L’editoria si guarda attorno: ha trovato un alleato nell’eCommerce. L’ultimo caso di media company ad aver messo gli occhi (e il portafoglio) su una società che si occupa di commercio elettronico è l’Editoriale Il Fatto, che pubblica il giornale diretto da Marco Travaglio. La società ha investito 250 mila euro per avere il 7% di Foodscovery, una piattaforma che si occupa di spedire in pochi click cibi tipici locali.
Diversificare per non sparire
Perché un editore investe nell’eCommerce? Una risposta (non l’unica possibile) è arrivata da Cinzia Monteverdi, amministratore delegato di Editoriale Il Fatto: “Nelle società editoriali di oggi deve obbligatoriamente puntare alla diversificazione”. Senza dimenticare “il core business”, valorizzato attraverso “un progetto di contenuti editoriali collegati”: i lettori, si legge in una nota stampa, “potranno approfondire i prodotti gastronomici d’eccellenza di tutte le regioni italiane, leggendone le caratteristiche, le storie e i protagonisti su ilfattoquotidiano.it, avendo poi la possibilità di acquistarli su foodscovery.com”. In 2 parole: native advertising.
Il Fatto, come altri editori, cerca nuovi ricavi. I 2 pilatri sui quali si base un giornale mostrano qualche crepa. Le vendite sono in netto calo. Ma, allo stesso tempo, i ricavi digitali da abbonamenti e pubblicità (per quanto in ascesa) non sono ancora in grado di sostituire le edicole. Con in più il fardello dell’ad blocking, spauracchio dell’editoria online.
Media for equity: l’integrazione per contratto
Il Fatto ha quindi aperto, con un solo investimento, 2 canali: i ritorni della sua partecipazione diretta e i ricavi da native advertising. La strada che unisce i 2 canali è scritta nero su bianco nell’accordo: il Fatto ha, al momento, una quota del 7%, che potrebbe crescere al 12% (se saranno raggiunti alcuni target) o al 20% con “un accordo di media for equity”. Che cos’è? Mettiamo che il Fatto abbia degli spazi pubblicitari invenduti. E che Foodscovery non possa (o non voglia) erodere la cassa in advertising. Le 2 parti si vengono incontro: il giornale pubblica la pubblicità, ricevendo in cambio quote azionarie. Sarà un modello vincente? Presto per dirlo. Ma segna una maggiore integrazione tra media company (sempre più digitali) e eCommerce.
Non a caso, un piedino in Foodscovery l’ha messo anche un altro editore, Axel Springer. Negli ultimi mesi, il suo nome spunta ovunque si parli di imprese editoriali alla ricerca di una nuova quadratura. Springer ha sborsato 450 milioni di dollari per conquistare Business Insider. È un nemico giurato degli ad blocker: ha vietato a chi ne fa uso di accedere ai contenuti online della sua Bild. E da tempo, in parallelo al rafforzamento nel settore news, guarda con interesse al crinale tra eCommerce ed editoria. Come Zanox (e la controllata Affiliate Window), società che punta a creare modelli alternativi di remunerazione che soddisfino editori e inserzionisti.
Da Rcs a Giglio: gli altri casi italiani
Il Fatto e Axel Springer non sono casi isolati. Per rimanere in Italia si può citare la recente operazione che ha portato il network televisivo Giglio Group all’acquisizione di MF Fashion, distributore b2b specializzato nella moda online. Per usare le parole del patron Alessandro Giglio, il gruppo si è trasformato in una “social e-commerce media company”. Ed è questa la strada individuata anche da altri protagonisti del settore.
Si sta muovendo anche Rcs. Il gruppo possiede una piccola partecipazione in H-Farm. L’acceleratore avviato con Digital Magics, Rcs Nest, si rivolge proprio a new media, marketing e e-commerce. E le partecipazioni del gruppo in piattaforme di e-commerce (yoodealm, made.com, mybeautybox, Qui Mamme shop e DeveClub) crescono.
Il gruppo Editoriale l’Espresso ha partecipato, sempre con la formula del media for equity, al finanziamento che ha portato 1,3 milioni (anche grazie a Innogest, LigurCapital e A11-Venturene) nelle casse di Armadio Verde, marketplace per lo scambio e l’acquisto di vestiti per bambini
Vox e gli altri: tutti figli di Bezos?
Guardando all’estero, si deve partire da un’operazione che ha anche una componente simbolica. Il Washington Post, il giornale che ha contribuito a far dimettere il presidente Richard Nixon con una sua inchiesta, è stato acquistato da Jeff Bezos nel 2013. Si è trattato di un acquisto personale: il Washington Post non è Amazon ma mr Bezos. Difficile però non vederci una mutazione negli equilibri di forza (e una sinergia) tra i 2 settori.
