Lo Stato himalayano, che utilizza la Felicità Interna Lorda al posto del PIL, punta sul mining per sostenere la lenta ripresa economica post Covid. Ma, ovviamente, non mancano i dubbi. Da Taiwan l’analisi di Lorenzo Lamperti
C’è un piccolo regno dell’Himalaya in cui la ricchezza non si calcola sul prodotto interno lordo come nel resto del mondo, ma con la felicità interna lorda. Qualità dell’aria, salute dei cittadini, istruzione, ricchezza dei rapporti sociali invece dei soliti decimali. Una scappatoia per evitare di dire che è uno dei Paesi più poveri dell’Asia? Forse. O forse, semplicemente, il Bhutan cerca davvero un’altra via. Tanto da mettere un tetto piuttosto basso al numero di turisti a cui viene consentito di raggiungere questa gemma ogni anno. Meglio un po’ più di sostenibilità e un po’ meno entrate. Eppure, il piccolo regno del Bhutan sta diventando un’improbabile quanto florida meta per le criptovalute.
Storicamente, questo Paese da meno di un milione di abitanti ha un’economia incentrata principalmente sull’agricoltura e sul turismo. L’introduzione delle criptovalute presenta però opportunità per diversificare l’economia e attirare investimenti esteri. Tra le possibili applicazioni, si è pensato all’integrazione delle criptovalute nelle operazioni turistiche. Una mossa che potrebbe semplificare le transazioni internazionali e attrarre turisti interessati a sperimentare un’economia basata sulla tecnologia. Inoltre, l’emissione di una criptovaluta nazionale potrebbe consentire al governo di avere un maggiore controllo sulla politica monetaria e di promuovere l’inclusione finanziaria.
Il motore dell’energia idroelettrica
L’esplorazione di nuove opportunità si è intensificata dopo che la pandemia di Covid-19 ha colpito in maniera drastica l’economia locale, che nel 2020 si è ridotta del 10%. Le riserve di valuta estera sono diminuite, i prestiti in sofferenza nei settori manifatturiero e turistico sono aumentati e la disoccupazione giovanile ha raggiunto il 29% nel 2022, un sostanziale record. Secondo la Banca Mondiale, oltre il 12% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. Un numero nettamente cresciuto rispetto al 8,2% del 2017. Tutti aspetti che hanno iniziato a far scricchiolare la favola della felicità interna lorda. E hanno fatto sì che le autorità si mettessero a caccia di nuove frontiere di sviluppo, ricorrendo persino al mining di criptovalute, un settore notoriamente volatile e con dei punti controversi. Senza contare i dubbi sulle possibili conseguenze sull’equilibrio ambientale del regno himalayano. Inoltre, l’aspetto tecnologico delle criptovalute richiede competenze e infrastrutture avanzate, che potrebbero non essere facilmente accessibili in Bhutan. Ma perché si è pensato al mining? Innanzitutto, per le grandi risorse idroelettriche di cui dispone il Bhutan, circostanza che rende più bassi i costi di operazioni altrimenti parecchio dispendiose. Sotto l’Himalaya, i fiumi alimentati da antichi ghiacciai forniscono al piccolo regno immense riserve di energia, che da sole alimentano la quasi totalità delle abitazioni presenti sul territorio nazionale. Non solo. Si è compreso che c’è la necessità di far diventare questa importante fonte energetica anche un importante motore economico.
L’estrazione con Bitdeer
Da qui si è iniziato da alcuni anni ad alimentare il mining di criptovalute. Non è chiaro quando sia iniziata l’attività di estrazione, dove sia situata e se il progetto abbia prodotto profitti. Non è nemmeno chiaro perché il Bhutan non abbia mai rivelato il progetto ai partner internazionali. Le attività del Bhutan sono emerse lo scorso aprile, quando dopo il fallimento della piattaforma BlockFi è emerso che il Bhutan è entrato nel mercato quando il Bitcoin era scambiato a circa 5.000 dollari nel 2019. Dunque anche prima della pandemia.
I dati doganali del Bhutan indicano l’entità delle operazioni minerarie. Il commercio in entrata del Paese è normalmente dominato da benzina, acciaio e riso. Ma milioni di dollari di “unità di elaborazione” o chip per computer sono saliti in cima alle sue importazioni nel 2021 e 2022, ha sottolineato Forbes. L’anno scorso sono stati importati in Bhutan circa 142 milioni di dollari di chip per computer, che rappresentano circa un decimo del totale di 1,4 miliardi di dollari di commercio in entrata del regno. Per avere un paragone, i funzionari doganali del Bhutan hanno registrato solo 1,1 milioni di dollari di chip importati nel 2020. Non da escludere che ci siano già centri dati in piena attività tra le montagne del Regno il cui territorio non ha sbocchi sul mare. Ma ora i progetti si fanno più importanti e ampi, venendo anche allo scoperto. Il Paese himalayano ha raggiunto un accordo con la società di mining Bitdeer, quotata al Nasdaq e fondata dall’ex miliardario cinese Wu Jihan, per garantire l’accesso a 100 megawatt (MW) di energia per un centro dati di mining di bitcoin. Bitdeer, con sede finanziaria a Singapore, ha cominciato una raccolta di fondi per avviare il progetto, con l’obiettivo di totalizzare mezzo miliardo di dollari da investitori internazionali. Le operazioni di estrazione dei primi 100 MW dovrebbero iniziare a settembre, per poi raggiungere i 600 MW nei prossimi tre anni. L’energia sarà venduta all’operatore a una tariffa negoziata. Con 100 MW, il progetto rappresenterà già il più grande consumo di energia del Paese, mentre con 600 MW consumerebbe più energia del resto della nazione messa insieme.
I dubbi sul piano di mining
Anche se la partecipazione del Bhutan al progetto sarà relativamente esigua, l’accordo promette di creare una fonte di ricavi non trascurabile dalla vendita di energia, dalle tasse e dalla condivisione degli utili. Il piano prevede di utilizzare i fondi per rafforzare ulteriormente la rete elettrica e la rete di telecomunicazioni. Si prevede inoltre che il progetto creerà tra i 300 e i 400 posti di lavoro per i bhutanesi e aprirà un intero nuovo settore verticale all’interno del quale si potranno creare altri fonti di ricavo e innovazione attraverso applicazioni pratiche della blockchain. Ma, ovviamente, non mancano i dubbi. In molti ricordano i problemi vissuti da altri Paesi che si sono lanciati nell’estrazione di criptovalute.
Tra questi il Kazakistan, il cui improvviso boom dell’estrazione di criptovalute ha messo a dura prova la rete elettrica, causando diversi blackout e contribuendo alla crisi energetica che ha portato alle proteste di massa di gennaio 2022. Un rischio che il Bhutan non vorrebbe correre, né sul piano energetico né su quello politico. Né tantomeno su quello sociale e dell’ordine pubblico. Un rischio che però sembra esistere. Anche perché il piccolo regno della felicità interna lorda ha deciso di impegnare le sue risorse nazionali su un’industria molto volatile come quella del mining di criptovalute. La speranza del Bhutan è di aver fatto centro.