La qualità paga ancora? La storia della startup italiana insegna che farsi trovare pronti è importante. Anche quando si sfidano i colossi
Forse è presto per cantare vittoria, ma quando il cellulare comincia a squillare all’impazzata e dall’altra parte ci sono i clienti che hai sempre inseguito, sognare è lecito. È accaduto a Manet, startup italiana che fornisce telefoni gratuiti ai clienti degli alberghi. Device dotati di chiamate internazionali illimitate e connettività 4G.
I fatti. Il 30 luglio il Financial Times pubblica un articolo su Tink Labs, uno tra i primi unicorni di Hong Kong. L’azienda starebbe licenziando in massa ed è data sul punto di chiudere. Il “buco” sarebbe enorme: 600mila camere sguarnite in 82 paesi.
Il telefono di Antonio Calia, fondatore e ceo di Manet mobile, diventa rovente. “Come il giorno del mio diciottesimo compleanno” confida a Startupitalia, raccontando cosa significa svegliarsi con l’occasione della vita di fronte.
Manet mobile: l’idea giusta arriva in vacanza
Tutto comincia nel 2015. L’idea giusta arriva in viaggio. “Mi trovavo a Singapore – racconta Calia – e in aeroporto ho noleggiato un cellulare in un chiosco. Il dispositivo mi ha cambiato la vacanza in meglio, permettendomi di navigare e telefonare senza problemi. Tranne uno: per riconsegnarlo ho rischiato di perdere il volo di rientro, dato che non trovavo il banchetto dove lo avevo prelevato”. Da qui la domanda: come semplificare il processo? “E’ stato immediato pensare alle camere d’albergo” ricorda.
Così, con il supporto di quattro soci ingegneri (lui ha studiato economia) comincia l’avventura. Nata nel 2016, accelerata da Luiss Enlabs, la società è approdata sul mercato nel 2017 e oggi è presente in 180 strutture tra Italia, Spagna, Francia, Grecia e UK. Inoltre, ha stretto accordi di partnership con aziende come Samsung per i device, Musement per il ticketing e Where per i contenuti, raccogliendo 1,7 milioni di euro in tre round di finanziamento.
Numeri di successo, che potrebbero impennarsi di colpo con il tracollo del gigante asiatico. “Pare che ci siano 600 alberghi e 50mila camere vacanti in Europa” prosegue il manager “ma ci hanno chiamato anche da Medio ed Estremo Oriente”. Ma qual è la differenza tra la vostra proposta e quella cinese? “Tink Labs ha inondato il mercato di dispositivi di bassa qualità con politiche di prezzo molto aggressive a cui era difficile stare dietro. Il telefono era concesso gratis per un anno alle strutture: il ragionamento era che i costi si sarebbero ripagati con l’advertising. Ma non ha funzionato”. Ci sono anche altre ragioni che spiegano l’impasse. “Premetto che non si tratta di informazioni ufficiali, ma di nostre deduzioni. Tink Labs ha deciso di entrare nel mercato degli affitti a breve termine con un proprio portale, senza considerare il rischio che correva a scontrarsi con player come Booking ed Expedia che investono milioni nel marketing, e possiedono un nome e una rete di contatti consolidata. Anche in questo caso, non ha funzionato”. Poi la qualità “Questi dispositivi erano privi di customizzazione e consentivano alle strutture alberghiere scarsa interazione: tutto il contrario dei nostri”. Che, però, costavano di più.
La chiave? Un software di qualità e contenuti personalizzati
Con il prodotto italiano, infatti, la struttura può personalizzare i contenuti che appaiono sul telefonino, inviare notifiche push e comunicare direttamente con il cliente, che può, ad esempio, richiedere la cena in camera con pochi gesti anche se si trova fuori hotel a visitare un museo. Non solo. “Il software Saas che forniamo ha una dashboard che consente alla struttura di monitorare il buzz sulla rete, cioé quello che i viaggiatori dicono del proprio albergo e di un massimo di dieci concorrenti sulle principali piattaforme di recensioni”.
“I tour operator oggi guadagnano con i servizi ancillari venduti in loco a causa della competizione serrata sui prezzi – prosegue Calia – Gite, escursioni, degustazioni, biglietti di ingresso: un dispositivo come il nostro ha potenzialità infinite”.
I progetti della società, che l’anno scorso ha fatturato 500mila euro (già superati in questo esercizio), sono di estendere il proprio servizio al car rental. “Abbiamo notato che gli accessori forniti con le vetture a noleggio sono spesso obsoleti e vogliamo entrare in questo mercato. L’idea è fornire un dispositivo con cui aprire la macchina, rintracciarla nei parcheggi, poter denunciare incidenti all’assicurazione e fornire mappe assieme a tutta una serie di altre utili funzioni. In questo caso, però, al contrario degli alberghi, il servizio sarebbe a pagamento”. Ma ai blocchi di partenza c’è anche una convenzione con Vodafone per consentire di portare con sè il cellulare in un tour europeo della durata di qualche settimana.
Intanto il cellulare non smette di squillare. “Adesso ci chiamano persino i dipendenti di Tink Labs preoccupati per il proprio futuro” ammette il ceo. Che ha appena incassato il sì degli investitori per un’iniezione di capitale, rapida e buona per sfruttare il momento. Un colpo di fortuna? Certo. Ma quanto accaduto è la spia di una bolla in Cina che potrebbe aprire praterie sconfinate alle aziende italiane ed europee fino ad oggi schiacciate dalla concorrenza di player troppo grossi per essere affrontati direttamente. E una riprova del fatto che la fretta non è quasi mai una buona idea per guida un’azienda, nonostante lo storytelling racconti spesso il contrario. Meglio prepararsi e far crescere il proprio business in maniera sostenibile. I film di founder miliardari a meno di 30 anni, alla fine, restano quello che sono: finzione.