Vox Media, editore di Vox, The Verge, Re/Code e SB Nation ha 170 milioni di utenti. Non ha certo problemi di audience ma, lo scorso 11 febbraio, ha chiuso un accordo con Gawker. Obiettivo: migliorare l’integrazione tra contenuti e e-commerce per diversificare i ricavi.
Gawker è un’altra media company. Con una particolarità: un terzo del fatturato arriva da e-commerce e native advertising. È la strada scelta dal gruppo (e a quanto pare anche da Vox) per conquistare i millennial, un pubblico che compra se viene intrattenuto e non bersagliato.
Un altro protagonista mondiale dell’editoria come Condé Nast, punterà sull’eCommerce nel 2016. I lettori di Vogue, Vanity Fair e Gentlemen’s Quarterly si saranno detti più di una volta: “Bello questo vestito, dove lo trovo?”. Adesso è lo stesso gruppo editoriale a dare la risposta. Gli utenti potranno ordinare direttamente abiti e accessori. La piattaforma farà capo al brand Style.com. Il sito esiste già e si occupa di notizie di moda. I suoi lettori saranno reindirizzati automaticamente su Voguerunway.com, facendo spazio così ai contenuti votati al commercio online.
L’eCommerce è morto, viva l’eCommerce
Scorrendo i casi precedenti, pare che l’integrazione tra e-commerce ed editoria per sopperire ai chiari di luna pubblicitari sia una strada promettente. Anche se non manca chi va in direzione contraria. Banzai è una digital company italiana che, negli anni, ha esteso i suoi interessi dalle news (con, tra gli altri, Il Post e Giallozafferano) all’e-commerce (ePrice e SaldiPrivati). Con quest’ultimo settore a rappresentare la stragrande maggioranza dei ricavi. Banzai non ha fretta di vendere, ma sarebbe disposto a farlo al giusto prezzo. Alto, perché l’area media nel 2015 ha registrato una crescita dei ricavi del 15% rispetto al 2014. Secondo i bilanci preliminari, però, la gallina dalle uova d’oro è l’e-commerce, con un progresso del 28,5% anno su anno. Vendere i media per puntare sull’e-commerce non sarebbe una bestemmia.
La scelta di dividere contenuti e e-commerce è già stata realizzata da Thrillist Media. Lo scorso settembre il gruppo ha incassato un finanziamento da 54 milioni di euro. In un universo che tende alla coagulazione, Thrillist ha deciso di separare la divisione media da quella e-commerce. Fortune ha addirittura affermato che la scelta rappresenta la morte del matrimonio tra contenuti e e-commerce. Forse, più probabilmente, è un modo per rendere appetibile le 2 divisioni agli occhi di pesci più grandi. E vendere entrambe a caro prezzo.
Da una parte l’eCommerce cresce. Dall’altra è un periodo di nel quale i grandi gruppi editoriali sono disposti ad aprire il portafogli per conquista i campioni digitali. Basta guardare Axel Spinger e Business Insider, ai 21 milioni investiti da Hearst su Complex e ai 200 di NBCUniversal su BuzzFeed e Vox. Perché media digitali ed eCcommerce cresceranno. Insieme o separati.
Paolo Fiore
@paolofiore
Il Fatto Quotidiano investe nel food ed entra in Foodscovery
Editoriale Il Fatto, la società editrice del Fatto Quotidiano, investe nel food delivery. Lo fa mettendo sul piatto 250mila euro, corrispondenti a una quota del 7% di Foodscovery e riservandosi la facoltà di salire fino al 12% in base al raggiungimento di specifici target concordati e fino al 20% con un accordo di media for equity. Foodscovery è una piattaforma e un’applicazione che punta sulla gastronomia locale italiana, dalle pasticcerie ai caseifici, da traghettare nelle case degli italiani accorciando le distanze fra artigiano e consumatore. Sono infatti i commercianti a spedire direttamente gli ordini a casa.
Cosa ci insegna la strategia de Il Fatto sul futuro dell’ecommerce, dei giornali, e delle startup in Italia
Che ci fa un sito di news come Il Fatto con una startup che mette in contatto produttori di cibo tipico con gli utenti? Pensate. Da un lato abbiamo una community di circa 20 milioni di lettori mensili di uno dei quotidiani che meglio in Italia ha saputo costruire la propria. Dall’altro una delle startup che meglio hanno saputo dare valore alle eccellenze tipiche locali italiane, Foodscovery, che le ha messe semplicemente in rete, in collegamento diretto con gli utenti di ogni latitudine.