finanziamento regionale per la propria impresa innovativa. Le startup hanno un palcoscenico globale: in un’epoca come la nostra, l’insularità non è un limite insuperabile. Venire a Cagliari o a Milano, per un cliente di Londra, è praticamente la stessa cosa. Insomma, avere sede qui può essere un limite per chi lavora con l’Italia; ma per le startup, che per definizione propongono un modello replicabile e scalabile, direi di no”. Col vantaggio che in Sardegna c’è il mare, e la qualità della vita è alta.
La conclusione di questa storia fatta di andate e ritorni di fiamma l’abbiamo chiesta proprio a Grauso. La voce al telefono è calma, cortese. Poche parole, stile laconico. Formidabili quegli anni, Grauso. Cosa conta per ripetere quell’esperienza? “Una cosa sola – risponde – La visione.”