La sentenza del Consiglio di stato del 29 marzo ha annullato il decreto del Ministero dello Sviluppo Economico che permetteva di costituire startup online, senza notaio. Il 31 marzo è stata inoltre approvata alla Camera la Legge di delegazione europea che accoglie, nell’articolo 29, un emendamento presentato in Senato dal PD, che limita fortemente l’uso di strumenti e processi digitali nel diritto societario. Le startup, insomma, non si potranno più costituire online. Questo potrebbe portare conseguenze anche sulle pratiche di costituzione online fatte a partire dal 2016. La decisione ha scatenato un acceso dibattito tra gli operatori del settore.
“Certo, si tratta di un provvedimento doloroso, perché il settore andrebbe sburocratizzato, non il contrario – Alberto Bassi, Founder & CEO della piattaforma di equity crowdfunding BacktoWork – . Ma, guardando con attenzione i numeri scopriamo che solo il 30% delle startup utilizzava la procedura online per la costituzione. La procedura, infatti, era molto rigida e standardizzata e imponeva un successivo ricorso al notaio per qualsiasi cambiamento nella struttura societaria. È fondamentale ripristinare una procedura online veloce ed efficace visto inoltre che già dal prossimo luglio il nostro Paese dovrà recepire la normativa europea che darà l’opportunità a tutte le nuove imprese di costituirsi online molto più velocemente e senza troppi “paletti””.
Gli strumenti a supporto di startup e PMI
“I reali problemi del nostro sistema però sono altri, non solo la possibilità o meno di costituire startup online – aggiunge -. In un momento storico non ordinario come quello attuale è fondamentale implementare politiche fiscali che incentivino gli investimenti in startup innovative”. Ma quali sono gli strumenti che, secondo il ceo di Backtowork, lo Stato potrebbe mettere a punto per supportare startup e Pmi innovative nella raccolta di capitali?
- Modifica del decreto attuativo sui benefici fiscali al 50%. La norma contenuta nel decreto rilancio aveva ottimi propositi, il problema sorge però con il decreto attuativo che di fatto introduce una serie di vincoli e procedure non presenti nella normativa precedente che non richiedeva particolari adempimenti né per la startup né per l’investitore. Nel decreto attuativo, invece, è previsto che l’azienda debba comunicare al MISE, prima di aver ricevuto l’investimento, le generalità dell’investitore. Ciò si tradurrà in tempistiche lunghe per ricevere effettivamente i capitali (gli investitori vorranno avere prima dal MISE una risposta e poi investire nella startup, in modo da essere sicuri di ottenere i benefici). Inoltre, tale procedura è incompatibile ad esempio con l’equity crowdfunding, oggi strumento fortemente utilizzato sia da investitori professionali che privati per investire in piccole imprese e startup. La previsione dell’obbligo di una comunicazione preventiva delle generalità dell’investitore, infatti, non è compatibile con la procedura di investimento prevista da Consob e attuata dai portali di equity crowdfunding autorizzati. Non è infatti possibile sapere prima da parte della società chi investirà e in che misura. Inoltre, i benefici fiscali agli investitori verranno concessi nei limiti degli aiuti de minimis già concessi alle imprese nella misura massima di 200k per un triennio. Ciò, oltre a porre dubbi interpretativi, fissa un tetto troppo basso per poter rendere realmente impattante la norma. Quel che andrebbe fatto è invece rivedere il decreto attuativo ricalcando semplicemente la procedura già utilizzata per i benefici fiscali al 30%. . Dobbiamo dare stimoli per portare capitali alle nostre startup. Trattandosi di investimenti a rischio gli incentivi fiscali sono l’unica leva efficace.
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- Aggiungere un ulteriore 30% di benefici fiscali se entro tre anni dall’investimento effettuato la startup dovesse fallire. Questo provvedimento sarebbe utile per incentivare gli investimenti soprattutto in startup in fase early stage.
- In caso di exit azzerare la tassazione del 26% sul capital gain.
- Promuovere l’open innovation con la deduzione dell’intero ammontare investito da corporate le acquisiscono il cento per cento delle quote di una startup o pmi innovativa.
L’esempio inglese
In tutti questi casi la realtà da prendere come esempio è il Regno Unito che, come è noto, è l’emblema delle “Startup Nations” e che, nonostante la Brexit, resta ancora molto accogliente per le imprese innovative. Qui gli investimenti in startup sono tassati favorevolmente, grazie a tre incentivi: SEIS (Seed Enterprise Investment Scheme), EIS (Enteprise Investment Scheme) e VCT (Venture Capital Trust). Il SEIS va a beneficio alle aziende più piccole (meno di 25 dipendenti e ricavi lordi inferiori a 200 mila sterline) in fase seed (meno di 2 anni), fornendo ai loro investitori uno sgravio fiscale sul reddito ad un’aliquota del 50% sul valore dell’investimento, con un massimo di 100.000 sterline degli investimenti per anno fiscale. A ciò si aggiunge anche uno sgravio fiscale fino al 50% dei capital gain (fino a un massimo di 50.000 sterline) sui guadagni reinvestiti in azioni ammissibili EIS. L’EIS favorisce le aziende con meno di 250 dipendenti, vendite inferiori a 15 milioni di sterline e attive da almeno sette anni, i cui investitori ricevono fino al 30% dei loro investimenti in sgravi fiscali e possono ritardare il pagamento fino alla metà della tassa sui capital gain dopo la scadenza dell’investimento EIS. Il VCT è invece riservato alle società che investono o prestano denaro alle aziende non quotate.
Misure a supporto dei giovani imprenditori
Altre misure che il Governo italiano dovrebbe intraprendere riguardano gli incentivi fiscali dedicati ai giovani imprenditori:
- Credito imposta al 50% per tutti i costi connessi all’avvio e alla chiusura di una campagna di equity crowdfunding, esattamente come avviene per la quotazione in Borsa.
- Credito di imposta del 50% per tutte le spese in Ricerca e Sviluppo (la Legge di bilancio 2021 le prospetta al 20%).
- Possibilità di capitalizzare le spese in soluzioni IT e tecnologia.
- Azzeramento del cuneo fiscale per tutte le startup che assumono giovani fino a 35 anni.
“Certo – commenta Bassi – si tratta di misure “forti”, ma in questo momento storico è fondamentale una spinta all’innovazione e al Paese. È decisamente più costoso continuare a “salvare AliItalia” ogni anno. Questi non sono sforzi che cambiano il bilancio dello Stato. Quando gli investimenti in startup raggiungeranno importi tali che gli incentivi potranno incidere eccessivamente sul bilancio statale, allora si penserà a ridurli. Ma nel frattempo le imprese innovative italiane saranno cresciute a tal punto da dare a loro volta una spinta al bilancio”.