Un visto europeo per chi vuole venire a fare startup da altri continenti contribuirebbe alla crescita economica (e non solo) di tutta l’Unione. Intanto, in Italia il programma sta già dando i suoi frutti, ed è una best practice
Abbassare le frontiere in un momento in cui sempre più spesso si parla di rialzarle. È quello che vuole fare l’Olanda, almeno nel settore delle startup, approfittando del suo semestre di presidenza del Consiglio dell’Unione europea (gennaio-giugno 2016) per far sedere intorno a un tavolo i ministri degli Stati membri e far capire loro che lo Startup Visa europeo, un passaporto per le startup, è quello che ci vuole per favorire l’innovazione e l’integrazione all’interno della stessa Unione. L’idea è quella di poter offrire un visto a chi vuole venire a fare startup in Europa e ai ministri è stato chiesto se vogliono lavorare insieme a questo progetto o proseguire in maniera unilaterale (come hanno fatto finora 7 paesi su 28, fra cui l’Italia). Il visto europeo permetterebbe di ridurre la burocrazia per chi viene da un paese non appartenente all’Unione e coprirebbe tutto il mercato unico, nel tentativo di svilupparne le economie.
5 motivi per fare lo Startup Visa europeo
E scoprire che l’Italia ha uno dei migliori esistenti
Una buona idea insomma, almeno per cinque motivi. Li ha elencati per tech.eu, Josephine Goube, responsabile partnership e comunicazioni di Migreat, un sito specializzato nell’aiutare chi vuole espatriare per lavoro, la stessa che un anno fa definì lo Startup Visa italiano come “il migliore di questi programmi”.
- Non c’è molto lavoro da fare, lo Startup Visa esiste già e si possono prendere ad esempio i programmi attivati dagli altri Stati membri. L’Irlanda ha fatto da apripista nel 2010, poi l’hanno seguito la Spagna e la Gran Bretagna nel 2013, l’Italia un anno dopo e lo scorso anno anche Danimarca, Francia e appunto l’Olanda.
- Gli Usa stanno perdendo imprenditori internazionali proprio a causa della burocrazia. È il momento di approfittarne, altrimenti si rischia la stessa sorte. Gli Stati Uniti restano sempre la meta più ambita di chi vuole fare impresa a livello globale, ma sta diventando sempre più difficile ottenere un visto per cominciare proprio da lì. Fra gli “scarti” della burocrazia americana ci sono imprenditori di successo internazionale come quelli che hanno fondato Flipkart (valutata 15 miliardi di dollari) o Snapdeal (valutata 5 miliardi di dollari) che hanno rinunciato al sogno americano perché hanno capito che nel loro Paese d’origine sarebbe stato molto più semplice avviare una società.
- Anche il Regno Unito sta perdendo talenti a causa delle sue politiche di immigrazione. Un visto europeo per startupper potrebbe aiutare a capire che Londra non è l’unica meta in Europa (e soprattutto non la più facile, l’Uk non è neanche parte dell’accordo di Schengen) in cui possono cominciare a fare impresa. L’inasprirsi delle leggi sull’immigrazione inglesi ha reso sempre più difficile l’avvio di una startup in questo paese da parte di uno straniero giovane e senza molti soldi. Servono infatti almeno 200.000 sterline per restare legalmente in Gran Bretagna a fare impresa. Uno Startup Visa britannico esiste, ma è abbastanza stringente, visto che nel 2013 sono state rifiutate ben sette domande su dieci.
- Favorirebbe e renderebbe più forti il continente e l’Eurozona. L’Eurozona è in crisi e l’austerità ha dimostrato di non funzionare. Invece, attrarre imprenditori internazionali è la risposta più costruttiva che si possa dare alle economie locali. È un dato di fatto che chi viene dall’estero ha una possibilità doppia di diventare imprenditore rispetto a chi resta nel proprio Paese. Lo dimostrano altri programmi di startup visa come quello cileno che in soli 5 anni ha portato nel paese 1200 startup da 72 diverse nazioni.
- La diversità è una conquista per l’Europa su tutti i fronti. Noi europei conosciamo bene i benefici che derivano dall’abbassamento delle frontiere. È arrivato il momento di concederli anche agli imprenditori stranieri. Negli ultimi 20 anni ci è stato concesso di viaggiare, studiare, lavorare in qualsiasi Stato dell’Unione. Abbiamo il diritto di sentirci a casa ovunque vogliamo, senza la paura di essere cacciati perché non abbiamo rinnovato il visto. Uno dei risultati migliori di questa politica è proprio l’ecosistema dell’innovazione e delle startup che si è creato in Europa. Non dobbiamo avere paura degli stranieri, abbiamo molto da guadagnare dando loro il benvenuto e non solo in termini di investimenti e crescita del Pil.
Come funziona invece lo startup visa olandese
Dal primo gennaio del 2015, in Olanda è entrata in vigore una nuova forma di regolamentazione che prevede la possibilità per startupper stranieri e ambiziosi di ottenere un visto speciale che gli permetterà di poter risiedere senza problemi in Olanda per un anno e contemporaneamente lanciare la loro nuova impresa in questo paese. Unico requisito indispensabile è quello che la startup sia guidata da un mentore esperto e residente olandese
Nell’ambito del regime per le nuove imprese e il lancio di startup internazionali, i Paesi Bassi offrono il sostegno necessario per sviluppare la propria idea e questo non solo a vantaggio dell’imprenditore, ma soprattutto serve a creare una solida base che favorisca occupazione e crescita economica nel paese.
In Italia 60 candidature in un anno e mezzo
Il 65% sono state accettate
In Italia, il programma Startup Visa esiste da giugno del 2014 e in un anno e mezzo ha raccolto 61 candidature (45 maschi e 16 femmine) da 18 Paesi appartenenti a tutti i continenti. Ne sono state accettate 40, le risposte positive hanno quindi superato il 65% dei casi e hanno portato in Italia giovani imprenditori con un’età media di poco superiore ai 34 anni. Alla base delle 11 bocciature ci sono state la debolezza del business plan o la mancanza di innovatività, 6 sono state considerate irricevibili perché palesemente prive dei requisiti minimi finanziari o di innovatività, mentre altre 4 sono ancora in fase di valutazione.
Tra i candidati, 36 hanno già alle spalle un’esperienza imprenditoriale, 22 hanno un background professionale di lavoro subordinato, un candidato non ha alcuna esperienza professionale pregressa (aderisce a un team), un altro è uno studente e un altro ancora un artista. Guardando alle aree professionali, dominano l’informatica e il marketing, seguite da management e ingegneria. La maggior parte delle richieste sono per la Lombardia (19), solo per Milano ci sono state 15 domande e 4 per Como, mentre per Roma ne è arrivata solo una.